Un Nobel scippato*

Pietro Greco ci spiega il perchè del mancato Nobel per la chimica a Vincenzo Balzani. L’articolo, pubblicato sulla rivista Left dello scorso 16 ottobre, è preceduto dall’appello che la Società Chimica Italiana ha diffuso in proposito.

Appello firmato il 12 ottobre 21016

La Società Chimica Italiana, insieme a esponenti di primo piano della chimica e della scienza italiana, ha inteso diffondere un comunicato sul mancato premio Nobel per la chimica 2016 a Vincenzo Balzani sulla «progettazione e sintesi di macchine molecolari» (assegnato a tre ricercatori – Jean-Pierre Sauvage dell’università di Strasburgo, Fraser Stoddart della Northwestern University di Evanston e Ben Feringa dell’università di Groningen). Fra le ragioni di questa esclusione va considerato “l’indebolimento sistematico della ricerca di base italiana, ormai giunta allo stremo delle forze dopo decenni di sottofinanziamento e regolata da sistemi di reclutamento, funzionamento e valutazione non sempre adeguati”.

Balzani, Il Nobel sfiorato. Perché l’Italia di nuovo fuori? – Roma, 12 ottobre 2016
Con Vincenzo Balzani, professore emerito dell’Università di Bologna e pioniere della ricerca sulle macchine molecolari, il nostro paese è arrivato ad un passo dal premio Nobel per la Chimica 2016.
A oltre 50 anni dal riconoscimento a Giulio Natta, il prestigioso premio è stato assegnato ad un settore di ricerca nel quale l’Italia è leader internazionale grazie a Vincenzo Balzani e ai suoi collaboratori. Balzani ha contribuito in modo fondamentale non solo alla realizzazione dei primi prototipi di macchine molecolari, in collaborazione con Fraser Stoddart e Jean-Pierre Sauvage, ma anche allo sviluppo e al consolidamento dei concetti alla base di questo campo di ricerca, divenuto negli anni uno dei settori più attivi e stimolanti della chimica moderna. Balzani e il suo gruppo posero le basi progettuali per la costruzione di macchine molecolari in un articolo del 1987 e in un libro del 1991, scritto da Balzani e Scandola. Anche il termine “molecular machine” venne pienamente discusso per la prima volta in un articolo firmato da Balzani, Stoddart e collaboratori nel 1993, mentre il libro “Molecular devices and machines” di Balzani, Credi e Venturi, primo testo sull’argomento, è uscito nel 2003 in inglese ed è stato tradotto in cinese e in giapponese. Studi su movimenti molecolari indotti dalla luce sono stati pubblicati in collaborazione tra i gruppi di Balzani e Sauvage negli anni ‘90. Molte delle nanomacchine citate nella motivazione del premio, fra le quali il celebre “ascensore molecolare”, non avrebbero funzionato – forse non avrebbero neppure visto la luce – senza il lavoro del gruppo di Bologna.

Perché, allora, Vincenzo Balzani non è fra i premiati?
Diciamo subito che il riconoscimento a Jean-Pierre Sauvage, Fraser Stoddart e Ben Feringa è assolutamente meritato. L’Accademia svedese, quindi, ha visto giusto; ma i fatti dimostrano che il suo verdetto fornisce una rappresentazione purtroppo incompleta della tematica scelta. Il problema è che il premio non può essere assegnato a più di tre persone. Sulla torre erano in quattro e uno doveva essere buttato giù.
Quando la competizione internazionale arriva a questi livelli, non basta il curriculum scientifico. Occorre che gli scienziati siano supportati dalla comunità nazionale: gli Atenei, i grandi Enti di Ricerca, le Accademie, le Società, i Ministeri. Fin da ora, noi ci impegniamo a creare gli strumenti per fare sistema, affinché episodi come questo, già avvenuti in passato anche in altre discipline – basti pensare alla clamorosa esclusione di Nicola Cabibbo e Giovanni Jona-Lasinio dal Nobel per la Fisica nel 2008 – non accadano di nuovo.
Dobbiamo purtroppo rimarcare che questo infausto risultato è anche figlio dell’indebolimento sistematico della ricerca di base italiana, ormai giunta allo stremo delle forze dopo decenni di sottofinanziamento e regolata da sistemi di reclutamento, funzionamento e valutazione non sempre adeguati. Un sistema fortemente indebolito è percepito come tale anche all’estero, dove l’Italia fatica a raccogliere i frutti che merita. Auspichiamo che questa grande opportunità persa dalla scienza italiana, e dall’intero Paese, possa diventare occasione di riflessione e di cambiamento.

