Un esperimento di condivisione e di promozione della scienza: Agorà Scienza

Il Centro Agorà Scienza compie i suoi primi 10 anni di vita e questo fornisce l’occasione per fare una rassegna dei motivi per cui il Centro è nato, di quali risultati ha ottenuto e, implicitamente, per verificare se: 1) il Centro si è mantenuto coerente agli scopi per cui era nato, 2) gli scopi per cui era nato sono stati raggiunti o almeno ci si è avvicinati a raggiungerli e, 3) per chiedersi quali sono le prospettive e gli eventuali nuovi obiettivi.

Verso la fine del secolo passato, si sono verificati in Italia (ma non solo in Italia) due eventi inattesi dalla maggior parte degli addetti ai lavori universitari. Il primo è stato il crollo delle cosiddette vocazioni scientifiche: gli studenti che si iscrivevano all’università disertavano gli studi scientifici e sviluppavano una sempre crescente tendenza a iscriversi piuttosto a corsi di “scienze” in senso esteso – sociologiche, economiche, comunicazionali, politiche ecc. In generale, a corsi definiti da qualche scienziato preso in contropiede da questo evento, “scienze del vuoto e del nulla”. Il secondo evento, forse perfino più grave e probabilmente almeno in parte correlato al primo, è stato una crescente disaffezione verso la formazione superiore che si è tradotto presto in un atteggiamento pericolosamente punitivo verso l’università da parte della politica. Si pensi che, in termini di euro corretto dall’inflazione (linea blu di Fig. 1), il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) era nel 2013 inferiore ai valori del 1996 e che tra il 2005 e il 2013 ha subito un calo del 20% circa.

Evoluzione fondo di finanzioamento ordinario

Questo, senza voler fare confronti con altri paesi europei (come rilevava “Il sole 24 Ore” del 10 Dicembre 2015, “l’Italia investe oggi meno di 7 miliardi, la Germania 26”). A sua volta, questo ha determinato un atteggiamento non solo punitivo ma aggressivamente negativo nei confronti della cultura in generale. La conseguenza prima è stata una fuga dei migliori ricercatori italiani all’estero. Resta ancora nella memoria il ricordo di un vice ministro dell’Università che alla segnalazione che i migliori ricercatori italiani stavano lasciando il paese per disperazione, reagiva dicendo che “ne sarebbero comunque rimasti in numero sufficiente a presidiare la ricerca”. In quegli stessi anni, chi, anche in ambienti accademici (anche in senati accademici e consigli di amministrazione) avesse insistito sulla necessità di rilanciare la ricerca scientifica, avrebbe potuto notare segni di sia pur educata insofferenza da parte dei suoi colleghi; un po’ come se stesse proponendo cose non eticamente corrette. Si dibatte su quanto costi (in termini puramente economici) “produrre” un dottore di ricerca e la stima è che, tutto fuori, si tratti di alcune centinaia di migliaia di euro. Moltiplicato per le decine di migliaia di giovani che sono stati attratti da altri paesi negli ultimi quindici anni, il conto di quello che questa “politica” è costato all’Italia fa paura.

Bisogna ammettere, però, che anche le università o meglio, gli universitari, avevano le loro colpe e, forse, si erano abituati troppo a operare in un clima di privilegi non tanto economici quanto psicologici. Per non pochi professori e ricercatori universitari, l’idea di libertà accademica della ricerca non infrequentemente veniva interpretata come giustificazione per uno status di sostanziale impunità al venir meno degli obblighi fondamentali di didattica e ricerca. Bisogna anche, per dovere di cronaca, ricordare che già alcuni decenni prima che si riconoscesse l’esistenza del problema, alcuni sociologhi (soprattutto all’estero) avevano indicato il rischio di un progressivo aumento dello scollamento tra ricerca e società e avevano proposto una successione di strumenti via via perfezionati o almeno modificati nel corso del tempo. Non entreremo in queste dinamiche ma ricordiamo soltanto che nel 1985 il rapporto Bodmer della Royal Society of London propone il PUS (Public Understanding of Science) che, riconosciuto inadeguato, viene sostituito dalla proposta del PEST (Public Engagement with Science and Technology) agli inizi del nuovo millennio. A posteriori, in tutte queste successive proposte non si potrà non riconoscere da un lato una loro validità ma dall’altro un limite operativo non facilmente riconoscibile e ancor meno facilmente affrontabile. Ma da queste prime proposte nascono in Europa risoluzioni concrete soprattutto in alcuni paesi nordici quali UK, Svezia, Danimarca. D’altra parte, anche in Italia da tempo ormai si parla di Terza Missione dell’Università (e, più recentemente di Public Engagement) come di un necessario adeguamento della tradizionale Università humboldtiana basata su didattica e ricerca alle nuove necessità della società della conoscenza.

