Il paradosso dell’obesità infantile all’epoca della crisi

L’Istituto Superiore di Sanità, per bocca del suo Presidente Walter Ricciardi  ha di recente rilanciato l’allarme sugli effetti sulla salute di una alimentazione non corretta. Soprattutto per i bambini. Soprattutto al Sud. Soprattutto in Campania[1].

Scopriamo così che la Campania è seconda solo agli Stati Uniti in quanto a obesità infantile. Che il diabete di tipo II  comincia a comparire all’età di 10 anni. Che siamo una delle Regioni dove i nostri bambini mangiano meno frutta e verdura. Qui, dove è nata la Dieta Mediterranea, la neghiamo in modo diffuso.

Che sta succedendo?

Ovviamente, di primo acchito, saremmo portati ad associare l’obesità al mangiare molto, troppo. L’obesità come segno di opulenza. E, quasi quasi, potremmo prenderlo come segnale di benessere economico e sociale.

E poi però, i conti non tornano. Ma come, ma allora, la crisi, le famiglie in difficoltà, le famiglie piombate nella condizione di povertà o vicine alla sua soglia….tutte balle? No. Altroché. Questo dato è la conferma di una crisi sociale sempre più acuta, tanto da incidere oramai direttamente nei livelli non tanto quantitativi ma soprattutto qualitativi della alimentazione di milioni di famiglie del nostro paese e nel Sud in modo particolare. E come risultato diretto di modelli di consumo e di stili di vita sbagliati e degli effetti della crisi economica di questi oramai quasi ultimi dieci anni.

Dopo le sbornie moderniste e liberiste scopriamo una amara verità che Piero Camporesi, più di quaranta anni fa affermò in modo che più netto non si può: “ Non esiste nella storia dell’uomo qualcosa che sia tanto profondamente segnato  dal divario classista quanto l’alimentazione, la quale a sua volta condiziona la qualità della cucina oltre che l’abbondanza e la varietà della mensa. “ [2].

Un fantasma si riaffaccia nelle nostre società. Si riteneva di averlo confinato in ambiti ristretti. Si pensava di averlo debellato sotto le luci di una modernità scintillante e di splendide e maggiori opportunità per tutti…Ed ecco invece che si ripresenta in modo diffuso: la povertà. Figlia della precarietà, delle perdite di lavoro, dello smantellamento sistematico dello Stato Sociale. Diffusa nel Sud ma forte in tutte le periferie delle nostre metropoli, a tutte le latitudini. Segnata dalla presenza degli immigrati ma sempre più anche e molto italiana.

E allora scontiamo sui nostri bambini, sui quali si sta praticando un ulteriore e nuovissimo furto di futuro, il combinato disposto degli effetti della crisi economico-sociale e dei modelli e stili di vita proposti e sostenuti dal sistema alimentare globale.

Negli ultimi venti anni è cresciuto in modo esponenziale il peso del ‘cibo spazzatura’: cibo costruito a tavolino, artificiale, di basso contenuto nutrizionale e di altissimo contenuto calorico, spesso ricco di grassi che più schifosi non potrebbero essere, con carni figlie di una filiera di allevamento e di confezionamento costruita più in laboratorio che nella stalla e di sicuro non in ambienti naturali, con alimenti prima destrutturati e poi ricostruiti con abbondante lavorazione industriale e grandi apporti di sostanze chimiche.

La tavola di chi non ha molto da spendere è ricca di tutto questo. Ed è esattamente per questo che assistiamo al paradosso che: “ col portafoglio che si prosciuga c’è però qualcosa che paradossalmente cresce. Il girovita delle persone. “, come fanno notare nel loro lavoro  “La Dieta Mediterranea ai tempi della crisi”, Marialaura Bonaccio e Giovanni De Gaetano[3].

Questa realtà è assolutamente nuova. Nella nostra storia abbiamo conosciuto gli effetti della povertà che si traduceva in fame, in malnutrizione. Oggi conosciamo gli effetti della cattiva nutrizione, meglio, della sua negazione che si traduce in diffusa obesità. E l’obesità di un bambino oggi è foriera di effetti sulla sua salute a lunga gittata. E configura un quadro non sostenibile sul piano sociale, sul piano morale e su quello economico, per gli alti costi che comporta . Un’altra forma di , scusate ma non trovo parole migliori di queste per definirla, privatizzazione degli utili (i ricavi della produzione di questo cibo),  e socializzazione delle perdite (in questo caso i costi per la salute).

