Scienza: quanto siamo analfabeti?

Ogni giorno utilizziamo decine di oggetti frutto della scienza. Il nostro smartphone di cui non possiamo fare a meno, tra applicazioni, chat e social; i medicinali, frutto di anni di ricerca e sperimentazione, e di test accurati. Fino al cibo: pensiamo quanta scienza c’è dietro ciò che mangiamo, dai processi biologici, alla selezione artificiale, ai processi di cottura.

La scienza pervade la nostra vita. Molto spesso ci affascina, anche al cinema, com’è stato per i film campioni di incassi A beautiful mind e La teoria del tutto. O ancora per le fortunatissime serie tv The Big Bang Theory e Breaking Bad. Non ci si deve meravigliare, quindi, se il 79% della gente comune dichiara di amare la scienza, secondo i sondaggi dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS), la più grande associazione scientifica al mondo, e del think tank americano Pew Research Center, pubblicati a gennaio su Science.

Ci affascina, eppure spesso non siamo molto ferrati sulle questioni che la riguardano. Anzi a volte, diciamo pure la verità, ci facciamo una figura barbina.

Uno degli esempi più clamorosi è la cosiddetta “beffa del monossido di diidrogeno”, un pesce d’aprile nato qualche anno fa e diffusosi rapidamente via internet. Uno scherzo ben escogitato che chiedeva di bandire per sempre… l’acqua. Sì, perché il monossido di diidrogeno (H2O) non è altro che la definizione dell’acqua tramite le regole della nomenclatura IUPAC, l’Unione internazionale di chimica pura e applicata, dato che la molecola dell’acqua è formata da un atomo di ossigeno (monossido) e da due atomi di idrogeno (diidrogeno).

Lo scherzo, elaborato dalla Coalizione per il bando del monossido di diidrogeno (Coalition to Ban Dihydrogen Monoxide) da un’idea di Craig Jackson, aveva tutte le caratteristiche per essere preso sul serio da chi fosse poco avvezzo alla scienza e alla nomenclatura scientifica.

Il famigerato monossido di diidrogeno, infatti, veniva presentato come «incolore, inodore, insapore e capace di uccidere migliaia di persone l’anno». Già questa frase sarebbe stata sufficiente per sollevare orde di complottisti. Ma l’elenco delle malefatte dell’acqua presenti nella petizione proseguiva: «è il maggior componente delle piogge acide, contribuisce all’effetto serra, il suo vapore può causare terribili ustioni, contribuisce all’erosione del paesaggio naturale, provoca la corrosione di molti metalli e viene regolarmente rilevato nelle biopsie di tumori pre-cancerosi».

Tutte affermazioni vere. Niente di inventato, solo uno nome poco comune per chiamare una delle componenti fondamentali della vita. Ma a firmare la petizione per la messa al bando del monossido di diidrogeno furono anche molti delegati dell’ONU alla Conferenza sui cambiamenti climatici 2010, tenutasi a Cancun. Una figuraccia, insomma. Vogliamo scusarli perché la definizione è troppo inusuale e in effetti chi la ricorda più la chimica del liceo? Va bene. Ma ciò non vuol dire che per definizioni più comuni la storia non possa ripetersi.

Ce lo ha dimostrato un sondaggio dell’Oklahoma State University condotto nel 2015. L’anno scorso, infatti, poco più dell’80% degli Americani ha aderito a una petizione per etichettare i cibi contenenti DNA. Si proprio il DNA, l’acido desossiribonucleico, il polimero organico che custodisce tutte le informazioni genetiche in qualsiasi essere vivente. E come fa notare Jayson Lusk, economista dell’ Oklahoma State University, una percentuale molto simile di Americani (circa l’82%) ha aderito anche alla petizione per etichettare i cibi prodotti tramite ingegneria genetica (OGM). È ovvio che le due sigle DNA e OGM sono state confuse. Ma in questo caso non ci sono scuse: se il monossido di diidrogeno è una definizione sconosciuta ai più, il DNA no. O almeno non dovrebbe esserlo.

E se è questa, apparentemente, la situazione in America, in Italia come ce la caviamo? A monitorare il grado di «alfabetismo scientifico» degli italiani, da oltre dieci anni, ci pensa Observa Science in Society. E gli ultimi dati presentati nell’Annuario Scienza, Tecnologia e Società 2016 farebbero ben sperare. Nell’ultimo decennio, l’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società di Observa ha tenuto d’occhio il livello di conoscenze scientifiche degli italiani attraverso tre domande standardizzate: gli elettroni sono più piccoli degli atomi? Gli antibiotici uccidono sia virus che batteri? Il Sole è un pianeta? Ma a queste domande se ne aggiungono anche altre: il riconoscimento della struttura del DNA, dello schema dell’atomo di idrogeno di Bohr e del primo esperimento atomico.

