Il Politecnico di Torino è una delle istituzioni pubbliche più prestigiose a livello italiano ed internazionale in tutti i settori dell’Architettura e dell’Ingegneria. Dalle prime iniziative di cooperazione strutturata con la Cina, come il progetto Politong con la Tongji University di Shanghai avviato nel 2006, il Politecnico ha dato un’importanza notevole ai rapporti con la Cina. Non a caso uno dei primi atenei italiani a nominare un delegato del Rettore specifico per questo Paese. Ne consegue anche il numero importante di studenti cinesi regolarmente iscritti al Politecnico, oggi 1.000, che rappresentano il 25% della popolazione studentesca straniera.

L’intervista è di Michele Bonino, Professore di Composizione Architettonica e Urbana, Delegato del Rettore per le Relazioni con la Cina.

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Come ha fronteggiato il Politecnico l’emergenza prima di tutto con i suoi studenti cinesi?
La popolazione studentesca non è nuova al Politecnico; dai primi 6 studenti nel 2006 è arrivata oggi ad oltre 1.000 studenti; perciò la loro comunità è ben organizzata, ha un’associazione con la quale abbiamo avuto un dialogo continuo fin dai primi di gennaio quando è scoppiato il caso Covid-19. Questo ci ha permesso di avere sempre informazioni aggiornate e valutare assieme a loro eventuali rischi.

Come è nato il progetto di Joint School di Architettura e Urbanistica con la Tsinghua University? Quali sono i risultati ?
Il progetto con la Tsinghua University, sviluppatosi negli ultimi anni, sta dando nel rapporto tra i due Atenei risultati strategici a cavallo tra ricerca e didattica. Prevede una doppia laurea di secondo livello (master) in Architettura, che dal 2015 sta dando un grande prospettiva di internazionalizzazione agli studenti di entrambe le università.  Ad esempio, 5 dei 6 laureati di Polito in questo programma hanno trovato importanti sbocchi professionali in studi cinesi o internazionali di architettura. Anche il Joint PhD è una grande novità, coinvolge i giovani dottorandi in un percorso interdisciplinare – coordinato da un board misto di docenti – tra Architettura, Urbanistica e Progettazione del paesaggio. Questa è una prima esperienza per il Politecnico ma anche per la Tsinghua University.

Potrebbe essere definito come un esempio di sintesi tra culture oltre che come una scuola di formazione di una nuova generazione di ingegneri?
Assolutamente si, permette di sviluppare nuovi modelli progettuali tra Oriente ed Occidente. Nel campo dell’Architettura consente di far emergere le nostre competenze sull’Urban Design, dove esiste una forte tradizione in Italia. Sul lato ingegneristico, è più difficile, ma i nostri ricercatori hanno fatto prova di grande maestria nell’approccio interdisciplinare, ad esempio tra le tecnologie di IA e Automotive. Insomma, è uno scambio reciproco, alla pari, che permette di far nascere un connubio di competenze innovativo.

Come vi siete organizzati per affrontare i disagi implicati dall’emergenza coronavirus?
All’inizio di questo semestre avevamo in tutto 35 studenti in partenza per la Cina perché coinvolti in progetti di mobilità. Abbiamo cercato di trovare le soluzioni migliori per gli studenti; talvolta posticipando al prossimo semestre il loro periodo in Cina; talvolta frequentando corsi on-line oppure equiparando alcuni corsi di Torino con quelli delle università partner cinesi per evitare ogni ritardo. Anche sul lato dei progetti di ricerca abbiamo avuto imprevisti. La Biennale di Architettura che abbiamo aperto a Shenzhen il 21 dicembre con un pool di atenei è stata prematuramente chiusa un mese dopo, o ancora abbiamo posticipato a dopo l’estate la mostra sulle Città Cinesi, che faremo al Museo d’Arte Orientale di Torino a Settembre prossimo.