In Italia, poi, uno dei problemi più gravi (e tuttora non completamente risolti) era il bassissimo livello numerico di laureati. Questo problema è stato alleviato in parte dalla riforma Berlinguer-Zecchino ma l’Italia resta uno dei paesi OCSE con il numero più basso di laureati.

Molte cose sono successe da quegli anni. Per cominciare, la peggior crisi economica degli ultimi 80 anni ha dato un impulso formidabile (ancorché nel peggiore dei climi) alle attività con cui si era cercato di rilanciare gli studi scientifici e la crisi delle vocazioni scientifiche ricordata sopra appare oggi in larga misura superata. In compenso, il numero di giovani che presa la maturità si iscrivono all’università è andato progressivamente calando negli anni fino al 2015 e non sono molti gli Atenei (Torino è uno di questi) in controtendenza. Soprattutto, però, a seguito delle molte iniziative prese negli ambienti più disparati ma anche dei moniti lanciati molto in alto (i presidenti Ciampi prima e Napolitano poi hanno in più occasioni ribadito la necessità di ristabilire una fiducia nella ricerca e di dedicarle maggiori risorse di cui si è peraltro largamente ancora in attesa), parlare di ricerca e ribadirne l’assoluta urgenza è diventato linguaggio corrente e, anche se siamo ben lontani dall’aver risolto il problema, almeno l’atteggiamento è mutato. I giovani migliori continuano ad andarsene ma forse un po’ meno che negli anni passati. Semmai, oggi si potrebbe segnalare il rischio che, continuando a parlarne, facendo molto poco per risolvere il problema alle radici, ci si abitui a farlo e si dia per risolto il problema visto che tutti ne parlano. Più interessante, però, è che la sensazione di disagio accademico descritta brevemente sopra ha spinto molti atenei a porsi la domanda di se ed eventualmente come affrontare una sfida di cui alcuni percepivano l’insorgere o l’esistenza ma di cui non era evidente la soluzione. Molti si son limitati a registrare il disagio ma non pochi hanno affrontato il problema “in qualche modo”. Torino è stata una delle prime ma forse è anche giunto il momento di cominciare a pensare ad azioni coordinate.

In quanto segue, descriveremo brevemente lo strumento con il quale l’Università di Torino prima e gli Atenei piemontesi poco dopo, hanno deciso di affrontare questo problema creando il Centro Agorà Scienza (dal 2006 al 2009 Centro delle Facoltà dell’Università di Torino e dal 2009 Centro Interuniversitario delle quattro Università piemontesi, Università di Torino, Politecnico di Torino, Università del Piemonte Orientale e Università di Scienze Gastronomiche).

Il nome stesso indica la missione proposta al Centro: Agorà segnala come l’enfasi fosse (e rimanga) sulla necessità di comunicare e aprirsi verso la società e Scienza indica nella scienza l’oggetto prioritario di questa apertura. Essenziale nella nascita e nella vita del Centro era che tutto si svolgesse nell’ambito dell’Università e non al suo esterno come avviene per la maggior parte degli enti che si occupano di divulgazione della scienza. In altre parole, vitale è che partecipasse alla vita quotidiana dell’Università. Per questo motivo, sottolineato nella Convenzione con cui il Centro venne istituito è che uno dei suoi compiti principali fosse far uscire lo scienziato dalla sua tradizionale torre d’avorio in cui già Lucrezio lo vedeva rinchiuso a contemplare da lontano il popolo affannarsi a lavorare nella piana lontana: il ricercatore deve interagire con la società e integrarsi in essa. Già molti decenni orsono, provocatoriamente, il primo Presidente dell’allora giovane Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il professor Gilberto Bernardini fingeva di sbagliarsi proponendo la versione “iron tower” invece di “ivory tower”. L’idea alla base del proporre la nascita del Centro era proprio quella di riconoscere la necessità che il ricercatore imparasse a spiegare al suo committente, la società, non solo la possibile utilità pratica ma prima ancora la necessità morale e logica della sua ricerca. Conseguenza inevitabile allora come ora è che le Università (e i Centri di Ricerca) si dovessero aprire verso l’esterno in dialogo e in ascolto.