Come sarà andata?

Secondo il sondaggio Observa abbiamo raggiunto la sufficienza: oggi solo il 13% degli intervistati non sa rispondere correttamente a nessuna delle domande poste, mentre il 30% riesce a rispondere in modo corretto a tutte e tre le domande.

Il 62,5% degli italiani sa che il Sole non è un pianeta ma una stella (nel 2007 era il 50,6%), il 59,4% (contro il 44% nel 2007) riconosce correttamente la funzione degli antibiotici – uccidono solo i batteri ndr – e il 57% (contro il 38% nel 2007) sa che gli elettroni sono più piccoli degli atomi.

Insomma in dieci anni l’analfabetismo scientifico degli italiani è certamente calato, anche se rimane intaccato il solito divario generazionale e culturale. Il 39% dei giovani tra i 15 e i 29 anni riesce a rispondere a tutte e tre le domande, una percentuale che arriva al 53% tra i laureati. Mentre è tra gli italiani ultrasessantenni e con una scarsa istruzione che si trova la percentuale più alta (22,3%) di chi non sa rispondere a nessuno dei quesiti. Complice anche l’altissima percentuale di tenoesclusi: il 37% dei cittadini italiani tra i 16 e i 74 anni non ha mai utilizzato un computer o internet. Una percentuale molto a di sopra della media Ue pari al 20%, e che posiziona l’Italia al quarto posto della classifica dei paesi con più tecnoesclusi: peggio solo di Romania (42%), Bulgaria (41%) e Grecia (36%).

Mettendo da parte H2O, DNA e OGM, come se la sono cavata gli americani sulle stesse tre domande? Hanno raggiunto punteggi di poco inferiori ai nostri. Secondo i dati raccolti da Jon D. Miller, direttore dell’International Center for the Advancement of Scientific Literacy dell’Università del Michigan, il 55% degli Americani (contro il nostro 59,4%) conosce correttamente la funzione degli antibiotici e il 54% (contro il nostro 57%) sa che gli elettroni sono più piccoli degli atomi (se volete cimentarvi anche voi nel quiz di Miller, eccolo qui).

Com’è stato per gli Italiani, poi, anche il grado di alfabetizzazione scientifica degli Americani è cresciuto. Ma ancora oggi, secondo il sondaggio del Pew Research Center presentato a gennaio 2015, ci sono alcune nozioni scientifiche che sembrano essere ancora “difficili da imparare”. Come l’evoluzione delle specie – compresa la nostra, del genere Homo. Nel 2007 il 40% degli americani era pronto a giurare che l’evoluzione non esiste. Ora sono “solo” il 35%. Per non parlare poi dei terrappiattisti capitanati da Daniel Shenton, che per fortuna sono quasi estinti.

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Ma com’è possibile che in una delle grandi potenze mondiali, che investe quasi 500 miliardi di dollari l’anno in ricerca e sviluppo (quasi il 3% del suo PIL), ci sia ancora un tale livello di analfabetismo scientifico? O che in Italia, paese natio di Galileo Galilei, il padre della scienza moderna – e del metodo scientifico – queste domande non trovino una risposta corretta? E che troppo spesso si dimentichi cos’è e cosa implica il metodo scientifico?

Forse c’è da considerare che questi quesiti, non sono solo “domande di scienza”. Nozioni che possono sembrare squisitamente scientifiche – OGM, vaccini, nucleare, evoluzione dell’uomo, Big Bang, la forma della Terra o del Sole – possono invece nascondere questioni identitarie, religiose, politiche ed economiche che difficilmente lasceranno spazio alla “verità scientifica”. Possiamo migliorare, certo, le nostre conoscenze scientifiche. Ma non riusciremo mai ad allineare il pensiero di scienziati e società. Al di là del mero nozionismo, infatti, il nodo critico resta la fragilità della cultura scientifica. Un clima intellettuale che sappia intuire le potenzialità, le implicazioni, i limiti e gli impatti della scienza e della tecnologia, senza ricorrere a pregiudizi, fede e complotti, ma che sia finalmente basato su un metro di giudizio fondato sul metodo scientifico.