Paolo Vincenzo Genovese dopo aver conseguito il dottorato al Politecnico di Milano presso la Facoltà di Architettura, dal 2004 è Professore ordinario presso la School of Architecture della Tianjin University e Foreign Expert nel campo della pianificazione di Eco-Village in Cina. Il suo campo di ricerca riguarda diversi aspetti dell’architettura e della pianificazione urbana. Di recente, ha attivato un corso di Intelligenza Artificiale e architettura.

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In quale istituzione lavora e su quale tematica verte la Sua ricerca? Fa parte di un programma di scambio con l’Italia? (se si specificare quale).
Dal 2004 lavoro a Tianjin per la Scuola di Architettura della Tianjin University come Professore Ordinario e Foreign Expert. Inizialmente sono venuto qui senza alcun programma di interscambio ma, di fatto, come “emigrante”. Solo in seguito, in collaborazione con alcuni miei colleghi italiani, abbiamo creato dei programmi di scambio e di ricerca, tra cui workshop e attività di mobilità studentesca, di insegnamento e persino un double degree per studenti iscritti ai corsi di master. I nostri principali partner italiani sono il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’università di Roma “La Sapienza”, l’Università di Sassari, “l’Orientale” di Napoli e, per il futuro, speriamo di avere una proficua collaborazione anche con l’Università Federico II di Napoli.
Il mio campo di ricerca riguarda l’architettura e la pianificazione urbana. In dettaglio, mi occupo di restauro degli edifici storici (tra gli altri ho partecipato al gruppo del restauro per la residenza dell’ultimo imperatore Puyi a Tianjin, chiamata Jing Yuan), degli eco-villaggi, poverty alleviation, studi urbani, teoria dell’architettura, bionica applicata all’architettura e, di recente, ho aperto un corso di Intelligenza Artificiale e architettura.

Quali sono le principali motivazioni che l’hanno portata a fare questa esperienza in Cina?
Tutto è nato appena dopo aver conseguito il dottorato al Politecnico di Milano presso la Facoltà di Architettura. Ho sempre avuto fin da ragazzo un grande interesse nei confronti della Cina per ragioni culturali. È stata per me quindi una scelta naturale rivolgermi a questo paese che amavo da tempo. Ho iniziato dunque a cercare occasioni di lavoro in Cina e ho scoperto che vi erano molte possibilità fin dal 2003, sia nell’ambito dell’architettura sia nelle università. Contattai alcuni atenei e ben tredici mi risposero. Quindi, non mi restava che programmare il mio viaggio. Era destino! Proprio in quei giorni il mio carissimo amico il prof. Federico Butera aveva bisogno di un tecnico per un progetto di architettura che stava realizzando a Pechino, così colsi l’occasione e partii come professionista per la Cina per conto del Politecnico. E non tornai più perché, una volta finito quel progetto, venni assunto presso la Tianjin University. Era l’ottobre del 2004.

Quali sono secondo Lei i benefici e qual è il valore aggiunto di essere ricercatore in Cina?
Non sono ricercatore nello stretto termine, ma professore. Faccio tuttavia ricerca. Le motivazioni per fare ricerca in Cina sono numerose; l’ambiente, sovente complesso e molto diverso rispetto a quello italiano, è tuttavia molto stimolante; si lavora sempre molto e sotto pressione, ma penso che sia l’unico modo per poter raggiungere ottimi risultati; ci sono moltissime possibilità di finanziamento, lavoratori di primissimo piano in moltissimi ambiti scientifici; gli investimenti in tecnologie e ricerca sono notevolissimi. L’ambiente universitario è sì competitivo ma rispettoso della persona e del valore del lavoro. Si dà molta importanza ai risultati e ci sono molti premi per gratificare gli sforzi delle persone. C’è molto rispetto tra colleghi.
Nell’ambito specifico dell’architettura, negli ultimi trent’anni ci sono stati immensi cambiamenti. La Cina era un cantiere in continua evoluzione. Per un architetto e un urbanista era un vero miracolo e devo dire che le opportunità sono state davvero notevoli. Ho lavorato moltissimo, ma ne è valsa davvero la pena.

Quali sono i punti di forza di un ricercatore italiano nel contesto cinese della ricerca da un punto di vista culturale e formativo?
Attualmente ci sono molti ricercatori e giovani professori in Cina. Ci sono ancora moltissime possibilità che possono essere sfruttate, soprattutto in alcuni campi di studio come ad esempio in quello delle tecnologie avanzate, IT, fisica, satelliti e telecomunicazioni, chimica e medicina. La Cina ha dimensioni immense e una “massa critica” che difficilmente viene immaginata in Europa. Occorre, tuttavia, essere preparati ad un lavoro molto duro poiché i ricercatori cinesi sono di primissimo piano e di grande competenza; hanno studiato all’estero e conoscono molto bene l’Occidente. Sono semmai gli Occidentali che conoscono poco la Cina e la cultura asiatica in generale, modi di vita e “diplomazia” interpersonale. Basti pensare questo: chi conosce e ha letto, ad esempio, i quattro grandi testi della letteratura cinese, o i cinque classici? Chi conosce almeno dieci grandi imperatori cinesi? Chi conosce dieci grandi uomini di scienza cinesi? Ma i cinesi conoscono ben più di dieci autori occidentali. Questo deve far pensare.

Come ha vissuto questo periodo di emergenza per la diffusione del Coronavirus prima in Cina e poi in Italia?
Questa è una domanda molto difficile a cui è impossibile rispondere brevemente. Tra il gennaio e l’aprile del 2020 sono stato in Cina, in Malesia (due volte), Sri Lanka, Italia, passando per l’Inghilterra ed Abu Dhabi. Sono stato costantemente nell’occhio del ciclone, spesso in forte pericolo. In qualche modo sono un sopravvissuto e mi considero benedetto dal Cielo per questo. Ho avuto però molti aiuti da amici, tra cui moltissimi cinesi che mi hanno salvato la vita e che ringrazio moltissimo. Sono stato in fuga costante per mesi. Ho fatto di tutto, interviste, telefonate, discussioni con familiari, amici e medici per sensibilizzare l’opinione pubblica al caso del Covid-19. All’inizio la cosa era stata presa davvero sotto gamba con video su internet e interviste deliranti di persone (poche per fortuna) che pensavano di sconfiggere il Coronavirus con un buon bicchiere di vino. Per fortuna l’intelligenza tipica degli italiani alla fine è venuta fuori in maniera brillante e, infatti, la situazione è cambiata radicalmente. Personalmente, ho fatto del mio meglio per diffondere dati, sistemi GIS per monitoraggio dei casi mondiali di contagio. Ho poi fatto diverse donazioni sia a cinesi in Italia che, una volta tornato in Cina, ad istituzioni e amici italiani.
Il ritorno in Cina è stato particolarmente difficile perché la mia famiglia ed io abbiamo rischiato molto durante il viaggio, ma era necessario tornare. Devo dire che al nostro ritorno il governo cinese ha offerto un’organizzazione di altissimo livello. Siamo stati prelevati in aeroporto, messi in quarantena in un hotel a spese dello Stato e tenuti sotto monitoraggio 24 ore su 24 da medici molto competenti e gentili per due settimane. Quindi, altre due settimane a casa sempre quotidianamente monitorati da dottori che hanno lavorato per noi fino a tarda notte. In tutta onestà, devo lodare il sistema cinese che si è dimostrato non solo molto efficiente, ma fatto di persone di grande umanità e devote nell’assolvimento dei loro compiti fatti soprattutto di volontariato.