Alessandro Abbotto – Università di Milano Bicocca<
Angela Agostiano – Università di Bari, Presidente Eletto della Società Chimica Italiana
Nicola Armaroli – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Bologna
Vincenzo Barone – Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa
Alberto Bellini – Università di Bologna
Marco Bettinelli – Università di Verona
Carlo Alberto Bignozzi – Università di Ferrara
Sebastiano Campagna – Università di Messina
Paola Ceroni – Università di Bologna
Roberto Cingolani – Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia
Alberto Credi – Università di Bologna
Luigi Dei – Rettore dell’Università di Firenze
Maria Cristina Facchini – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Bologna
Maurizio Fermeglia – Rettore dell’Università di Trieste
Sandro Fuzzi – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Bologna
Elio Giamello – Università di Torino
Massimo Inguscio – Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche
Elisa Molinari – Università di Modena e Reggio Emilia
Luigi Nicolais – Università di Napoli, Presidente Gruppo 2003 per la Ricerca Scientifica
Gianfranco Pacchioni – Pro Rettore alla Ricerca, Università di Milano Bicocca
Claudio Pettinari – Pro Rettore Vicario, Università di Camerino
Maurizio Prato – Università di Trieste
Raffaele  Riccio – Università di Salerno, Presidente della Società Chimica Italiana
Franco Scandola – Università di Ferrara
Leonardo Setti – Università di Bologna
Antonio Sgamellotti – Università di Perugia
Francesco Ubertini – Rettore dell’Università di Bologna
Renato Ugo – Decano Soci Chimici, Accademia Nazionale dei Lincei
Margherita Venturi – Università di Bologna
Adriano Zecchina – Università di Torino

 

Un Nobel scippato
di Pietro Greco (pubblicato sulla Rivista Left del 16 ottobre 2016)

Premio Nobel per la Chimica 2016 al francese Jean-Pierre Sauvage (università di Strasburgo), allo scozzese Fraser Stoddart (Northwestern University, Evanston, Stati Uniti) e all’olandese Bernard L. Feringa (università di Groningen) per «la progettazione e la sintesi di macchine molecolari».

Primo dei non eletti, l’italiano Vincenzo Balzani dell’università di Bologna. Molti, non solo in Italia, pensano che Balzani il premio Nobel lo meritasse, come e forse più degli altri tre. Intanto perché con Sauvage e con Stoddart ha lavorato per anni, in maniera complementare, ma assolutamente alla pari. E poi perché delle “macchine molecolari” Vincenzo Balzani è uno dei riconosciuti pionieri.
Per cercare di capire perché – ancora una volta – il Nobel non è stato assegnato a un ricercatore italiano, dobbiamo cercare di comprendere cosa sono le “macchine molecolari”. In fondo, è abbastanza semplice a dirsi (un po’ più complesso a farsi). Una macchina è un dispositivo che compie lavoro. Macchina è l’automobile che ci trasporta. Macchina è l’asciugacapelli che utilizziamo dopo la doccia. La grande intuizione di Vincenzo Balzani e del suo gruppo di Bologna è aver capito (e dimostrato) prima di altri, negli anni ’80 del secolo scorso, che i concetti macroscopici di “dispositivo” e di “macchina” possono essere estesi a livello molecolare, al livello dei nanometri.

