La terza (possibile) via della divulgazione scientifica

Scienza e società
Noi crediamo di vivere in un’epoca, ma in realtà viviamo in un’altra: un’epoca che non è mai passata. Tutti, infatti, pensiamo che il nostro sia un periodo storico dominato dalla scienza: mezzi di comunicazione e di trasporto supertecnologici; farmaci che, ogni giorno di più, riescono a risolvere i nostri problemi e ad allungare la nostra aspettativa di vita; possibilità di manipolare geneticamente piante, animali e perfino l’uomo. Però basta rallentare un attimo con l’entusiasmo per rendersi conto che non è propriamente così. Innanzitutto, molto spesso, complice la stampa e la televisione, si parla indistintamente di scienza e di tecnologia trasmettendo una certa confusione: si ritiene scientifico tutto ciò che è tecnologico, ignorando, di fatto, la dimensione propria della scienza, di cui la tecnologia è sicuramente un’applicazione e, talvolta, elemento grazie al quale elaborarne di nuova, ma non di certo il suo elemento principale. Qual è la sostanziale differenza tra la scienza e la tecnologia? La rapidità: la tecnologia dà tutto e subito, la scienza invece procede adagio. A volte molto adagio. Risulta quindi sempre più evidente come l’abitudine della nostra società alla tecnologia non abbia nulla a che fare con l’abitudine alla scienza, motivo per cui esiste un contrasto profondo tra la dimensione sempre più invasiva dei fattori tecnologici nella nostra società e la modesta consapevolezza collettiva del loro rilievo e delle loro implicazioni sul piano conoscitivo, economico e sociale.

La magia della tecnologia
L’abitudine della nostra società sembra, invece, molto più incline ad un altro fattore, quello della predisposizione innata dell’uomo alla “magia” e all’atteggiamento miracolistico in generale. Che cosa era, infatti, la magia? Che cosa è stata nei secoli e che cosa è ancora oggi, sia pure sotto mentite spoglie? Tra le tante risposte che è possibile dare forse la più convincente è quella data, qualche tempo fa, da Umberto Eco: “la magia è la presunzione che si possa passare di colpo da una causa a un effetto per cortocircuito, senza compiere alcun passo intermedio. La magia ignora la catena lunga dei passi logici che porta dalle cause agli effetti, ma soprattutto non si preoccupa di stabilire (provando e riprovando) se esista o meno un rapporto replicabile tra gli uni e gli altri. Di qui il suo fascino, dalle civiltà primitive” fino ad oggi. E la fiducia nella magia non si è per nulla dissolta con l’avvento della scienza sperimentale. Questo desiderio di simultaneità tra causa ed effetto si è trasferito alla tecnologia. Dunque oggi non risulta assolutamente strano che, soprattutto a livello comunicativo, quello che della scienza traspare e raggiunge il grande pubblico sia il suo aspetto magico. Con questa chiave di lettura è più semplice interpretare questa grave forma di dissociazione cognitiva che porta poi a notevoli impatti, negativi, nella società che viviamo. La cosa più difficile è comunicare che la ricerca è fatta di ipotesi, esperimenti di controllo, prove di falsificazione. Che, dunque, servono tempi lunghi, anche per la sua stessa comprensione.

Il ruolo della divulgazione scientifica
Cosa è possibile fare per contribuire ad una maggiore diffusione della cultura scientifica nella società? C’è qualche rimedio per riuscire ad abbandonare l’ineluttabilità della magia nella scienza? Occorre sicuramente mettere in cantiere una serie di azioni, a livello strutturale e politico, tra cui certamente rientrano quelle prettamente deputate ai sistemi formativi: spetta, infatti, alla scuola e all’Università in primis l’importante compito di educare gli studenti alla lentezza, tipica della comprensione dei procedimenti scientifici. Un altro importante ruolo, però, è giocato da tutte quelle forme strutturate di comunicazione e divulgazione scientifica che, nel corso di questi anni, si sono andate sempre di più imponendo all’attenzione del pubblico. Le principali sono:

