Concetto di guerra nucleare non intenzionale e iniziativa umanitaria: un percorso possibile per il disarmo

Napoli, Città della Scienza, 22 e 23 aprile 2016

 

Provo una forte emozione a fare il mio intervento qui ed ora. Spero di riuscire a spiegarne compiutamente il motivo. Trent’anni fa, quando l’Ambasciatore Italiano in Norvegia mi accolse in Ambasciata in occasione del viaggio ad Oslo come rappresentante italiano nella delegazione medica dell’Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare, che ricevette il Premio Nobel per la Pace il 10 dicembre 1985, gli comunicai che il 7 novembre 1985, in occasione del loro primo incontro all’ONU a Ginevra, dopo due anni di sostanziale interruzione dei rapporti diplomatici USA/URSS a seguito del dispiegamento in Europa dei missili nucleari americani intermedi Cruise e Pershing II  ed SS20 sovietici, Reagan e Gorbaciov si erano messi d’accordo su un unico punto: il concetto di guerra nucleare non intenzionale, cioè di guerra nucleare per errore tecnico od umano. Ne riferii pubblicamente in un articolo sulla stampa nazionale il 3 gennaio 1986.

L’anno precedente, ad Helsinki, nel giugno 1984, avevo illustrato questo concetto, frutto di una ricerca italiana, a Pavel Palathenko, che fu interprete unico nei colloqui USA/URSS che portarono allo smantellamento degli euromissili dal nostro continente.

Di questo, invece, ho scritto solo venticinque anni dopo, nel dossier di “Sapere” per il 150° dell’Unità d’Italia.

Noi italiani nel frattempo non siamo rimasti inattivi. Proprio facendo tesoro di quella esperienza, la trasmettemmo agli iraniani, in occasione di un incontro tra sindaci iraniani, iracheni ed italiani che organizzammo nel cuore della Sicilia a fine novembre 2009, facendo anche celebrare messa insieme dall’Abate Conventuale e dall’Imam presente nella delegazione iraniana, nel Convento di Mazzarino.

In quella occasione comunicammo con forza che incombeva sull’Iran un pericolo, generato dalla violenza del linguaggio politico, perché avrebbe potuto determinare conseguenze militari. Ricorderete tutti l’allarme che aveva generato l’espressione: “Distruggeremo lo Stato di Israele!”, che era stata associata alla realizzazione ed all’uso di armi nucleari da parte dell’Iran.

In quei luoghi siciliani ci si fece notare che, anche se realizzata, un’arma nucleare non sarebbe mai stata usata da uno Stato islamico contro Gerusalemme, in quanto sacra per l’Islam, così come per la Chiesa Cattolica e per l’Ebraismo, e che quindi la paura nasceva dall’equivoco.

Tutto questo fu oggetto di una seria riflessione a Roma, da parte dell’Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare e del rappresentante del Comitato Internazionale della Croce Rossa e Mezza Luna Rossa, in occasione di una riunione di preparazione del Summit dei Nobel per la Pace di Hiroshima, e catalizzò l’aperto intervento della Croce Rossa contro le armi nucleari, in stretta collaborazione con  l’Internazionale Medici, con lo sviluppo della cosiddetta “Iniziativa Umanitaria”, che, con la iniziale forte determinazione e sostegno finanziario del governo norvegese, si è sviluppata in tre grandi Conferenze Diplomatiche Internazionali sull’”Impatto Umanitario delle Armi Nucleari” che tenemmo rispettivamente ad Oslo, nel marzo 2013, a Nayarit, Messico, nel febbraio 2014 ed a Vienna, sede dell’Agenzia dell’ONU per l’Energia Atomica, nel dicembre 2014.

Contemporaneamente, mentre l’Iran, come sviluppo della nostra iniziativa di Mazzarino, invitava il Presidente Mondiale dell’Internazionale dei Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare, ospitandolo nel Museo della Pace di Teheran e poi in un’intervista contro le armi nucleari sulla rete televisiva nazionale iraniana, la Croce Rossa Giapponese invitava il medico iraniano Shariar Khateri, esperto nelle cure di vittime di armi chimiche, all’Università di Tokyo, il 3 agosto 2010, a tenere una conferenza sugli effetti umani delle armi di distruzione di massa, non solo atomiche e nucleari, ma per la prima volta anche chimiche e batteriologiche. Venti giorni dopo, in Svizzera, all’Università di Basilea, accogliemmo nell’Internazionale Medici la nostra Sezione Iraniana, con Shariar Khateri, medico, direttore del Museo della Pace di Teheran, come suo Presidente.

A Basilea avevamo ottenuto un altro importante successo: accogliendo e lavorando con un diplomatico iraniano dell’Ambasciata dell’Iran presso le Nazioni Unite, a Ginevra, determinammo, una settimana dopo, il 1° settembre 2010, un’affermazione storica da parte dell’Iran nell’intervento dell’allora Presidente Iraniano Akhmadinejad alla Conferenza di Revisione del Trattato di Non Proliferazione, al Palazzo di Vetro, a chiarimento dell’equivoco che si era determinato: “Noi non sappiamo che cosa farci di un’arma nucleare!”.

Da allora in poi, la strada della diplomazia internazionale, da noi spianata, andò in discesa!

Ma torniamo a qui ed ora.

Perché sono particolarmente emozionato?