Prendiamo il caso del rotassano, che ha meritato a Stoddart il Nobel. È l’aggregazione di due molecole: una lineare e l’altra ciclica. Simulano, rispettivamente, un filo e un anello. L’anello circonda il filo. E poiché il filo ha due blocchi, in testa e in coda, l’anello non si può sfilare: può andare solo avanti e indietro lungo il filo. Si tratta di un dispositivo nanoscopico che compie un movimento meccanico del tipo di quello che si ha in un pallottoliere.
I catenani, realizzati da Sauvage nel 1983, sono invece aggregati di molecole cicliche infilate l’una nell’altra. E, dunque, sono l’analogo nanoscopico degli anelli di una catena (da cui il nome).
Mentre gli “ascensori molecolari”, poi ribattezzati “nanospider”, sono dei veri e propri ascensori. Sono stati descritti da Balzani e Stoddart (e dai loro rispettivi gruppi) su Science il 19 marzo 2004.

In parole povere, quelle “molecolari” sono le più piccole macchine del mondo.
Sono il prodotto più avanzato della chimica supramolecolare, ovvero della chimica che – per dirla con Jean-Marie Lehn, premio Nobel per la chimica e maestro di Sauvage – sono «aggregati molecolari di più alta complessità risultanti dall’associazione di due o più specie chimiche legate insieme da forze intermolecolari». Le “macchine molecolari”, in particolare, sono aggregati capaci di compiere movimenti di tipo meccanico e anche di effettuare un “lavoro utile” in maniera reversibile se sottoposti a un’opportuna stimolazione esterna (in particolare mediante la luce).

Spiega Vincenzo Balzani: «Per capire il significato di congegno o macchina a livello molecolare e anche la logica che i chimici devono seguire per costruirli, possiamo ricorrere a un’analogia molto semplice.  Se nel mondo macroscopico un ingegnere vuole mettere a punto un’apparecchiatura come, a esempio, un asciugacapelli, prima costruisce i componenti – l’interruttore, il ventilatore, la resistenza – ciascuno dei quali è in grado di svolgere un’azione specifica e poi li assembla in modo opportuno: nell’asciugacapelli, per esempio, la resistenza va messa davanti al ventilatore, non dietro. Infine l’ingegnere collega i componenti secondo uno schema appropriato e si ottiene un’apparecchiatura che, alimentata da energia, compie una funzione utile. Il chimico procede allo stesso modo, con una complicazione. Deve lavorare non con componenti macroscopici, ma a livello molecolare, cioè nanometrico. Prima di tutto deve costruire molecole capaci di svolgere compiti specifici e poi deve assemblarle in strutture supramolecolari organizzate, in modo che l’insieme coordinato delle loro azioni possa dar luogo ad una funzione utile. Si tratta di una vera e propria ingegneria a livello molecolare».

Per almeno venti anni Balzani (che ora è in pensione) e il suo gruppo agiscono come ingegneri molecolari. E costruiscono “dispositivi” e “macchine” molecolari in grado di svolgere “funzioni utili”. I principi di queste ricerche ed i risultati ottenuti sono presentati in un libro, Molecular Devices and Machines – A Journey in the Nano World (Congegni e macchine molecolari – un viaggio nel nano mondo) che Vincenzo Balzani, con Alberto Credi e Margherita Venturi, pubblica nel 2003.
Vediamo ora come Vincenzo Balzani spiega il Nobel per la Chimica 2016: «Il campo di ricerca premiato è all’avanguardia della chimica, al confine con la nanotecnologia. Questa branca della chimica moderna lavora con mentalità ingegneristica, ma su componenti di dimensioni nanometriche (miliardesimi di metro)».

Vediamo cosa dice dei premiati: «I tre vincitori sono scienziati molto bravi. Li conosco bene e sono amico di tutti e tre. Jean-Pierre Sauvage lo conosciamo da almeno 30 anni; è allievo di Jean-Marie. Lehn, premio Nobel e padre fondatore della chimica supramolecolare, col quale pure ho collaborato. Fraser Stoddart è un chimico organico sintetico molto bravo e ambizioso. È venuto a trovarci la prima volta verso la fine degli anni ‘80 e abbiamo subito capito che potevamo ottenere, assieme, risultati  eccezionali grazie  sulla sua abilità di chimico sintetico e la nostra profonda conoscenza della fotochimica, elettrochimica e chimica dei complessi metallici. Sia Suavage che Stoddart sono venuti molte volte a Bologna, così come io e miei collaboratori siamo andati molte volte a Strasburgo (Sauvage) e a Birmingham prima poi a Los Angeles (Stoddart). Hanno anche partecipato ai congressi sulla Chimica Supramolecolare da me organizzati a Capri e Taormina ed erano entrambi presenti quando a Bologna abbiamo festeggiato i miei 70 anni con un simposio scientifico».

