Alimentazione: l’esigenza di una svolta di civiltà

Intervento svolto al Seminario Strategico di Città della Scienza 16-17 settembre 2016   Procida

Quando parliamo di agroalimentare e di alimentazione di cosa discutiamo?
Discutiamo di una delle più grandi questioni del nostro tempo. Una questione che interroga l’economia, la scienza, la medicina, ma anche l’ambiente, la giustizia sociale.

Possiamo anzi dire che le due grandi contraddizioni della contemporaneità, il peso dell’orma ambientale dell’uomo sul pianeta (per citare la bella apertura dei nostri lavori di ieri di Vittorio Silvestrini),  che sta rendendo incerto il futuro del rapporto tra uomo e ambiente, con conseguenze incalcolabili, e il crescere in modo insopportabile, dal punto di vista etico e dal punto di vista sociale, di ingiustizie e disparità nella distribuzione della ricchezza su scala globale, trovano nei temi detti una delle cartine di tornasole più evidenti e, dunque, uno dei passaggi obbligati  per verificare se e quanto quelle due strozzature della globalizzazione sono affrontate o aggravate.

Ecco di cosa discutiamo quando parliamo di agroalimentare e di alimentazione.
E lo facciamo  in coerenza con tutta la storia di Città della Scienza e con il lavoro straordinario che da diversi decenni va avanti, che  voi portate avanti , in questo che è uno spazio di lavoro, di ricerca ma che è anche una ‘comunità’ nella quale sono contento di essere giunto, GNAM VILLAGE sarà , a sua volta, lo spazio attraverso cui accrescere e diffondere consapevolezza intorno a questi nodi.
Accrescere e diffondere consapevolezza sul punto limite cui siamo giunti, sulla contraddizione acuta, sulla non compatibilità oramai, perché così stanno le cose, la non compatibilità tra produttivismo esasperato, globalismo del sistema alimentare e tutto ciò che questo determina negativamente e in modo crescente per la vita delle persone, della natura, delle comunità.

Ora siamo addirittura alla concentrazione della concentrazione: ad esempio, la Bayer che compra la Monsanto realizza un gruppo industriale che da solo rappresenta un complesso mondiale produttivo, di ricerca che controlla  credo il 40% circa del mercato mondiale dei semi;  una percentuale non distante da questa  del mercato dei  pesticidi e una percentuale di rilievo della produzione mondiale di medicine: un gruppo che venderà semi, diversi dei quali transgenici;  e che venderà i semi anche per poter poi vendere i pesticidi destinati a distruggere le infestanti che crescono in quei campi dove sono stati seminati quei semi, e  che si fanno sempre  più resistenti e richiedono dosi sempre maggiori di avvelenamento della terra e dell’acqua per poter essere combattute ;  e che poi, dulcis in fundo, venderà anche le medicine magari per curare le malattie che essa stessa avrà contribuito a diffondere… Un’iperbole se volete. Ma un’iperbole molto vicina alla realtà.

E poi ci sono le monocolture che sconvolgono, in Africa, in Asia, in America Latina, i sistemi produttivi locali, e vincolano centinaia di milioni di persone alle oscillazioni del mercato dei prezzi e, in più di un caso, le affamano costringendole, insieme alle guerre, a migrazioni alla ricerca di quella vita e di quel futuro gli è stato negato in casa propria e per essere poi respinti e considerati come una minaccia dai paesi occidentali …

 

PER UN CIBO RICONNESSO ALLA VITA

E così s’avanza il cibo ‘chimico’, il cibo progettato nei laboratori, con decine di additivi e integratori di colore, di odore, di sapore : un cibo disconnesso  dai territori da cui proviene, disconnesso dalle culture di origine, disconnesso dal gusto. Un cibo disconnesso dalla vita : un cibo che si erge come estraneo a noi e che , paradosso dei paradossi, da alimento diventa sempre più spesso fattore di origine o di aiuto all’insorgere di alcune delle patologie più dolorose della contemporaneità. Da nutrimento del corpo, per dirla con Carlo Petrini, il cibo comincia a nutrirsi del nostro corpo.

Quando migliaia di capi di animali sono allevati in condizioni insopportabili di promiscuità, con alimenti scadenti e contro natura, riempiti di promotori della crescita, ‘arricchiti’ di dose massicce di terapie preventive con un uso abnorme di antibiotici, e poi, nella trasformazione, conservanti, coloranti….. che cibo è quello che poi mangiamo?
Quando riempi un terreno di pesticidi, e quando una verdura o un frutto è sottoposto a 1,10,20 trattamenti chimici, quando chiedi a terreno e piante di produrre sempre di più….che cibo è quello che poi mangiamo?
Quando vivono livelli inusitati di spreco alimentare mentre ancora oltre 800 milioni di persone combattono con la fame, quando vive nel lavoro della terra in troppe zone del mondo un livello di sfruttamento del lavoro che sa di antico e persino nel ricco per quanto in crisi Occidente, ritrovi ancora il ‘caporalato’ e verifiche che quegli immigrati tanto negletti poi sono usati per i lavori più duri nella terra….che modernità è questa?

