Nutrirsi, un fenomeno complesso

Questo momento storico di grande attenzione al cibo rappresenta anche un’importante occasione di riflessione sui rapporti tra l’attività produttiva e il crollo della biosfera. Un concetto centrale richiede una revisione urgente: l’ambiente non è il luogo in cui l’uomo vive, ma il “sistema” al quale appartiene, di cui fa parte e di cui condivide le sorti. Sentirsi “parte” del sistema rappresenta infatti il primo passo per configurare nei nostri scenari individuali e collettivi un destino comune al quale non è possibile sottrarsi.

Negli ultimi anni la crisi dell’economia, della società, dell’ambiente, ci costringe a una profonda riflessione sul nostro modello di sviluppo economico e sui nostri valori culturali oltre che sul nostro modello alimentare. È necessario un approccio aperto e flessibile dove la complessità del fenomeno vitale rappresenti un valore e non un limite. Così come la Natura sopravvive grazie alla biodiversità, è fondamentale non rinunciare a una varietà di idee e di approcci. Quando si chiude una via, la Natura ha infatti molte altre strade tra cui scegliere.

Siamo sempre più consapevoli di avere a che fare con sistemi nei quali la conoscenza delle parti che li compongono e delle loro relazioni non è che una minima parte delle informazioni necessarie per comprendere i meccanismi funzionali e dinamici e per ipotizzare di prevedere i comportamenti: si tratta di sistemi complessi e per affrontarne i meccanismi e le dinamiche è necessaria una profonda rivoluzione culturale anche sul piano metodologico.

Guardare ai sistemi complessi richiede più che una nuova scienza, un nuovo modo di applicare la scienza, richiede un cambiamento di mentalità, un nuovo sguardo alla realtà.

Le comunità del cibo che si realizzano in territori sempre più vasti non possono evitare dal considerare gli agroecosistemi nella logica della complessità che li caratterizza: la qualità del cibo, la qualità della vita nei territori, la qualità delle relazioni sociali ed economiche è strettamente legata alla presa di coscienza che la “semplificazione” imposta dalle esigenze di una visione “industriale” del cibo, è una strada certamente “perigliosa”.

Anche il sistema agro-industriale è al centro di questa profonda riflessione in quanto da un lato motore essenziale di sviluppo sociale ed economico e dall’altro sistema a elevato impatto energetico e ambientale.

È alla fine della seconda guerra mondiale, che è avvenuta la prima grande rivoluzione, una vera “innovazione”: una filiera alimentare basata in gran parte sull’energia dei combustibili fossili.

Il primo importante risultato è stato un aumento ingente delle calorie disponibili e dunque una crescita esponenziale della nostra specie.

 

Cibo come relazione

What would happen, for example, if we were to start thinking about food as less of a thing and more of a relationship?”. Michael Pollan[1]

Oggi il cibo rischia di essere ridotto a una semplice merce, potenzialmente impersonale, sterile e ovunque identico a se stesso. Nel sistema agro-industriale, negli ultimi anni, nell’accezione comune, è prevalsa la tendenza a considerare il cibo come un insieme di ingredienti e nutrienti piuttosto che come una vettore di relazioni (F.L. Kirschenmann 2008): relazioni ambientali, economiche, sociali e culturali. Il cibo non è un qualcosa di isolato ma è parte del sistema ambientale, culturale e industriale nel quale è prodotto.

La disponibilità di energia ottenuta dai combustibili fossili, il crescente fenomeno dell’urbanizzazione e la marginalizzazione delle attività agricole hanno allontanato sempre di più il consumatore dalla realtà agricola contribuendo a generare un’inconsapevolezza del legame tra la produzione primaria di cibo e l’utilizzo delle risorse naturali, in particolare suolo e acqua.

Secondo le previsioni dell’ONU, nel 2050 i due terzi della popolazione mondiale vivranno nelle città. Ciò comporterà non solo problemi di approvvigionamento dei centri urbani sempre più popolosi ma allontanerà sempre di più i consumatori dai luoghi di produzione, compromettendo in questo modo la loro conoscenza e consapevolezza dei fattori ambientali e sociali che determinano la produzione di cibo.

Fino all’epoca preindustriale nei Paesi occidentali, non esisteva una separazione tra il momento della produzione di cibo e la fase del consumo che rimaneva nell’ambito economico e culturale nel quale il cibo era stato prodotto. Tutto era caratterizzato dalla massima tracciabilità, era quindi possibile conoscere non solo il percorso di ciò che veniva consumato in tavola ma anche chi lo aveva prodotto e con quali modalità.