Dunque, Balzani conosce bene i tre premiati. E con due di essi ha avuto un vero e proprio sodalizio scientifico. «Con Sauvage abbiamo pubblicato assieme, dal 1991,  26 lavori. E con Fraser Stoddart, dal 1989, ben 70 lavori, tutti su qualificate riviste internazionali». E Feringa? «Conosco bene anche Ben Feringa, per il quale ho una grande stima. Mi ha invitato più volte a tenere conferenze in congressi da lui organizzati».
Ma restringiamo il campo a Sauvage e a Stoddart, persone con cui ha a lungo e strettamente collaborato: «Le conoscenze e capacità scientifiche del nostro gruppo sono complementari sia a quelle del gruppo di Sauvage che a quelle del gruppo di Stoddart: ciascuno di loro è molto versato nella sintesi; noi, nel progettare e razionalizzare il comportamento fotochimico ed elettrochimico dei sistemi supramolecolari. Quindi loro , separatamente, sintetizzavano sistemi supramolecolari su nostre indicazioni, poi noi studiavamo il comportamento di questi sistemi: movimenti di tipo  meccanico (ascensore molecolare, motore molecolare) o funzioni elettroniche (interruttore, presa-spina, prolunga)».

A questo punto possiamo trarre una prima conclusione. Il premio Nobel è stato assegnato per «la progettazione e la sintesi di macchine molecolari». Ma nei lavori in comune la progettazione avveniva a opera di Balzani e del suo gruppo e la sintesi a opera di Sauvage e di Stoddart e dei loro rispettivi gruppi. Coloro che hanno realizzato la sintesi sono stati premiati, colui che ha progettato “dispositivi” e “macchine” e ha verificato che “funzionassero” davvero, no. Strano.
In realtà, spiega Vincenzo Balzani: «Una parte dell’attività di ricerca in questo campo l’abbiamo compiuta su composti da noi stessi sintetizzati (ad esempio: fili molecolari, antenne molecolari, dispositivi di conversione di segnali), per un totale di altre circa 50 pubblicazioni». Dunque Balzani e il suo gruppo sono stati abili anche nella sintesi.

Resta dunque un mistero la mancata assegnazione del Nobel al chimico emiliano. In realtà, una spiegazione Vincenzo Balzani ce l’ha: «A parte il legittimo parere dei membri della sconosciuta commissione scientifica, per l’assegnazione dei premi si dice abbia importanza l’azione di lobby dei rispettivi governi (mediante ambasciatori, addetti scientifici, eccetera). L’Italia non è certo maestra in queste azioni». Il mancato Nobel a Balzani – come in passato recente ai fisici Nicola Cabibbo e Giovanni Jona-Lasinio; e in un passato un po’ più remoto ai fisici Giuseppe “Beppo” Occhialini, a Conversi, Pancini e Piccioni o allo stesso Edoardo Amaldi – è molto probabilmente dovuto alla scarso peso “politico” della ricerca italiana, riflesso della poca considerazione in cui la scienza è tenuta nel nostro paese.   «Detto questo – conclude con la signorilità che gli è propria Vincenzo Balzani – personalmente non sono amareggiato. Il Nobel mi avrebbe scombussolato la vita. Poi, senza retorica, le decine e decine di messaggi che ricevo in continuazione da colleghi e studenti valgono più di qualsiasi premio». E tuttavia: «debbo dire che mi dispiace non aver ricevuto il premio perché sarebbe servito all’Italia, a Bologna, all’Università, alla Chimica e, soprattutto, ai nostri giovani. E anche perché, forse, i politici mi avrebbero ascoltato di più!».

 

*pubblicato sulla Rivista Left del 16 ottobre 2016