 

GNAM VILLAGE NASCE CON UN OBIETTIVO DI FONDO

GNAM VILLAGE è rispetto a tutto questo che intende accrescere consapevolezza e diffonderla.

È rispetto a tutto questo che ambiamo a diventare un punto di riferimento non della espressione di una ‘libertà di pensiero’ che non è negata a nessuno ma, per dirla con il filosofo Mario Tronti, ma della espressione di ‘pensieri di libertà’ che disvelino questo meccanismo, lo mettano a nudo e chiamino a confronto tutti coloro che vogliono metterlo in discussione.

Siamo avvertiti di alcune ‘premesse’.
Siamo avvertiti che non esiste il vagheggiamento di un’età dell’oro alla quale tornare. E non solo perché è difficile ma perché semplicemente non è desiderabile : la storia del rapporto dell’uomo con la terra è storia di ricchezza e agio per pochi (re, principe, feudatario, barone o marchese, padrone che sia), e servitù e fatica e fame per i più. Si vedano le inchieste sulle condizioni delle campagne, ancora a fine Ottocento, ancora nella prima metà del secolo XX, ancora prima della riforma agraria del dopoguerra.

In secondo luogo siamo avvertiti che non esiste la natura senza l’uomo. L’uomo, con la sua vita, con la sua azione non è altra cosa dalla natura, è egli stesso sua parte, espressione, agente. L’alternativa al produttivismo non può essere dunque lo stare fermi, il mettere la natura sotto sigillo. In alpeggio, i prati migliori, i prati polifiti non si danno in natura, sono il risultato di una relazione feconda tra l’uomo, l’allevatore, il pastore, l’agricoltore e la sua terra; di una applicazione intelligente di abilità e di saperi elaborati e tramandati nel tempo lungo. Nel momento in cui questo rapporto si è interrotto, sono scomparsi anche i prati polifiti.

Non è in questione, dunque, il bisogno di più sapere e conoscenza, di più innovazione e ricerca. E’ in questione l’orientamento sociale di tutto questo.
È in questione oggi non il classico tema della libertà della ricerca ma una questione del tutto nuova che noi dobbiamo saper vedere e, anche qui, mettere a nudo, perché altrimenti corriamo il rischio di usare parole antiche che non ci aiutano a comprendere la realtà mutata e parole che in una fase hanno svolto una funzione altamente progressiva oggi potrebbero assolvere invece ad una di carattere regressivo.

Il tema che si pone, più e prima ancora che una questione di ‘libertà’, è una questione di ‘autonomia’ della ricerca. Questione che investe direttamente  il ‘pubblico’. Quanto di quella ricerca pubblica, peraltro destinataria di risorse largamente insufficienti, alla rincorsa   spesso affannosa e giusta di relazioni con il sistema economico e produttivo, viene però piegata esclusivamente alle ragioni d’impresa? Come si tutela l’autonomia di questa ricerca? Come non si rinuncia alla ricerca di base ? E quanto della ricerca in assoluto oggi viene espresso direttamente dai laboratori dei grandi colossi mondiali, senza alcuna possibilità di interferire con esso da parte del ‘pubblico’, e quanto poi  porta a brevettare, privatizzare risultati che muovono da essenze, piante, principi che sono naturali, che sono parte di un sapere informale tramandato nei secoli che appartiene all’umanità per guadagnarne poi enormi ricchezze, penso alla cosmesi, penso alla farmaceutica?

Ecco dunque il nostro sforzo: lavorare per creare consapevolezza, dal bambino delle elementari allo studente universitario, in priorità, di quanto occorra riconnettere l’uomo alla natura, l’uomo al gusto, l’uomo alla vita, l’uomo a se’ stesso.
E questo lavoro richiede più cultura e sapere, non meno.

 

UNA LOTTA IMPARI?

Non è impari questa lotta?
Effettivamente è impari.

Ma sono sempre di più nel mondo gli uomini e le donne , e sono milioni e milioni, che acquistano consapevolezza della posta in gioco e reclamano una inversione di rotta.
In questo mondo interconnesso, con la rete, con il web si esprime anche una forza nuova del ‘consumatore’, quello che io definisco come un vero e proprio ‘potere’, sconosciuto nei tempi passati e portato diretto della relazione consentita dalla società della conoscenza e del digitale che , al di là di ogni distanza e in tempo reale e in numero illimitato, fa entrare in relazione gli uni con gli altri, una ‘potenza’ appunto.

Faccio un esempio piccolo per dire quanto poi siamo meno disarmati di quanto si voglia far credere.
Il caso dell’olio di palma è esemplare da questo punto di vista. Nessun governo è intervenuto, ma la pressione della ‘rete’ ha determinato che prima, nei mesi scorsi, abbiamo assistito ad una campagna di spot che decantavano la bontà dell’olio di palma. Poi però, non si capisce perché se quello spot diceva cose vere, sono sempre più i produttori che nei loro spot qualificano i loro prodotti come privi di olio di palma….persino Antonio Banderas, nel suo colloquio costante con le galline, altra faccia del dialogo nel creato…., ha deciso di fare una parte delle sue merendine senza olio di palma…..