Lo scopo che ci proponiamo qui non è né quello di fare confronti con altri strumenti nati altrove né sulla loro utilità relativa ma solo di verificare brevemente come questa missione sia stata interpretata con la nascita di Agorà Scienza e in quale misura sia stata soddisfatta. Semmai, ripetiamo, sarebbe il tempo di coordinare sforzi e obiettivi. È però bene chiarire che gli strumenti messi a disposizione di Agorà Scienza sono stati elargiti con estrema parsimonia e solo una convinta perseveranza e il sacrificio dei suoi componenti sono stati condizione assoluta per i risultati raggiunti. Il vantaggio, peraltro, per chi volesse approfondire, è l’aver dimostrato come molti risultati si possono ottenere anche con risorse molto modeste. Questo non è, ovviamente, né un vanto né un incoraggiamento a limitare le risorse ma solo un elemento per argomentare che molto di più si sarebbe potuto fare con risorse più adeguate. Come commento subordinato, peraltro, osserviamo ancora che il mutato clima (sia localmente che su base nazionale) ha anche migliorato sia pure in maniera non ancora totalmente soddisfacente la situazione anche da questo punto di vista.

Le azioni di Agorà Scienza si sono, dal suo inizio, indirizzate verso quattro filoni principali: i) la scuola (studenti e docenti), ii) i ricercatori, iii) la società, iv) la ricerca.

Non sarà possibile coprire in maniera adeguata tutte queste linee di azione ma per questo rinviamo alle ormai numerose pagine nelle quali approfondire la tematica (tutti reperibili all’indirizzo web www.agorascienza.it).

La scuola è certamente il filone su cui maggiore è stato l’impegno di Agorà Scienza e, per restare agli aspetti principali, entreremo solo in 4 delle molte attività svolte e cioè:

  1. Scienza attiva (vedi www.scienzattiva.eu)
  2. Scientific Summer Academy
  3. Bambine e bambini un giorno all’Università
  4. Il Parlamento Europeo degli studenti

Accanto a queste menzioneremo soltanto altre attività pur importanti che il Centro porta avanti da anni nei confronti della scuola e cioè alcune giornate dedicate a un tema particolare; giornate cui partecipano sempre varie centinaia di studenti: 1) lo UniStemday organizzato sulle cellule staminali da UNISTEM (Mi) che Agorà Scienza organizza a Torino da sei anni e, 2) il Nanoday, emanazione di un progetto che Agorà Scienza organizza da ormai quattro anni sulle nanotecnologie. A queste, aggiungeremmo, a uno stadio del tutto preliminare, discussioni con le istituzioni del territorio su un loro possibile coinvolgimento più stretto ed operativo (se son rose fioriranno per cui non ci soffermeremo qui su questo punto).

Scienza Attiva è numericamente il più importante dei progetti per la scuola ideati e gestiti da Agorà Scienza. Nato nel 2010 in occasione dello EuroScience Open Forum (ESOF) che si era tenuto nel 2010 a Torino e di cui Agora Scienza è stata partner, si rivolge alle scuole superiori e si sviluppa integralmente via web nel corso dell’intero anno scolastico usando i metodi della democrazia partecipativa. Alle classi che si iscrivono, si chiede di scegliere uno fra alcuni temi di alto interesse scientifico (ogni anno diversi e in genere trasversale ai curricula scolastici come, per esempio, cellule staminali, energia, clima, acque, nanoscienze e, nel 2015, agro-alimentare). Il tema, prima discusso in classe per accertarne le conoscenze iniziali, viene poi approfondito con l’appoggio della documentazione che un nutrito gruppo di esperti (ricercatori universitari e di Enti di ricerca) ha nel frattempo messo in rete. Gli stessi esperti rispondono anche, sempre via web, alle domande e alle sollecitazioni dei ragazzi e dei loro insegnanti. Il progetto si conclude con proposte degli studenti che, dibattute, eventualmente modificate ed approvate, vengono presentate alle istituzioni, ai media e al mondo della ricerca. Il progetto mette così in relazione interattiva studenti, i loro docenti e ricercatori universitari massimizzando l’obiettivo al minimo dei costi! Partito come esperimento locale, si è ampliato alla Lombardia nel 2011 ed è stato esteso a tutto il territorio nazionale a partire dal 2012. Oggi raggiunge poco meno di 5.000 studenti all’anno di tutta Italia e nel complesso ha raggiunto circa 15.000 studenti coinvolgendo all’incirca un migliaio tra ricercatori e docenti di scuola. Scienza Attiva ha vinto due prestigiosi riconoscimenti internazionali come progetto di outreach e science education interamente progettato e sviluppato da un ente universitario in Europa.