L’”Iniziativa Umanitaria”, che ha portato 124 delegazioni ufficiali di 124 Paesi membri delle Nazioni Unite a rifiutare, per la prima volta nella storia, in occasione dell’ultima Conferenza di Revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare tenutasi all’ONU , la consueta Dichiarazione Finale che ha sempre affermato la gravità degli effetti delle armi nucleari e contemporaneamente la necessità della loro esistenza per il mantenimento della cosiddetta “sicurezza globale”, si è fondata non solo sulla descrizione degli effetti ben conosciuti delle esplosioni nucleari sugli umani, ma soprattutto sulla scientifica descrizione della Fame Nucleare e dell’Inverno Nucleare che anche poche esplosioni nucleari produrrebbero sul pianeta e sull’umanità a causa del collasso della fotosintesi clorofilliana che sarebbe causata dall’oscuramento della radiazione solare prodotta dall’azione di filtro contro di essa che sarebbe causata dalle polveri che le esplosioni nucleari immetterebbero al di fuori della stratosfera e che invilupperebbero la Terra, producendo come conseguenza il pressoché immediato abbattimento delle temperature stagionali anche di 40 gradi centigradi rispetto alle medie.

Ma da dove derivano i concetti di Fame Nucleare ed Inverno Nucleare?

Dalla elaborazione scientifica degli effetti delle eruzioni vulcaniche sulla radiazione solare e sulle temperature stagionali, intuita e sviluppata per la prima volta nel 1983/84 dallo scienziato sovietico Vladimir Alexandrov e dallo scienziato svedese Paul Crutzen.

Siamo sotto al Vesuvio. Nel 1972, quando, subito dopo la decisione del nostro governo di ospitare nell’Isola della Maddalena una base di sottomarini nucleari americani il Capo del nostro governo si recò in visita al Cremlino, il suo omologo sovietico, stigmatizzando la decisione di accogliere tale base, ricordò quasi come velata minaccia e quasi per metterlo in guardia, che in era nucleare il combattimento e la ritorsione avvengono generando tante eruzioni vulcaniche, che una nuova eruzione del Vesuvio sarebbe stata nulla al confronto.

Proprio in quell’anno, qui davanti a noi, tra Procida ed Ischia, un traghetto della Tirrenia aveva subito una collisione con un mezzo navale immerso e sconosciuto.

Si sarebbe saputo tantissimi anni dopo il significato di tutto questo, producendo fatti drammatici e significativi, che debbono rappresentare un ennesimo monito di richiamo ai decisori per una nuova decisa fase di disarmo nucleare bilaterale, a cui noi italiani, dopo trent’anni, possiamo e dobbiamo dare nuovamente il nostro contributo di facilitazione.

Il traghetto italiano era entrato in collisione, nello stretto canale di mare tra Ischia e Procida, con un sottomarino convenzionale sovietico di scorta a un sottomarino nucleare, mentre, al termine della loro missione, si allontanavano dal Golfo di Napoli, sede del Comando Nato del Sud Europa, e spesso sede di ormeggio di mezzi navali della VI Flotta USA. La missione, diretta dal GRU, il servizio segreto militare dell’Armata Rossa, consistette nella deposizione sul fondale di una mina di enorme potenza.

Anche e soprattutto per aver violato questo segreto, collaborando con un’autorità nazionale italiana, un cittadino dell’ex Unione Sovietica fu condannato a morte ed ucciso.

Qualche anno dopo, il 25 marzo 2008, la nostra Marina Militare recuperò qui a Napoli un potentissimo ordigno, depositato da decenni sul fondale, a circa settanta metri dal molo.

La follia nucleare, che ricatta nei termini sopra accennati la stessa esistenza dell’homo sapiens come specie biologica vivente sul pianeta, è banale nella sua demoniacità, ed è tempo di affrontarla con decisione e forza, ed umana intelligenza.

Questo è un imperativo etico e morale, per la scienza e per la politica, non ultimo per gli enormi costi che le collettività sono chiamate a sostenere, sia per il mantenimento che soprattutto per l’ammodernamento degli arsenali nucleari, fatti solo per sostenere i peggiori incubi per il futuro nostro e delle nuove generazioni.

A proposito di etica, permettetemi un’ultima considerazione. E’ recente la notizia dell’approntamento di una nuova portaerei italiana, destinata ad ospitare i nuovi bombardieri invisibili F35. Tali velivoli, a decollo anche verticale, sono destinati a veicolare il nuovo sofisticatissimo sistema d’arma nucleare denominato B61-12, capace di colpire e distruggere l’obiettivo senza che si abbiano capacità e tempo di capirne ed intercettarne il lancio e l’arrivo sull’obiettivo.

Il sistema ha un costo stimato complessivo di ventitré miliardi di euro.

Follia nucleare a parte, diventa una necessità anche economica, in tempi di crisi e di spending review, facilitare, e rapidamente, valorizzando il necessario know how scientifico, politico e diplomatico per tutto questo, la catalizzazione di un nuovo impegnativo e serio processo di disarmo nucleare USA/Russia, che già nel 1985 noi italiani contribuimmo a determinare.

Per aiutare i decisori politici tutti i soggetti attivi nella scienza e nella società civile italiane per la pace ed il disarmo nucleare non possono più permettersi di agire separatamente ma debbono fare sistema, più che semplice rete, rifuggendo da tutto ciò che può dividere e finalizzando lo sforzo comune al disarmo nucleare generale, reciproco e controllato.

Per quanto sopra detto, ed accaduto qui nel passato, sarebbe opportuno che tutto questo avesse come sede naturale proprio la Città della Scienza di Napoli.