Pisa non dimentica Hiroshima e Nagasaki 12-24 novembre 2015

Riposate in pace, perché questo errore non verrà ripetuto
(Parco della Pace di Hiroshima)

Il 6 e il 9 agosto 2015 è stato commemorato in tutto il mondo il 70° anniversario dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Le armi nucleari – più di 16000 testate possedute da Stati Uniti, Russia, Cina, Pakistan, India, Gran Bretagna, Francia, Israele e Corea del Nord – continuano a rappresentare una minaccia per tutto il genere umano, mentre cresce anche il rischio del c.d. terrorismo nucleare.
Il Comune di Pisa (componente della rete Mayors for Peace e sostenitore della campagna Senzatomica. Trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari  www.senzatomica.it) e il CISP-Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace dell’Università di Pisa (con il patrocinio della Regione Toscana, dell’Università di Pisa e di ICAN-International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) hanno promosso un programma di iniziative per approfondire e per esprimere – insieme a scienziate e scienziati, docenti universitari, insegnanti, amministratori e amministratrici, attiviste e attivisti, artisti, persone di fede, cittadine e cittadini, associazioni – la richiesta e l’impegno per la messa al bando delle armi nucleari, come già avvenuto con altre armi di distruzione di massa: un mondo libero da armi nucleari non è solo desiderabile, è soprattutto  possibile ed è affidato anche alla capacità di disarmo interiore di ciascuno di noi (pisanondimentica.wordpress.com)
Numerosi i soggetti che hanno attivamente contribuito, esprimendo la ricchezza di risorse intellettuali (Scuola Normale Superiore, Scuola Superiore Sant’Anna, Dipartimenti di Giurisprudenza, Fisica, Civiltà e Forme del Sapere, Scienze politiche, Medicina clinica e sperimentale, Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali; Corsi di Laurea in Scienze per la pace e in Ingegneria nucleare; INFN-Istituto Nazionale di Fisica Nucleare-Pisa, Area della Ricerca del CNR-Pisa; Sistema Museale di Ateneo, CLI-Centro Linguistico), artistiche e culturali (Cineclub Arsenale, Fondazione Teatro Verdi, Teatri della Resistenza, I Sacchi di Sabbia, Cinema Teatro Lux, Associazione Culturale Il Gabbiano, Circolo di Letture ad Alta Voce, Associazione CorreLaMente, Fondazione Sistema Toscana, Pisa Internet Festival, Pisa Book Festival, Mix-Art, Libreria Ghibellina, Club Kiwanis Pisa, GRUppo Ali Dipinte), associative (Centro di Documentazione Semi sotto la neve, La Nuova Limonaia, Il Caffè della Scienza, Convento I Cappuccini, Beati i Costruttori di Pace-Onlus) della città e la sua apertura al dialogo interreligioso (Diocesi di Pisa, Pax Christi, Chiesa Valdese, Comunità Ebraica, Comunità Musulmana, Assemblea Spirituale Locale dei Baha’ì, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, Chiesa ortodossa, Chiesa protestante). Significativo è stato altresì il sostegno di prestigiose organizzazioni di ricerca sui temi degli armamenti (Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo) e organizzazioni di scienziati (Pugwash Conferences for Science and World Affairs – organizzazione Premio Nobel per la pace 1995 – e USPID-Unione degli Scienziati Per Il Disarmo ONLUS).

Guardando il fungo da sotto in su… La voce di Toshiko Tanaka, hibakusha di Hiroshima
Differenti competenze  si  sono dunque incontrate e mescolate, in tanti luoghi della città, con un approccio interdisciplinare che si è rivelato prezioso e vincente, come vincente è stata la scelta di usare più linguaggi, da quello della divulgazione scientifica a quello delle varie forme di arte, per raggiungere il maggior numero possibile di persone e, soprattutto, di giovani.
Lo scopo è stato quello di informare e offrire strumenti e competenze che fornissero un supporto razionale alla richiesta di un mondo libero da armi nucleari, per andare oltre il (pur importante) coinvolgimento emotivo ma anche oltre una narrazione storica che ha contributo ad accreditare le armi atomiche come “male necessario” per porre fine alla seconda guerra mondiale e poi per mantenere la pace nel mondo.
Emblematica di questa narrazione è l’immagine simbolo della prima esplosione atomica, il “fungo” di Hiroshima: immagine scelta per annunciare pubblicamente l’esistenza di un’arma dallo straordinario potere distruttivo, senza però mostrarne i terribili effetti su cose e persone. Quel “fungo” – una nube di fumo alta diciassette chilometri – nulla rivela della immensa tragedia che si è consumata sotto, riducendo a brandelli, cenere e ombre decine di migliaia di persone. “L’icona della bomba divenne, allora, per la sua capacità di coprire, più che di mostrare, non già il simbolo di un crimine dell’uomo sull’uomo, bensì l’emblema della democrazia vittoriosa contro i fascismi, nonché il vessillo di un’egemonia tecnologica e militare”, strumento visivo “di una campagna mediatica volta evidentemente a far dimenticare il prima possibile le vittime e i sopravvissuti dell’atomica”[1].
A Pisa abbiamo voluto ribaltare questa narrazione e per questa ragione abbiamo scelto, metaforicamente, di rovesciare la prospettiva e “guardare il fungo da sotto in su…”, con gli occhi di chi sotto quel fungo c’era. Ospite d’eccezione nella giornata di apertura è stata la signora Toshiko Tanaka, hibakusha di Hiroshima, che ha raccontato la sua storia in un’aula gremita di persone consapevoli di stare assistendo ad una testimonianza straordinaria. ( http://mediateca.unipi.it/video/Hiroshima-e-Nagasaki-70-anni-dopo/0d612d19432057733f2be44fe8d41c50)
Alle 8.15 del 6 agosto 1945, quando la prima bomba atomica venne sganciata sulla città di Hiroshima, Toshiko Tanaka si trovava a 2,3 km dall’ipocentro, sulla via per la scuola elementare (aveva 6 anni e 10 mesi e frequentava il l primo anno delle elementari). Rimase gravemente ustionata e quella stessa sera perse la coscienza per diversi giorni. Tra le vittime che non lasciarono nemmeno i resti, ebbe una zia e tutti i suoi compagni di scuola, mentre la sorellina venne ferita. Si riprese e ricuperò la salute finché, all’età di 12 anni, cominciò ad avere dei disturbi di vario genere, presumibilmente dovuti alle radiazioni. Il momento di svolta per lei avvenne ormai adulta, nel 2007, quando fece una crociera “globale” a bordo della Peace Boat. Durante una visita a La Guaira in Venezuela, il sindaco della città scoprì che lei era una hibakusha e le disse: “Se non racconta lei che l’ha vissuto in prima persona, chi può raccontarci ciò che è successo in quel giorno a Hiroshima?”. Da allora – nella speranza di non far ripetere le stesse esperienze alle generazioni future – decise di raccontare la sua esperienza del 6 agosto, di cui non aveva parlato nemmeno ai propri figli.

