L’Università degli Studi di Bergamo rappresenta senz’altro il cuore pulsante della città, capace di attrarre docenti e studenti dall’Europa e dal mondo. Un ateneo giovane e fortemente legato al territorio, con numerose collaborazioni con aziende ed enti locali, ma anche capace di rispondere alle spinte emergenti dal quadro nazionale e da quello internazionale. Da alcuni anni ha rafforzato la collaborazione con la Cina, diventando un punto di riferimento nei processi di internazionalizzazione con il Centro bilaterale di Trasferimento Tecnologico.

L’intervista è di Sergio Cavalieri, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, dell’Informazione e della Produzione e Prorettore delegato al trasferimento tecnologico, all’innovazione e alla valorizzazione della ricerca.

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La provincia di Bergamo è stata tra le regioni più colpite d’Italia in questa emergenza sanitaria Covid 19, quale ruolo ha giocato l’università nella gestione e quale ruolo può giocare domani nella rinascità della regione dopo l’emergenza?
Per la nostra provincia l’epidemia COVID-19 ha avuto lo stesso impatto di un vero e proprio tsunami: inatteso, violento, dilagante, è penetrato in tutte le valli risalendo fino alle alture delle montagne colpendo e coprendo di lutti comunità e famiglie. Si può dire che una generazione di persone, che rappresentavano la memoria storica e la saggezza dei territori, è stata spazzata via da questo nemico invisibile e subdolo che ancora emerge a distanza di tempo. Come università, visto anche il nostro ruolo di operatore culturale e di formazione, abbiamo cercato il più possibile di attutire questi effetti dando continuità alle nostre attività didattiche attraverso uno sforzo direi eroico di tutto il nostro personale tecnico e dei docenti che, da un giorno all’altro, hanno riconvertito programmi e contenuti dei loro corsi per permetterne l’erogazione a distanza. E ancora più importante sarà il ruolo che la nostra Università giocherà nel futuro per ricostruire e dare speranza ad un tessuto umano, sociale, economico fortemente provato e lacerato da questa immane tragedia.

La vostra università ha intensificato la cooperazione con la Cina in questi anni, come avete mantenuto i rapporti e le attività con istituti cinesi in questo periodo di emergenza?
Abbiamo sin da subito manifestato la nostra vicinanza e solidarietà ai colleghi cinesi durante il primo periodo di diffusione dell’epidemia in Cina. Temevamo per loro, viste le notizie che provenivano dai media cinesi. Avevamo in programma di organizzare a luglio a Pechino l’edizione 2020 della Summer School del CI_LAM, la piattaforma di collaborazione sui temi dell’advanced manufacturing realizzata, lato italiano con la collaborazione dei colleghi di Federico II, Campania New Steel e il supporto di Città della Scienza, e, lato cinese, con Tsinghua University e una cluster di aziende che operano in ambito automazione e robotica. Fino all’ultimo avevamo sperato di poterla confermare ma ci siamo poi dovuti arrendere per via del dilagare dell’epidemia prima in Cina e poi, a stretto giro, da noi in Italia. Quelle attestazioni di solidarietà che avevamo inizialmente espresso per i nostri amici cinesi si sono successivamente tradotte in disponibilità e offerte concrete d’aiuto da parte loro nei nostri confronti nel momento in cui in tutto il mondo scorrevano le immagini di una Bergamo profondamente ferita nel dolore e letteralmente in ginocchio.

L’Università di Bergamo è partner del Centro Italia-Cina di Trasferimento Tecnologico con l’Università di Napoli federico II e Città della Scienza, come cambierà la cooperazione con la Cina dopo l’emergenza Covid 19 in ambito ricerca-innovazione?
Questa drammatica esperienza sta esercitando un impatto che, nei fatti, non sta risparmiando alcun Paese nel mondo. Essa ci porta ancora di più a riconoscere come nel nostro bellissimo pianeta la natura non conosca confini e delimitazioni di natura linguistica, religiosa o culturale, anche quando purtroppo ci mostra il suo lato più doloroso. E a essere ancora più consapevoli di come il sapere scientifico e la ricerca siano beni preziosi, fonti di prosperità e benessere, in grado di garantire un reale progresso all’umanità. Questo può avvenire solo attraverso forme di collaborazione più strette tra i diversi Paesi, in cui si possano al meglio valorizzare e completare le singole eccellenze presenti a livello locale. Nella pur immensa tragedia che stiamo ancora vivendo, cogliamo l’opportunità legata al fatto che questa esperienza abbia ancora di più avvicinato due popoli che hanno sofferto forse più degli altri la violenza di questa epidemia e che, nel dolore, hanno mostrato di volersi reciprocamente aiutare per cercare di battere questo comune nemico.