1) le istituzioni/organizzazioni quali i Musei, le Città o i Centri della scienza che hanno dimostrato la loro efficacia nel sensibilizzare il grande pubblico alla ricerca, aiutandolo anche ad orientarsi nelle problematiche tecnico-scientifiche e, più in generale, a far crescere la consapevolezza sul ruolo tecnica e dell’industria nel mondo contemporaneo;

2) gli eventi di divulgazione quali i festival, gli open days nei centri di ricerca, la notte europea dei ricercatori e altre iniziative similari. Anche qui: l’efficacia è testimoniata non solo dalla grande partecipazione di pubblico, ma anche dell’attenzione crescente che ad essi rivolgono Paesi come gli Stati Uniti e la Cina, dove si sta assistendo al fiorire di nuovi eventi scientifici che riescono a coinvolgere fasce di pubblico varie per età e interessi culturali.

La possibile terza via della divulgazione
A queste due esperienze è possibile aggiungerne una terza? Una modalità anche economicamente meno impegnativa rispetto al realizzare un Festival o uno Science Center? La questione all’apparenza può sembrare banale, ma l’effetto in alcuni contesti geografici di “periferia” o con scarsità di investimenti deputati alle iniziative prima descritte, potrebbe sortire effetti significativi. L’idea è quella di utilizzare la storia della scienza quale nuova chiave di lettura per la narrazione di un territorio, di una città o di un contesto più ampio. Ripercorrere, da visitatori interessati, i luoghi che hanno dato i natali o che hanno ospitato l’operato di grandi scienziati e uomini di cultura, può essere il pretesto per narrare quelle vite e le loro scoperte: un nuovo modo attraverso cui riscoprire l’identità di un territorio e, allo stesso tempo, sensibilizzare la società alla scienza e alla sua lentezza. Una scienza, questa volta, vista non quale elemento atemporale e decontestualizzato, ma fortemente radicato nell’operato di uomini e donne che, in quei luoghi, hanno compiuto le loro ricerche e rivoluzioni.

L’esperienza di Liberascienza
Un primo esperimento in tale direzione è stato fatto dall’Associazione Liberascienza che ha realizzato un documentario di viaggio dal titolo “Dalla Terra Alla Luna”. La protagonista è una ragazza, in procinto di iniziare l’università, che esplora la lucania proprio grazie a questa nuova chiave di lettura. Quanto viene presentato è la Basilicata della scienza, dei luoghi nei quali sono nate idee, leggi, teoremi e conoscenze che hanno consentito lo sviluppo della cultura scientifica mondiale. L’itinerario parte dal tempio di Metaponto con la matematica di Pitagora e l’irrazionalità di Ippaso, per passare a Melfi e Lagopesole, nei castelli abitati da Federico II, Michele Scoto e Pier Delle Vigne, luoghi che hanno visto la stesura delle Costituzioni Melfitane e di uno dei più importanti libri di scienze naturali del medioevo: il De Arte Venandi cum Avibus. Si raggiunge poi Venosa, la città dei madrigali di Gesualdo, della poesia di Orazio e Tansillo e sede dell’Incompiuta, per fare tappa a Monticchio, nei luoghi esplorati da Giuseppe De Lorenzo sulle tracce della geologia e del Buddha, e a Sasso di Castalda: il paese natale di Rocco Petrone, ingegnere capo della missione Apollo 11 della NASA che ha portato l’uomo sulla luna. L’itinerario termina poi a Matera, la terza città più antica del mondo e sede dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Il documentario, completamente autoprodotto da Liberascienza, è stato acquistato da RAI CULTURA che ha deciso di mettere in programmazione lo stesso per i prossimi due anni sulle sue reti oltre che sulle sue piattaforme web.

Un’attenzione significativa da parte del network nazionale a un progetto sicuramente cinematografico, ma soprattutto apripista ad una possibile “terza via” della divulgazione della scienza.