Prime personali considerazioni dopo la conclusione del Nuclear Security Summit

Venerdì 1 Aprile si è concluso a Washington il quarto Nuclear Security Summit, certamente ultimo con questo formato e ultimo della Presidenza Obama, che aveva proposto questa serie di incontri ad alto livello nel suo discorso a Praga nel 2009, per il quale ricevette poi il Premio Nobel per la Pace.

I precedenti si erano tenuti nel 2010 a Washington, nel 2012 a Seoul e nel 2014 a L’Aia. Obiettivo principale di ognuno di questi Summit era la creazione di un sistema globale di controlli e garanzie che impedisse a gruppi terroristici di impadronirsi di materiale nucleare (Uranio arricchito e/o Plutonio) per la costruzione di “bombe sporche” (in grado di rilasciare grandi quantità di materiale radioattivo) o addirittura di un ordigno a fissione. Un notevole successo è stato certamente ottenuto e, a oggi, una quindicina di Paesi ha rimosso dal loro territorio le scorte di Uranio altamente arricchito (HEU). Tutti i partecipanti al Summit hanno riaffermato il loro impegno a ridurre l’HEU nelle applicazioni civili e a sostenere tutte le possibili misure atte a controllare e custodire materiale nucleare. Benissimo. Ma la quantità di HEU utilizzato nei reattori per scopi civili non è che una piccola frazione dell’HEU prodotto e conservato per le armi nucleari dai nove Stati che le posseggono.

Come prevedibile, ancor più che nel passato, i lavori del Nuclear Security Summit 2016 si sono concentrati sul pericolo del terrorismo nucleare, e gli “Action Plans” approvati alla conclusione dei lavori riguardano sostanzialmente il supporto alle Nazioni Unite, all’Interpol, al Global Initiative to Combat Nuclear Terrorism (http://www.gicnt.org/index.html), all’IAEA di Vienna per la lotta al terrorismo nucleare (https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-and-releases). Al fine di non mandare disperso il patrimonio politico e strategico costruito in questi sette anni, quasi quaranta Paesi, più Interpol e Nazioni Unite, si sono impegnati a creare un Gruppo di Contatto (Nuclear Security Contact Group) che si riunisca una volta l’anno e mantenga la rete internazionale di controllo per la sicurezza nucleare sulla base dei “2016 Action Plans”.

Ben poca attenzione è stata però dedicata al problema degli arsenali nucleari dei P5 (Stati Uniti, Federazione Russa, Regno Unito, Francia, Cina) e di India, Pakistan e Israele e ai pericoli della proliferazione orizzontale delle armi nucleari, con l’eccezione della reiterata preoccupazione per i programmi nucleari e di sviluppo missilistico della Corea del Nord. E mi sembra chiaro che fino a che resteranno installate circa 15.000 armi nucleari, di “Sicurezza Nucleare” non ce ne sarà. E l’assenza di Vladimir Putin tra i più di cinquanta Capi di Stato riunitisi a Washington è un segno quanto mai significativo e preoccupante del cammino che ancora deve essere fatto per arrivare a quel mondo libero da armi nucleari che lo stesso presidente Obama auspicava nel suo discorso di Praga del 2009 e che è da sempre l’obiettivo delle Conferenze Pugwash (http://pugwash.org/) e dell’Unione Scienziati Per Il Disarmo (http://www.uspid.org/).

Ancora oggi gli Stati possessori di armi nucleari giustificano il mantenimento dei loro arsenali perché questi garantirebbero la loro sicurezza, non solo, di fatto, rifiutando l’impegno a “svalutare” politicamente e militarmente il ruolo delle armi di distruzione di massa, ma anche mantenendo possibili obiettivi più-che-sensibili per attacchi terroristici. Tanto per fare un esempio della attualmente ancora maggiore pericolosità, più e più volte denunciata, della presenza di circa 150 armi nucleari tattiche americane in Europa: la base di  che ospita una ventina di bombe nucleari B61, è a circa 60 miglia dall’aeroporto di Bruxelles, bersaglio degli attentati del 22 Marzo. E le armi nucleari tattiche installate nella Turchia sud-orientale sono a circa 300 miglia da Al-Raqqa, la capitale del Daesh in Siria.

I Parlamentari per la Non-Proliferazione e il Disarmo Nucleare (http://www.pnnd.org/), alla vigilia dell’apertura del NSS, hanno inviato ai Capi di Stato e ai delegati una lettera aperta “Sustainable nuclear security requires universal non-proliferation controls and nuclear disarmament measures” nella quale ribadiscono che solo eliminando tutte le armi nucleari si potrà eliminare il rischio che queste siano usate da un gruppo terroristico o da uno Stato per errore o per follia.

Forse non è illusorio sperare che si tenga presto un Nuclear Weapons Summit, con all’ordine del giorno la graduale, controllata, verificabile eliminazione delle armi nucleari, secondo una predefinita precisa “tabella di marcia”, tenendo ben presente che mentre si dedica molta attenzione al pericolo del terrorismo e una certa attenzione a quello della proliferazione orizzontale delle armi nucleari, sostanzialmente si tace sull’enorme pericolo costituito dal fatto che oggi nove Paesi sono già in possesso di armi nucleari. Penso dipenda anche dalla società civile, forse oggi drammaticamente disattenta nei confronti di questi problemi e pericoli e magari, in parte, anche ottusamente impegnata a fomentare razzismo e a creare nuove e mantenere vecchie ingiustizie.

Nota dell’autore: Le idee e le opinioni riportate in questo articolo sono personali dell’autore e non rappresentano le posizioni delle Istituzioni.