Eliminare le contraddizioni di sistema per valorizzare le competenze 4.0

Lo spunto per una riflessione sull’evoluzione delle competenze nell’ottica di Industria 4.0 e sulla necessità di disporre non solo di programmi educativi e percorsi formativi in grado di favorire lo sviluppo di tali competenze, ma anche di avere sistemi affidabili per la loro validazione e certificazione, nasce dalla lettura di un articolo pubblicato sul sito dell’Harvard Business Review.

Gli autori, partendo da una considerazione circa la crescente diffusione delle tecnologie di Intelligenza Artificiale, evidenziano alcuni limiti che caratterizzano il modo in cui – negli USA – le imprese si approcciano ad esse. Se è vero, infatti, che circa l’80% delle imprese sta già investendo in tecnologie di Intelligenza Artificiale, è altrettanto vero che molte di esse falliscono nel mettere bene a fuoco il reale set di competenze e profili professionali di cui hanno bisogno per una loro efficace implementazione.

Si tratta si una problematica ben visibile in un contesto come quello americano – sicuramente più maturo in termini di investimenti in questo ambito – ma che appare ancor più evidente e complessa quando prendiamo come riferimento il nostro Paese, non solo per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale, ma anche l’intero mondo legato a Industria 4.0.

Sia chiaro: a un livello “macro”, il fabbisogno di competenze  inerenti l’universo 4.0 è ben conosciuto e delineato nelle indicazioni del Piano Nazionale Impresa 4.0. Nei confronti di tali macro-competenze, sia il sistema dell’istruzione, sia gli operatori della formazione hanno dimostrato una buona reattività nel riorientare e riqualificare la propria offerta (la proposta della D.RE.A.M. Academy e il catalogo di corsi dedicati alla Digital Innovation messo a punto da Città della Scienza ne sono un evidente esempio). Ciò che manca, a un livello più specifico, è un sistema strutturato di classificazione e certificazione di tali competenze, ovvero una loro codifica all’interno dei repertori regionali e nazionali che consenta, da un lato, una più efficace messa a punto degli interventi formativi e, dall’altro lato, permetta una reale valorizzazione del know-how acquisito e/o posseduto dai lavoratori.

Proprio tale mancanza può generare confusione e disorientamento da parte delle imprese e dei lavoratori nel “mettere a fuoco” le competenze da sviluppare e, al contempo, pone in seria difficoltà i professionisti della formazione chiamati a progettare interventi efficaci e in grado di soddisfare realmente i fabbisogni di competenze attuali e futuri del sistema produttivo e dei suoi operatori.

Il progettista della formazione, infatti, deve costantemente confrontarsi con le contraddizioni del sistema di supporto alla gestione delle politiche formative, che rendono inconciliabili (salvo clamorose “forzature”) le opportunità/necessità formative con i vincoli che lo stesso sistema, spesso, impone.

Da un lato c’è il Piano Nazionale Impresa 4.0, che definisce le principali aree di indirizzo per cogliere le opportunità legate alla Quarta Rivoluzione Industriale e mette a disposizione una pluralità di azioni per supportare gli investimenti delle imprese. Dall’altro lato, ci sono i limiti che confliggono con tali indicazioni e che diventano penalizzanti soprattutto in presenza di specifici vincoli o regole da seguire.

Per avere un’idea chiara di quali siano queste incompatibilità e di quali effetti esse producano, si deve partire dalla considerazione che sempre più spesso le istituzioni e gli organismi che finanziano la formazione continua dei lavoratori (si pensi, a titolo di esempio, ai più recenti Avvisi del Conto di Sistema di Fondimpresa) richiedono agli enti di formazione una progettazione “per competenze”. Con questo termine ci si riferisce alla costruzione di un impianto formativo che identifichi in maniera inequivocabile gli obiettivi da perseguire in termini di competenze, conoscenze e abilità associando queste ultime a una specifica figura professionale – riconosciuta e normata – da formare. La progettazione per competenze deve necessariamente essere realizzata attingendo ai repertori regionali delle competenze o all’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni curato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP).

Obbligare gli enti formativi a seguire una progettazione per competenze è, almeno a livello teorico, una scelta corretta per almeno due ragioni. La prima, è perché essa costringe tutti gli attori coinvolti (gli enti di formazione, i formatori, le imprese beneficiarie e i lavoratori) a concepire il singolo momento formativo come parte di un più ampio processo di lifelong learning. La seconda è perché consente (grazie alla correlazione tra gli obiettivi formativi e i repertori delle qualificazioni professionali) di certificare le competenze dei lavoratori sostenendone, mediante il libretto formativo, l’employability, ovvero la spendibilità all’interno del mercato del lavoro.

Si tratta, però, anche di una scelta che, nel caso della formazione delle figure professionali inerenti industria 4.0, si scontra con le palesi difficoltà di applicazione di un approccio progettuale per competenze. Questo accade perché mancano, ad oggi, figure professionali e competenze “normate” negli ambiti di Industria 4.0.

A causa di tale mancanza, il progettista si ritrova costretto a operare delle forzature per rendere conciliabile l’impianto formativo con i vincoli imposti dal sistema e con le risorse disponibili. Accade pertanto, ad esempio, che un programma finalizzato a formare degli specialisti nell’analisi dei big data venga associato al più generico profilo di “tecnico gestore di basi di dati” presente nel repertorio dell’Atlante INAPP del Lavoro e delle Qualificazioni. È ovvio che non si tratta dello stesso profilo professionale, ma è solo grazie a una simile forzatura che il progettista riesce a rispettare il vincolo che impone di indicare ruoli e competenze professionali partendo da repertori già codificati e normati.

Questa forzatura consente al progettista di superare un problema tecnico/procedurale ma, al contempo, ha come effetto negativo quello di sminuire il valore delle competenze acquisite dalle risorse formate, che non vedono correttamente riconosciuto il proprio know-how nel libretto formativo.

Proprio i lavoratori, che dovrebbero essere i principali beneficiari della formazione, si ritrovano penalizzati e costretti a vivere una situazione paradossale che li vede, da un lato, possessori di specifiche competenze particolarmente ambite dal sistema produttivo e, dall’altro lato, impossibilitati a spendere pienamente nel mercato del lavoro tali competenze perché esse non sono correttamente indicate e specificate nel libretto formativo.

Appare pertanto evidente che la Quarta Rivoluzione Industriale, per essere realmente completata, necessiti dell’integrazione delle già presenti (e consistenti) politiche di sensibilizzazione e di incentivazione agli investimenti e alla formazione con una concreta revisione dei modelli e dei repertori delle figure professionali che consenta il pieno riconoscimento della formazione ricevuta e delle competenze acquisite.