Una grande e urgente questione.

Esplosa in questi venti anni ultimi, dicevamo, nei quali si è affermato il sistema globale degli alimenti, come parte del sistema economico globale: il cibo, sempre più è disconnesso dal suo valore d’uso e sempre di più è esclusivamente valore di scambio. Non importa la sua qualità, non importa il come e il dove è stato ‘fatto’. Importa che risponda a precisi e sempre identici parametri di costo e di gusto. E così deve essere ovunque nel mondo. E deve venire da tutte quelle parti del mondo dove possa essere realizzato a costi sempre più bassi. Non importa come.

E così anche il nostro cibo è diventato come un’auto, un frigorifero : una cosa sconnessa dalla vita, dalla cultura.

Questo cibo viene sostenuto da una forza economica senza precedenti che si traduce in pubblicità ossessiva (la cosa che più andrebbe imputata al berlusconismo sono i guasti che su questo terreno sono stati compiuti dal suo modello televisivo che ha portato il costo-contatto pubblicitario a livelli impensabili prima, ha inondato di spot le nostre 24 ore, ha spinto la rai a porsi su quello stesso terreno , ha rilanciato e sostenuto i ‘migliori’ campioni del cibo spazzatura…), in proposizione di stili e modelli di vita che lo esaltano, attraverso libri, film, fiction…tutto concorre. E sempre di più con un ‘personalissimo’ apparato di ricerca sempre pronto a validare, ad assicurare, a confermare che è tutto buono, che fa tutto bene, che non ci sono problemi per la salute. E quando non arriva l’apparato privato si cerca di privatizzare la ricerca pubblica: o sottraendole le risorse per poter andare avanti, o integrandone sempre parti maggiori nella logica privatistica.

E la potenza dell’immaginario sollecitata è tale da investire poi in modo trasversale tutte le classi e i giovani di tutte le provenienze sociali.

E i nuovi santuari di questa bulimia consumistica sono i grandi centri commerciali, le grandi strutture della distribuzione organizzata: l’Italia e il Sud erano fino a una quindicina di anni fa tra le aree con la presenza inferiore di queste realtà. Nessun problema, nel giro di poco tempo abbiamo scalato tutte le classifiche.

Mentre le catene globali di Fast Food rappresentano il prêt à porter del cibo spazzatura.

Torniamo a questi nostri bambini, allora.

Se l’ordine dei problemi è tale, ed è tale, serve una risposta globale, altrimenti siamo solo ai palliativi.

Globale e urgente.

Ed essa investe tutto e tutti : dai sistemi legislativi e regolativi, dagli organi di tutela della salute (nazionali e sovranazionali), al ruolo della scuola di ogni ordine e grado, per l’affermazione di una nuova cultura del cibo e del corpo (ed anche per diffondere le mense scolastiche e superare  lo sconcio dei pasti a 3 o 4 euro ad alunno), e per la diffusione della pratica sportiva; dall’organizzazione della produzione del cibo , in modo particolare di quello di qualità, alla realtà della grande distribuzione organizzata che può e deve essere sollecitata e coinvolta in uno sforzo nuovo nella direzione giusta; fino a tutto ciò che costruisce ‘modelli’ di riferimento, immaginario tra le giovani generazioni : anche chiedendo una ‘scesa in campo’ dei protagonisti di musica sport, spettacolo, arte.

Serve una strategia che si incontri con la consapevolezza poi che le politiche con cui sino ad ora si è risposto alla crisi economica vanno ripensate nel profondo: una priorità assoluta.

E serve probabilmente la definizione di un vero e proprio nuovo diritto da porre in capo ai minori: il diritto ad una giusta, equilibrata, nutriente, gustosa alimentazione.

Vale la pena di promuovere sull’insieme di tali questioni un largo e approfondito confronto che già aiuterebbe ad elevare il grado di consapevolezza dell’urgenza della questione e aiuterebbe a delineare una nuova strategia che non potrà che nascere dall’incrocio di tutte le diverse esperienze.

 

(1) Il Mattino  14 marzo 2016 . Intervista di Mario Pappagallo

(2) Piero Camporesi  . La Terra e la Luna. Alimentazione folclore società.  1980

(3) Marialaura Bonaccio, Giovanni De Gaetano  La Dieta Mediterranea ai tempi della crisi. Il Pensiero    Scientifico Editore  2012