Financial toxicity, questa sconosciuta

Financial toxicity, questa sconosciuta

Molti rimarranno spiazzati. È comprensibile. In realtà, anche nell’ambiente scientifico, il termine che è ben noto negli Stati Uniti da noi non vuol dire praticamente nulla. Oltre oceano, vuol dire una cosa ben precisa: sono malato – che nel campo in cui lavoro diventa: ho un cancro – e i soldi non mi bastano più. L’assicurazione paga l’80% delle spese per i farmaci, ma io non riesco più a pagare il restante 20%… Smetterò di curarmi.

Molti, dicevo, rimarranno spiazzati.
In Italia se ho un cancro vado in Ospedale e mi curano, o almeno ci provano. E non mi chiedono di pagare di tasca mia per i farmaci (che tra l’altro hanno prezzi incredibilmente alti, qualche volta ingiustificatamente). Si chiama Servizio Sanitario Nazionale, solo parzialmente imbastardito dalla riforma federalista. È una ricchezza enorme, e dobbiamo difenderla.

Oltre oceano, ormai si sono fatti una cultura sulla financial toxicity. Ci sono dati molto convincenti che dimostrano che i pazienti oncologici che ne soffrono hanno un netto peggioramento della qualità della vita, e dati molto preoccupanti sul fatto che questi pazienti hanno anche un rischio di morte più elevato. Quelli che stanno messi peggio (e che vanno tecnicamente in bancarotta) hanno un incremento del rischio di morte dell’80%.
Ma è un problema solo statunitense? In Italia, esistono problemi economici derivanti dal cancro e dal suo trattamento? Se esistono, in che modo e quanto condizionano i risultati dei trattamenti?

L’Istituto dei Tumori di Napoli, da molti anni, promuove sperimentazioni cliniche su scala nazionale all’interno delle quali si valuta, tra le altre cose, la qualità della vita dei pazienti somministrando dei questionari. Il questionario di uso più comune contiene una domanda, la numero 28, che recita: nell’ultima settimana, la malattia o il suo trattamento le hanno provocato difficoltà economiche? Le risposte possibili sono quattro: la migliore è “per nulla” la peggiore è “moltissimo”. In mezzo, ci sono “un po’” e “ abbastanza”.

Grazie a questa attività, abbiamo potuto mettere insieme 16 sperimentazioni condotte tra il  1999 e il 2015 con persone affette da tumori del polmone, della mammella o dell’ovaio. In tutto 3760 pazienti. Alla prima somministrazione del questionario (prima di iniziare la terapia) il 26% dei pazienti segnala difficoltà economiche di grado variabile (da “un po’” a “moltissimo”). E chi ha difficoltà economiche ha un rischio di peggioramento della qualità della vita nei successivi 3-4 mesi più alto del 35% rispetto a chi non ne ha. Diavolo, pensavamo fosse un problema solo d’oltre oceano; ma in fondo, è comprensibile. Se aggiungi allo stress della diagnosi e della terapia anche il fatto che tu o la tua famiglia non navigavate nell’oro, in fondo un peggioramento della qualità di vita è il meno che ti possa aspettare…

I questionari venivano proposti ai pazienti più o meno prima di ogni ciclo di terapia, e abbiamo operativamente definito come tossicità finanziaria il peggiorare della risposta alla domanda 28 nel corso dello studio, cioè nei 3-4 mesi successivi all’inizio della terapia. Purtroppo, il 22% dei pazienti peggiora la sua risposta rispetto a quella data la prima volta, quindi, secondo la definizione data, ha tossicità finanziaria. E questi pazienti hanno un rischio di morte nei mesi e anni successivi del 20% più alto rispetto agli altri. E tutto quello che vi ho raccontato in questo paragrafo e nel precedente rimane vero dopo sofisticate analisi statistiche, dopo il tentativo di identificare tutti i possibili fattori di confondimento, dopo – per capirci – innumerevoli tentativi falliti di dimostrare (prima di tutto a noi stessi) che non erano risultati affidabili. Ahimè, lo sono, affidabili. E così l’hanno pensata nel comitato scientifico della Società Europea di Oncologia Medica, che ha selezionato questi dati per la presentazione a Copenhagen il 10 ottobre, e così l’hanno pensata i revisori della rivista Annals of Oncology, che pubblicherà i risultati nei prossimi giorni.

