Dati su Internet, l’ Europa è a una svolta epocale

“È un evento colossale. Cambierà la vita di 500 milioni di cittadini europei. Un avvenimento di importanza paragonabile all’adozione dell’euro”. Così Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford dove dirige l’Internet Institute, commenta l’approvazione da parte del Parlamento europeo del General Data Protection Regulation (GDPR), il regolamento che, dal 14 aprile,  unifica ed estende le direttive per la protezione dei dati negli stati membri dell’Unione.

Con il GDPR privacy obbligatoria in tutti gli stati UE

Il nuovo regolamento, che Floridi ha analizzato nel corso della conferenza “Di chi sono i dati? Proprietà e accesso alle informazioni nell’era di Internet” organizzata dal Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara, è frutto di quattro anni di complesse negoziazioni tra Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea e Commissione europea. L’obiettivo è semplificare e armonizzare le normative sulla protezione dei dati sensibili nell’ambito degli affari internazionali. Per la prima volta riguarda anche le imprese extraeuropee che gestiscono dati di soggetti residenti nell’Unione Europea.

Entro due anni dalla data di pubblicazione, tutti gli Stati membri dovranno adottarlo così com’è, senza ulteriori passaggi legislativi nazionali. Il controllo della tutela dei dati personali sarà affidato ad autorità dei singoli stati. Il regolamento prevede la nomina di funzionari per la protezione dei dati onde fornire consulenza alle imprese e verificare il corretto trattamento dei dati sensibili appartenenti ai soggetti in relazione con le imprese. Le autorità sovrintendenti dovranno essere informate nel caso si verifichino inadempienze o fughe di dati.

Fatte salve le situazioni in cui sono in gioco la sicurezza, l’ordine pubblico, le indagini criminali e i procedimenti penali, il livello di privacy che si vuole garantire è piuttosto alto, al punto che un certo numero di imprese extraeuropee potrebbero risultare non più idonee al trattamento dei dati dei propri utenti. E le sanzioni comminate saranno molto severe: possono arrivare al 4% del fatturato globale, e, nel caso di una multinazionale come Google, questo si aggirerebbe sui tre miliardi di dollari.

L’accesso ai dati è il nuovo potere

Perché questa legge è così importante? Perché stabilisce, appunto, che colui a cui i dati appartengono ha il diritto a controllarli. “I dati, afferma Floridi, non mi appartengono come un capo di abbigliamento, ma piuttosto come una parte del mio corpo. Fanno parte della mia identità.”

Nella moderna società dell’informazione il potere sta nel controllo dei dati, poiché è il controllo – e non il semplice possesso – che ne determina l’effettiva disponibilità e la fruibilità. “Se un contenuto non viene indicizzato da un motore di ricerca, è come se non esistesse, afferma  Floridi. Chi possiede i dati conta molto meno di chi ne controlla l’accessibilità e la localizzazione. Emblematico il caso di The Guardian, che ha affermato che tutto il suo archivio è diventato accessibile quasi unicamente tramite Google. Ne consegue che quando Google decide di non indicizzare un articolo, è come se questo non fosse mai esistito.”

Le piattaforme sono le eminenze grigie dell’infosfera

 Se chi controlla l’accesso ai dati è colui che detiene il potere, le società come Amazon, Airbnb, Facebook e soprattutto Google sono gli attori più potenti dell’attuale realtà, caratterizzata dal progressivo espandersi dell’infosfera. Floridi le definisce le “eminenze grigie” della società dell’informazione.

Il loro funzionamento si basa anzitutto sul “two-sided market”: l’inserimento di una piattaforma (come Google o Amazon) tra due parti interessate a comunicare e a effettuare scambi di tipo commerciale, ad esempio un compratore e un venditore. Il soggetto che gestisce la piattaforma non produce di per sé beni o servizi, ma fungendo da intermediario guadagna sulle commissioni. In base a questo meccanismo, Airbnb, pur non possedendo edifici, è il più grande fornitore di alloggi al mondo, Uber è la compagnia di taxi più grande e non ha un veicolo di proprietà, Facebook è il campione dei media mondiali senza produrre alcun contenuto e AliBabà non ha magazzino, pur essendo il negozio di musica di maggior valore.

La seconda mossa con cui le eminenze grigie acquisiscono controllo e potere è definita commoditization.