Nel momento in cui la rete distributiva è diventata sempre più specializzata, la distanza tra produttore e consumatore è diventata incolmabile in termini di relazione e conoscenza mentre si è drasticamente ridotta la distanza fisica. La filiera si è allungata a dismisura e tale processo è stato agevolato dal costo esiguo dei trasporti. Questo fenomeno è stato studiato in modo approfondito da Tim Lang (professore di Politiche alimentari all’Università di Londra), che negli anni Novanta del secolo scorso coniò il termine food miles per esprimere la distanza che un alimento percorre dalla produzione al consumo finale espressa in CO2. Sebbene studi successivi abbiano messo in discussione tale approccio, poiché i trasporti rappresentano solo una esigua parte delle emissioni di CO2, il concetto espresso con i food miles ha permesso di comunicare in maniera semplice e immediata al consumatore tutte le conseguenze implicite ed esplicite di natura ecologica, sociale ed economica legate sia alla produzione alimentare che alle proprie scelte.

Inoltre, la modalità di distribuzione prevalente, soprattutto quella legata alla GDO (Grande Distribuzione Organizzata), ha contribuito ad allontanare i consumatori dai luoghi di produzione del cibo, rendendo gli acquisti del tutto indipendenti dalla disponibilità delle risorse locali e di quelle legate alla stagionalità.

Negli ultimi cinquant’anni, il settore agricolo è stato caratterizzato dall’introduzione di tecnologie capaci di incrementare la produttività sia in quantità che in qualità.

L’intera filiera agro-industriale consuma energia e dipende prevalentemente dai combustibili fossili: utilizza prodotti dell’industria chimica, principalmente fertilizzanti e pesticidi, macchine agricole e relativi combustibili, energia per l’approvvigionamento di acqua e per la sua distribuzione, per il trasporto dei prodotti agricoli, per la loro trasformazione e packaging e infine per la distribuzione ai consumatori finali.

Nel secolo scorso nei Paesi occidentali, lo sviluppo della Genetica, della Meccanica, della Chimica e la disponibilità di energia a basso costo, hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo del sistema agroalimentare, garantendo produzioni di cibo abbondanti per tutti e di buona qualità. Negli ultimi cinquant’anni la produzione mondiale di cereali è triplicata (da 631 milioni di tonnellate nel 1950 a 2.029 milioni di tonnellate nel 2004) e ciò è stato possibile combinando insieme molteplici aspetti: varietà ad alto rendimento, meccanizzazione intensiva, disponibilità di acqua e sistemi di irrigazione e uso di fertilizzanti e pesticidi. La situazione attuale obbliga a una maggiore attenzione nell’adozione di pratiche agricole sostenibili nel rispetto dell’ambiente e delle risorse primarie: erosione del suolo, contaminazione delle acque, inquinamento dei bacini idrogeologici, deforestazione, perdita di biodiversità.

 

Quando il cibo è sintesi di una “concezione della vita”

La specie, per sopravvivere, ha bisogno della procreazione; l’individuo, per non soccombere, ha bisogno di mangiare. Eppure l’appagamento di questi due bisogni non basta: l’uomo deve mettere in scena, per così dire, il lusso del desiderio, amoroso o gastronomico che sia. (…) Giacché il tratto distintivo dell’uomo è appunto il desiderio (…)”. Roland Barthes[2]

Il cibo è quindi innanzitutto funzionale e necessario alla sopravvivenza dell’uomo, al suo bisogno di nutrimento del corpo, ma allo stesso tempo è funzionale alla soddisfazione del “desiderio”. L’uomo infatti a differenza degli animali, che si nutrono unicamente per sopravvivere cerca attraverso l’atto del nutrirsi di soddisfare una molteplicità di desideri. Il cibo, legato a una delle principali azioni quotidiane dell’uomo, mette in evidenza il nesso tra bisogno e desiderio, e quindi quello tra soddisfazione e godimento.

Ci sono attività e gesti necessariamente quotidiani e ordinari, che portano tuttavia con sé tutta una serie di relazioni e significati capaci di far luce su chi siamo e che cosa desideriamo.

Attraverso l’atto del mangiare l’uomo ha da sempre tentato di soddisfare non solo i suoi bisogni primari ma anche i suoi desideri. Il cibo e l’alimentazione costituiscono da sempre elementi di interesse sociale per il richiamo ai fattori medici ed estetici, edonistici e salutistici, commerciali ed etici connessi. Ancor di più nella contemporanea società della complessità dove in essi si intersecano sistemi sociali, ambientali, territoriali, culturali, andando ben oltre il noto motto del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach “siamo quello che mangiamo” e del filosofo francese Brillat-Savarin “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. Il cibo è oggi infatti vettore non solo di desideri ma anche di valori legati alla cultura, all’ambiente e alla sua sostenibilità, al paesaggio, alle relazioni sociali, ai territori, alla storia propria e collettiva, all’economia locale e globale. In questa visione, il cibo diventa quindi anche uno strumento che consente all’uomo, come consumatore, di relazionarsi con problematiche sociali, ambientali, economiche, locali ma anche globali.