E ci sono associazioni, Slow Food rappresenta un caso mondiale da questo punto di vista, ricercatori, settori della politica, persino governanti che avvertono come sia urgente una inversione di tendenza. E c’è questo Papa, che sorprende e spinge.
E sempre di più si rende evidente come intorno a questi nodi si misuri anche la  possibilità per il Mezzogiorno, per l’Appennino di immaginare uno sviluppo diverso, più solido, più corrispondente ai bisogni dell’insieme della società.
Con la ‘rete’ la consapevolezza ha un’arma in più per pesare.

 

SI PUO’. INSIEME.

La diffusione della conoscenza dunque oggi può sviluppare una forza maggiore rispetto al passato.
È qui che noi vogliamo lavorare.
Non da soli.

Ecco perché il Comitato di Indirizzo di GNAM VILLAGE raccoglie il meglio delle Università, dei Centri di Ricerca, delle strutture pubbliche, delle Associazioni e delle Organizzazioni degli stessi produttori. Noi Città della Scienza riteniamo che la forza sia data dal connettere, dal mettere in rete, dal valorizzare ogni apporto.
E poi, non solo non da soli, ma intorno al tema agroalimentare e alimentazione vogliamo provare anche a spingere per una ricomposizione dei saperi oltre ogni frantumazione e incomunicabilità degli specialismi. Sul cibo, nelle nostre riunioni, stanno riflettendo insieme, allo stesso tavolo, il nutrizionista e l’antropologo, il biologo e l’agronomo, l’imprenditore e lo storico, l’architetto e il veterinario, il tecnologo e l’esperto di comunicazione. Vediamo cosa ne uscirà. Di sicuro qualcosa di più forte, di più intelligente, di più valido non solo di quello che un singolo potrebbe dare, ma anche di quello che deriverebbe dalla semplice sovrapposizione del lavoro di ciascuno.

È così che vogliamo fare didattica. Sulla scorta di un’esperienza accumulata di oltre quindici anni. Ma esattamente così.
Al nostro Mulino,  i visitatori e gli studenti, non conosceranno il grano, ma conosceranno i grani, la diversità tra un grano che viene da una coltivazione intensiva e un altro che proviene invece da una coltivazione rispettosa dei ritmi della natura. E conosceranno i grani dei diversi territori. E ne conosceranno la storia che è anche storia di quelle comunità. E poi lo macineranno a pietra. E impasteranno la farina. In qualche modo si ri-connetteranno a realtà e a dimensioni in larga misura sconosciute.

E così quando spremeranno le olive, faranno la cagliata per i formaggi, lavoreranno la frutta per le marmellate o coltiveranno le piante nel nostro Orto della Biodiversità, o scopriranno tutto il mondo delle fiabe legate alla terra, al cibo.
E così quando faranno gli esperimenti sulla natura dei cibi, sui loro elementi, sul loro valore nutrizionale.
E così quando lavoreremo sui mestieri legati al cibo, quando proveremo a mettere a disposizione di un di più di opportunità per gli studenti degli Istituti superiori o quando lavoreremo con le imprese per sostenerle in uno sforzo di qualità sempre maggiore.

Con l’ACCADEMIA POPOLARE della DIETA MEDITERRANEA, con l’Aula didattica con cucina creeremo uno spazio per gli adulti, per la terza età nel rapporto tra cibo e salute ma anche nel rapporto tra cibo e gusto, piacere.
Con CULTURE del GUSTO svilupperemo una linea di Eventi popolari nei quali diffusione delle conoscenze, didattica, gastronomia, mercato, spettacolo, ricerca si snoderanno insieme per dare vita ad un inedito format legato al cibo. Cominciamo con le culture del cibo del Mediterraneo, con una rassegna gastronomica e culturale che vedrà protagoniste le comunità straniere presenti a Napoli a metà ottobre.
Con RI-CONNESSIONI e con il BLOG lo spazio sarà sempre aperto per confronti, seminari, approfondimenti con tutti i protagonisti per ragionare sui contenuti, i caratteri, gli obiettivi della inversione di tendenza necessaria e urgente.

E poi siamo convinti che occorra partire da se’, come il movimento delle donne ci ha insegnato sul finire dell’altro secolo: da ciascuno può venire un contributo concreto al cambiamento di stili di vita e al sostegno della inversione di tendenza nel segno della relazione feconda tra uomo-natura-cultura.
E così, per cominciare, proveremo, insieme, a dare vita ad un Gruppo di Acquisto Solidale tra i dipendenti di Città della Scienza e le loro famiglie e a sviluppare un ciclo di incontri con i produttori di eccellenze della nostra regione.
E proveremo anche a discutere di un Disciplinare della qualità per tutti gli spazi ristorativi di Città della Scienza.
Insomma, c’è un grande e, penso, bel lavoro che ci attende.