Cittadini responsabili e cittadinanza attiva
Scrive Kenzaburo Oe: “Hiroshima è come una ferita aperta su tutto il genere umano, e al pari di tutte le ferite, anche questa pone due possibili sviluppi: la speranza di guarigione da un lato e il pericolo di un’infezione fatale dall’altro”[2]. “Provando a riflettere sulla vita e sulla morte, è importante che tutti noi che siamo scampati solo per caso all’olocausto atomico impariamo a considerare Hiroshima come parte intrinseca del Giappone e del mondo intero”, dando “un ordine metodico ai nostri sforzi contro le armi nucleari sotto il motto dalla tragedia umana di Hiroshima al risanamento dell’umanità intera”[3].
Per rendere più efficace questi sforzi contro le armi nucleari, a Pisa abbiamo affrontato la questione da molti punti di vista, come risulta chiaro dal ricco programma di seminari e conferenze.
I temi affrontati sono stati tanti, ma esiste un denominatore comune e questo denominatore è il tema della responsabilità. Non solo responsabilità per qualcosa, ma anche responsabilità verso qualcuno.
Responsabilità degli scienziati, prima di tutto: quelli che costruirono la bomba atomica, ma anche quanti oggi continuano a fare ricerca in ambiti in cui libertà ed etica possono entrare in conflitto. Responsabilità di chi – politici e militari – decise di usare la bomba atomica. Ma c’è anche la responsabilità di noi tutti, nell’attivarci per esigere un mondo libero da armi nucleari.
Le parole di Gunther Anders sono, al riguardo, di straordinaria chiarezza: “per quanto confuso possa essere stato finora il problema dell’imputazione, il vero problema della colpa comincia soltanto ora. Soltanto ora, perché soltanto ora sappiamo che cosa significa la bomba. Per quanto innocenti si possa essere stati finora, ora si diventa colpevoli, se non si aprono gli occhi a coloro che non vedono ancora, se non si fanno rintronare le orecchie a coloro che non capiscono ancora. La colpa non sta nel passato, ma nel presente e nel futuro. Non soltanto gli eventuali assassini sono colpevoli, ma anche noi, gli eventuali morituri[4].
Esiste dunque una responsabilità – e una risposta – a cui siamo chiamati in quanto membri della comune famiglia umana. Ed è qui – nell’appartenenza alla comune famiglia umana – che si innesta l’altro modo di guardare alla responsabilità, come responsabilità non solo per qualcosa (qualcosa che è stato fatto o che non è stato fatto), ma anche come responsabilità verso qualcuno: più precisamente, verso le generazioni future e verso le vittime delle due atomiche di Hiroshima e Nagasaki e delle migliaia di test nucleari che fino al 1990 sono stati effettuati, con grave compromissione dell’ambiente e pesanti ripercussioni sulla salute delle persone.

“Riposate in pace perché questo errore non sarà ripetuto” è la frase, scolpita sul memoriale della pace di Hiroshima, scelta come epigrafe della manifestazione: è una frase controversa, ma che in qualche modo, per quanto riguarda tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione del programma, sintetizza l’assunzione di responsabilità e anche il debito di gratitudine nei confronti degli hibakusha. Questa assunzione di responsabilità ha alimentato lo sforzo compiuto per stimolare le persone ad un percorso di empowerment, affinchè ciascuno acquisisca consapevolezza del proprio potere e non si senta semplice “pedina della storia”: al contrario, grandi cambiamenti su importati questioni sono stati possibili proprio grazie alle voci che si sono levate decise dalla società civile, ad esempio per giungere alla messa al bando delle mine antiuomo o delle bombe a grappolo. Un analogo processo è possibile – ed è in corso – per arrivare all’approvazione di un Trattato per la messa al bando delle armi nucleari.

Note
[1]
CURCIO,  Le icone di Hiroshima. Fotografie, storia e memoria, Roma, 2011, 24.§
[2] KENZABURO OE, Note su Hiroshima, Alet, 2008, 108.
[3] KENZABURO OE, cit., 118.
[4] GUNTHER ANDERS, L’uomo è antiquato, Torino, 2007, 240.