Le trasformazioni socio-demografiche connesse allo sviluppo economico degli ultimi sessanta anni, quali l’esodo dalle campagne, l’inurbamento, la diffusione dell’occupazione femminile, l’aumento del reddito delle famiglie, la crescita e la differenziazione della domanda hanno profondamente modificato non solo l’organizzazione produttiva, passata da modelli artigianali e locali a modelli industriali e delocalizzati, ma anche la domanda di prodotti alimentari, la sua composizione e il rapporto dei consumatori con gli stessi prodotti (Belliggiano, 2009). Inoltre, la perdita di riferimenti fiduciari ha determinato un aumento della sensibilità in termini di sicurezza alimentare (food safety) in contrasto con una maggiore disponibilità di alimenti (food security). Tale sensibilità, è stata acuita dai globalshock alimentari (mucca pazza, pollo alla diossina, influenza aviaria, ecc.), a cavallo tra vecchio e nuovo millennio che hanno duramente colpito il settore agroalimentare su scala globale. In Europa, il caso più eclatante e inquietante è stato quello della “mucca pazza”. Dopo diversi tentativi di insabbiamento dello scandalo, è emerso che gli erbivori destinati al consumo umano venivano alimentati con mangimi di origine animale. Veniva così infranta l’atavica separazione tra il regno animale e quello vegetale generando nella collettività dei consumatori un clima di sfiducia e angoscia per l’intera industria agroalimentare.

In questo scenario, le industrie agroalimentari cavalcano le nostre ansie relative alla sicurezza del cibo, studiando immagini, packaging e slogan rassicuranti che fanno riferimento alla tradizione, esaltandone la dimensione familiare, rurale, relazionale di un passato ormai lontano e di un modello produttivo sempre più marginalizzato.

La tecnologia, entrata in modo massiccio nella produzione agroalimentare, se da un lato ha reso possibile raggiungere elevati livelli di produzione e di standard qualitativi e di sicurezza, dall’altro ha contribuito ad aumentare la distanza tra produzione e consumo.

La possibilità di misurare con gradi di accuratezza sempre più elevata le concentrazioni di specifiche molecole (spesso senza peraltro conoscere i loro effetti integrati) nei nostri cibi, nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo o che bevono gli animali di cui ci nutriamo non rappresenta di per sé una fonte di “sicurezza” se non saremo in grado, collettivamente, di attivare processi di consapevolezza sui limiti dei sistemi naturali ai quali apparteniamo, sulla ciclicità di tutti i processi che caratterizzano la vita sulla terra, sugli equilibri, delicatissimi del nostro pianeta. La salute dell’uomo e la sua sopravvivenza dipendono strettamente da un ambiente sano: dal cibo che mangiamo, dall’acqua che beviamo e dall’aria che respiriamo. La salute dell’uomo dipende quindi da un sistema complesso che non possiamo scindere nelle sue parti, ma considerare nella sua totalità e complessità di relazioni e interazioni.

 

Il consumatore degli anni Duemila

Se il XX secolo è stato da un lato il secolo della “distruzione” delle tradizioni alimentari e dall’altro il secolo dell’affermazione delle “libere scelte” (poter mangiare tutto ciò che si desidera in ogni momento dell’anno), il XXI secolo dovrà essere il secolo delle riformulazioni delle scelte d’acquisto quotidiano basate su nuovi criteri, in particolare quello della sostenibilità ambientale.

I consumatori di oggi sono orientati a stili di vita improntati al contenimento degli sprechi, alla sostenibilità ambientale privilegiando prodotti a marchio che sono caratterizzati da una maggiore attenzione alla dimensione etica (Fabris 2010). La crisi economica e l’aumento dei costi energetici che si ripercuotono direttamente sul settore agroindustriale, non sembrano aver indotto il consumatore, a “rassegnarsi a una qualità non adeguata dei prodotti alimentari o rinunciare in alcuni momenti o per alcuni specifici bisogni a togliersi qualche sfizio spendendo qualche soldo in più” (Censis 2010).

In questo contesto, un ruolo importante è svolto dal Web che si sta rivelando un moltiplicatore di informazioni e di opportunità anche di acquisto (con acquisti on line di prodotti biologici e di nicchia direttamente nelle aziende di produzione).