Scientific Summer Academy (SSA) è un progetto partito anch’esso con ESOF, al contrario di Scienza Attiva che agisce su grandi numeri, la SSA si rivolge ogni anno a una cinquantina tra i migliori studenti del territorio piemontese che sono selezionati (la candidatura è individuale ma viene approvata dai docenti di riferimento) in vista di un’intera settimana di full immersion: ogni mattina un giovane ricercatore li intrattiene su temi di alto impatto scientifico e il pomeriggio, divisi in gruppi di non più di tre unità, sono cooptati in laboratori delle Università per partecipare direttamente alle ricerche che ivi vengono svolte. Esperienza entusiasmante a detta dei partecipanti. Una verifica fatta dopo cinque anni di operatività ha mostrato che quasi tutti gli studenti che si sono iscritti all’Università (il 70% circa) si sono iscritti a corsi di indirizzo scientifico (ma, oggettivamente, si può pensare che ci fosse una predisposizione in questo senso da parte degli studenti che si erano candidati a partecipare alla SSA); l’80% di essi ha dichiarato che la loro percezione della scienza è stata profondamente influenzata dalla loro partecipazione alla SSA e, infine, il 60% ha dichiarato che la sua scelta universitaria era stata influenzata dall’aver partecipato alla SSA.

Bambine e bambini: un giorno all’Università è di nuovo un progetto di grandi numeri svolto con l’Assessore ai Servizi Educativi di Torino in cui al momento sono coinvolte alcune centinaia di classi con oltre 4.000 bambini all’anno. Le visite presso laboratori della Università di Torino li lasciano entusiasti. Oltre 10.000 i bambini finora raggiunti da questo progetto.

Il Parlamento Europeo degli studenti è un progetto che coinvolge ogni due anni un centinaio di studenti piemontesi insieme ad altri 2000 studenti circa di altri centri in tutta Europa. Divisi in gruppi di 20 unità ognuno, essi scelgono un tema scientifico a scelta su sette proposti centralmente, lo svolgono durante uno stage di tre giorni con il supporto di esperti e mediatori e alla fine lo dibattono unitariamente (nella Sala del Consiglio Regionale); eventualmente modificano le loro proposte e conclusioni che vengono poi votate. Un rappresentante per ogni gruppo (5 in totale, quindi) viene inviato nella città dove in quell’anno si svolge ESOF (nel 2016 Manchester) per confrontare, dibattere e approvare una risoluzione congiunta a livello europeo su ognuno dei temi. Questa risoluzione viene poi sottoposta sia alle autorità locali che a quelle della Commissione Europea.

Per concludere sui rapporti con la scuola, una stima grossolana ci porta a valutare in circa 12.000 unità il numero di studenti di ogni ordine e grado che Agorà Scienza nell’anno in corso avrà in qualche modo coinvolto. Probabilmente una non trascurabile componente alla ragione per cui il numero di matricole delle università piemontesi è tuttora in crescita.

Non possiamo soffermarci con uguale dettaglio sugli altri ambiti di attività di Agorà Scienza ma ci limiteremo ad alcune osservazioni generali.

Quale è il ruolo del Centro all’interno degli Atenei e in particolare nei confronti delle strutture di ricerca e dei singoli ricercatori? Dalla sua nascita, Agorà Scienza ha organizzato con il supporto della Compagnia di San Paolo, una scuola per dottorandi che nel corso dei dieci anni di questa attività ha raggiunto circa 500 ricercatori, dottorandi, assegnisti di tutte le università italiane e di tutte le aree disciplinari per una settimana all’anno di full immersion nella quale sono coinvolti in lezioni, discussioni, esercitazioni e approfondimenti ogni anno su un tema diverso del rapporto tra scienza e società e di comunicazione della scienza. In questo caso l’obiettivo è sensibilizzare i futuri ricercatori nei confronti della responsabilità che hanno verso la società e fornire loro alcuni strumenti di comunicazione.

Da sempre Agorà Scienza offre ai Dipartimenti e ai singoli ricercatori l’opportunità di partecipare attivamente ai diversi progetti di engagement offrendo quindi implicitamente occasioni di comunicazione dei risultati della ricerca. Ora da alcuni anni la proposta e l’offerta è diventata personalizzata e va dal supporto per la partecipazione a bandi competitivi, alla valutazione delle iniziative di Public Engagement e alla progettazione di specifiche iniziative.