Da un lato, quello che una volta non aveva valore di mercato viene ora trasformato in merce, come avviene con le interazioni sociali e le “conversazioni” nei social media. Dall’altro, la merce perde la sua identità di marca e di attributi specifici, e diventa totalmente generica: il compratore di un frigorifero su internet, ad esempio, non percepisce più la differenza tra i prodotti di differenti aziende, e di conseguenza la competizione diventa indifferenziata. “In questo modo di fatto viene tolto il potere alle aziende che lo detenevano, spiega Floridi. Quando Amazon pubblica gratuitamente centinaia di migliaia di libri, oppure quando Google digitalizza tutti i libri del mondo, la casa editrice che basava il suo potere economico su quel servizio perde il potere di determinare il prezzo dei suoi prodotti”.

Un ulteriore passaggio è quello della cosiddetta “economia del dono”, con cui i beni e i servizi vengono forniti gratuitamente al consumatore finale. In questo contesto chi usufruisce del bene diventa un semplice utente, privo di qualsiasi diritto, perché non è né cittadino, né votante, né cliente. Chi riceve un regalo non ha la facoltà di criticarlo.

L’economia del dono è tenuta in piedi proprio a spese di coloro a cui, essendo stato sottratto il potere di competere con le caratteristiche dei loro prodotti, hanno bisogno di rendersi visibili tramite la pubblicità. “L’industria dell’analogico paga l’industria del digitale per pubblicizzare se stessa, afferma Floridi, e lo fa in modo autolesionista. Perché la pubblicità alimenta se stessa: più si fa pubblicità, più si ha bisogno di farla.” Ne è la prova la quantità di denaro spesa ogni anno in pubblicità, pari a circa 400 miliardi di dollari, una cifra paragonabile al PIL della Svezia.

Debolezza dei soggetti politici

Nessun soggetto socio-politico, incredibilmente, entra in alcuno di questi meccanismi. Tutto il potere viene lasciato nelle mani di queste grandi società. “Una massa di potere enorme, commenta Floridi, che per il momento è esercitato in maniera benigna. Ma il giorno in cui le cose dovessero cambiare, non abbiamo strategie per difenderci. È come se avessimo lasciato le chiavi di casa nostra in mano a Google; se un giorno questi decidesse di usare le chiavi per derubarci, non avremmo la possibilità di difenderci.”

Questo potere è straordinario, ma allo stesso tempo il meccanismo su cui si basa è molto fragile. “È un palloncino che può forarsi quando viene toccato da uno spillo, afferma Floridi, e lo spillo è la legislazione.” Se si stabilisse, ad esempio, che la pubblicità online è illegale, tutto il modello della economia del dono crollerebbe, perché gli utenti dovrebbero ricominciare a finanziare il sistema, così non sarebbero più utenti e tornerebbero a essere clienti. Non è dunque un caso che nel 2015 Google abbia superato Lockheed Martin (difesa) e Exxon Mobil (compagnia petrolifera) in investimenti per lobbying, volti a evitare che la legislazione vada a compromettere le fondamenta del proprio potere.

Date queste premesse, il GDPR è un importante primo passo per normare il sistema a favore dei cittadini europei, e un tentativo dell’Europa di riportare il potere nelle mani di chi possiede i dati.

Diritto all’oblio e diritto alla cancellazione

Il GDPR regolamenta anche un aspetto importante, cioè il diritto all’oblio: il diritto di un individuo ad impedire la diffusione di notizie potenzialmente infamanti pertinenti il suo passato. Nel regolamento europeo, questo viene rimpiazzato da un più blando diritto alla cancellazione: il soggetto può richiedere la cancellazione dei dati personali nei casi in cui i propri diritti fondamentali hanno la precedenza sugli interessi di chi elabora e gestisce i dati.

Secondo Floridi, nel caso del diritto all’oblio nella società dell’informazione due diritti vengono in contrasto: il diritto alla privacy e quello alla libera informazione.

Fino a questo momento, la soluzione adottata dalla politica è stata quella del bilanciamento, del compromesso fra i due diritti, variabile di volta in volta a seconda delle situazioni. Ma in questo modo non si è trovata una soluzione, si è soltanto spostato in avanti il conflitto. Nel caso di Google, secondo la legislazione vigente, l’utente può fare richiesta di cancellare i propri dati, ma è la società di Mountain View che valuta caso per caso. Il che è assurdo se si pensa che l’intervento legislativo servirebbe appunto a riacquisire potere sui dati.

Secondo lo studioso di Oxford, nella società non c’è consapevolezza del rischio che si corre mettendo l’essenza della propria identità in mano a questi colossi aziendali. Questa mancanza di consapevolezza è resa evidente dalla scarsa attenzione prestata dai cittadini e dai media al GDPR, e il potere politico riflette sostanzialmente la mancanza di interesse dell’utente.