Il consumatore degli anni Duemila si presenta come soggetto pragmatico e competente, selettivo e curioso, esigente in quanto a prodotti e servizi personalizzati e attento al sociale. È disposto infatti a pagare di più per un prodotto di qualità, la cui produzione rispetta sia l’ambiente che i diritti dei lavoratori (Fabris 2009).

Da precedenti ricerche (Censis, Istat) emerge l’immagine di un consumatore disposto ad acquistare i prodotti nei diversi canali distributivi che soddisfano una molteplicità di esigenze: risparmio, genuinità, qualità, equità, salvaguardia dell’ambiente e delle culture locali, sostenibilità ambientale e sviluppo locale. Ne emerge l’immagine di un consumatore con comportamenti che apparentemente sembrano in contrapposizione: contemporaneamente frequenta il fast food e acquista prodotti del commercio equo-solidale, prodotti DOP/IGP e prodotti a marchio, prodotti di IV gamma, prodotti dei farmers’ market e presso le aziende, prodotti dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS).

Il consumatore odierno, secondo la definizione del Censis (2010) è, dunque, “un io che decide’ la combinazione di luoghi di acquisto, il contenuto del carrello e le portate sulla tavola in base alle proprie preferenze, abitudini, prassi, aspettative e, ovviamente, alle risorse di cui dispone” .

Negli ultimi anni, questa caratteristica del consumatore di scegliere la combinazione dei luoghi di acquisto e di premiare alcune modalità di produzione coerenti con valori e visioni del mondo, sta determinando la nascita di nuove forme di produzione e di acquisto. Per esempio, negli Stati Uniti un fenomeno recente, ma in espansione, è rappresentato dalle Comunità di supporto all’agricoltura (Community Supported Agriculture). I membri della Comunità si impegnano a sostenere con una quota annua le aziende agricole per tutta la stagione, condividendone i rischi legati alla produzione e il raccolto. Gli agricoltori sono sostenuti economicamente nella loro produzione che conducono con modalità condivise con i consumatori. I consumatori possono beneficiare di prodotti locali, freschi, di qualità sostenendo e alimentando l’agricoltura e lo sviluppo locale. L’agricoltura infatti risponde ai crescenti bisogni espressi dalla società che vanno ben oltre la mera produzione di cibo: la produzione di beni pubblici ambientali, i servizi sociali, la governance del territorio, l’occupazione giovanile, la vitalità delle aree rurali e il loro portato culturale, la diversità e la qualità degli alimenti, la produzione e conservazione del paesaggio e della biodiversità. Un’altra iniziativa interessante che esprime il coinvolgimento di produttori e consumatori e la condivisione di valori e visioni è Barnraiser: il primo sito di crowdfunding green dedicato al finanziamento di progetti legati alla produzione di cibo di qualità debuttato on line a settembre 2014 sempre negli Stati Uniti.

Gli obiettivi dichiarati sono quello di promuovere la cucina locale e regionale, sostenere l’agricoltura biologica e le lavorazioni eno-gastronomiche di tipo artigianale, diffondere l’educazione ambientale e alimentare tra le nuove generazioni.

Barnraiser punta alla creazione di una community che condivide una visione comune dello sviluppo basata sulla valorizzazione delle produzioni, territori e saperi locali. Obiettivi comuni da raggiungere insieme.

Oggi, rielaborando la celebre frase del filosofo francese Brillat-Savarin “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” possiamo affermare alla luce di quanto sta accadendo nel settore agroalimentare sul fronte dei consumi: “Dimmi cosa compri e dove lo compri e ti dirò chi sei, che visione hai”.

 

Bibliografia

Kirschenmann F.L., “Food as relationship”, Journal of Hunger & Environmental Nutrition, 2008, 3: 2, pp. 106-121, The Haworth Press, USA.
Fabris G., La società post-crescita. Consumi e stili di vita, Egea, Milano, 2010.
Censis/Coldiretti, Primo Rapporto sulle abitudini alimentari degli italiani, Sintesi dei principali risultati, 2010.
Fabris G., “Osservatorio sui consumi degli italiani, Sinopsi dei risultati”, Consumer’ Forum Roma, 2009.
I consumi delle famiglie 2009, Roma, 2010.

 

Note

[1] Michael Pollan, “Unhappy Meals”, The New York Times Magazine, 28 gennaio, 2007.
[2] Roland Barthes, Roland Brillant-Savarin letto da Roland Barthes, Sellerio, Palermo, 1978.
 
*Tratto dalla rivista Scienza & Società n.23/24 – “Il cibo e/è l’uomo