Ai ricercatori e alle strutture di ricerca dell’Università di Torino, poi, Agorà Scienza offrirà presto uno strumento informatico avanzatissimo di comunicazione – in fase di completamento – che permetterà di comunicare la loro ricerca per mezzo di un portale web estremamente flessibile. Si sta lavorando perché questo portale porti a estendere anche all’industria la conoscenza della ricerca universitaria.

Vale anche la pena ricordare che oltre a un convegno svoltosi alcuni anni fa a Torino (L’Università: ponte tra Scienza e Società), Agorà Scienza nel 2011 ha organizzato un ciclo di 10 conferenze su “Il secolo della Scienza” in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e, infine, che nel dicembre 2015 si è tenuto, sempre a Torino, il primo Workshop nazionale “Destinazione Public Engagement” cui seguirà a breve una proposta concreta di lavoro a livello nazionale sulle attività di Public Engagement.

Per chiudere sugli aspetti della ricerca, limitiamoci a osservare che Agorà Scienza, oltre a un numero non indifferente di articoli, ha finora pubblicato due volumi presso il Mulino [De Bortoli, S. Scamuzzi (a cura di), Come cambia la comunicazione della scienza. Nuovi media e terza missione dell’università, Bologna, Il Mulino, 2012 e Scamuzzi , G. Tipaldo (a cura di), Apriti scienza, Bologna, il Mulino, 2015], sintesi dei risultati di altrettanti progetti di ricerca. Il secondo, in particolare, rappresenta una novità nel panorama italiano perché, rovesciando l’usuale linea che porta a chiedere alla società come vede la ricerca, chiede invece ai ricercatori come loro si collocano nei confronti della società. È evidente l’aspetto del tutto innovativo con cui questa indagine propone di estendere il Public Engagement nei prossimi anni. Innovativo, si badi, non soltanto in Italia.

Chiudiamo questa breve ma non brevissima rassegna con una veloce panoramica delle attività di Agorà Scienza nei confronti del grande pubblico che vanno dal già citato ESOF 2010 (che ha portato 5000 scienziati di 80 paesi a discutere per una settimana di scienza e del suo impatto sulla società), a quello che è certo il maggior sforzo fatto dal Centro con continuità dal 2006 ad oggi e cioè la Notte Europea dei ricercatori.

Di questo evento, che certamente non ha bisogno di presentazioni, è interessante analizzare l’andamento nel tempo visto che abbiamo avuto la fortuna e l’opportunità di sperimentarlo in Piemonte per tutte le sue prime dieci edizioni. In estrema sintesi il numero di attività organizzate è passato dal 2006 a oggi da 36 a oltre 150, il numero di enti coinvolti sul territorio da 9 a 94 (fra cui, assai importante, la recente partecipazione dell’Unione Industriale di Torino con un numero crescente di PMI), il pubblico da 7000 a oltre 30000 e infine i ricercatori direttamente coinvolti nell’organizzazione da 90 a oltre 800. In particolare l’ultimo dato è il più significativo perché descrive bene la crescente sensibilità del mondo accademico verso l’apertura al grande pubblico. Un breve riassunto dei dati si trova in Figura 2.

Report interno Agorà Scienza

In conclusione, crediamo di poter dire che su base regionale Agorà Scienza abbia risposto in modo rilevante alla sfida di far conoscere l’importanza di mettere in comunicazione reciproca il mondo della ricerca e quello della vita di tutti i giorni. Una stima certo molto grossolana ma probabilmente più per difetto che per eccesso ci porta a pensare che nei suoi dieci anni di vita Agorà Scienza abbia raggiunto non lontano da mezzo milione di persone cumulando tutte le sue iniziative (principalmente quelle per la scuola e per il grande pubblico).

Ora si presenta per il futuro un compito ben più arduo, ma non per questo meno entusiasmante. Da un lato mantenere e innovare le iniziative già avviate e dall’altro condividere l’esperienza di Agorà Scienza a livello nazionale e internazionale mettendo a frutto le competenze maturate e soprattutto progettando in sinergia con gli altri atenei italiani percorsi virtuosi di Public Engagement (che approfondiremo in un prossimo pezzo in questa stessa sede) che aiutino il nostro Paese ad uscire da questo pericoloso torpore. Restiamo a disposizione per eventuali idee, suggerimenti e proposte.