Molti rimarranno spiazzati e noi per primi lo siamo rimasti. Non ce lo aspettavamo. In Italia c’è il Servizio Sanitario Nazionale e ci auguravamo che (a) i pazienti “presi in carico” da una struttura pubblica non andassero incontro a tossicità finanziaria (o ci andassero solo in una piccola percentuale, meno del 22% che troviamo); e (b) che seppure qualcuno potesse avere contraccolpi economici, questi non fossero associati a differenze significative nei risultati del trattamento. Non è andata come ci auguravamo, ma a mente fredda la riflessione da fare è un’altra: in Italia per fortuna c’è il Servizio Sanitario Nazionale. Ed è grazie a questo che parliamo di un aumento del rischio di morte del 20%, non dell’80% come negli Stati Uniti. Lunga vita al Servizio Sanitario Nazionale.

È chiaro, però, che qualche riflessione va fatta perché le cose potrebbero andare meglio. La dimensione dell’effetto negativo sulla sopravvivenza della tossicità finanziaria è simile alla dimensione dell’effetto benefico di alcuni nuovi farmaci. Se potessimo prevenire o “curare” la tossicità finanziaria, potremmo avere un effetto positivo molto rilevante, ovviamente senza effetti collaterali. È una ipotesi, tutta da dimostrare, ma il gioco vale la candela. Il nostro lavoro produce, per ora, più domande che risposte. Quali sono gli eventi, singoli o raggruppati, che producono problemi economici? Conta più la riduzione della capacità di guadagno o l’incremento delle spese o le due dinamiche si sommano? È possibile impostare delle azioni correttive (aumentare le garanzie di non licenziabilità e le forme di tutela integrativa per chi si ammala o il sostegno sociale o l’assistenza domiciliare)? Il fenomeno e i suoi determinanti sono uguali o diversi tra l’Italia e gli altri paesi Europei? Un Sistema Sanitario Nazionale buono come il nostro ce l’hanno in pochi in Europa. Un’altra riflessione importante è che negli ultimi anni si parla molto del problema del costo dei farmaci, che aumenta in maniera irragionevole e sottrae risorse rilevanti alla Sanità. In questo senso, i nostri dati sono un campanello d’allarme e spingono a riflettere sul fatto che buona sanità non significa solo mettere farmaci a disposizione dei medici e dei pazienti. Esiste altro su cui si può e si deve migliorare, sfruttando il sistema pubblico esistente come la solida base (e i nostri dati lo confermano) su cui costruire per comprendere meglio e soddisfare i bisogni di assistenza degli ammalati di cancro. Inutile dire che i tagli alla sanità non aiutano.

Un’ultima riflessione. La ricerca in oncologia ha come obiettivo migliorare il destino di chi si ammala di cancro, con la mente aperta ben oltre la prescrizione di farmaci. Se si identificassero degli interventi di sistema che possano produrre benefici analoghi a quelli ottenibili con alcuni farmaci, sarebbe un dovere professionale dei ricercatori segnalarlo ai decisori politici, Italiani ed Europei. In questo senso, però, non sono ottimista sui possibili effetti, almeno in Europa dove l’attenzione sui problemi della sanità è scarsa, molto minore di quella posta sui vincoli economici. La mancanza di una costituzione Europea fa sì che la Salute resti materia dei singoli stati membri e questo non aiuta a trovare misure comuni. Mi auguro che l’attenzione posta in questi giorni ai nostri risultati contribuisca a mantenere vivo il dibattito e a fare passi avanti verso un Europa più unita e più attenta ai bisogni dei cittadini.