Due recensioni per Stephen Hawking

La teoria del tutto (The Theory of Everything)
di James Marsh con Eddie Redmayne e Felicity Jones, 2015.

Fin dalle prime scene del film, viene proposta con ammirevole chiarezza e grande calore la profonda fede del ventenne Stephen, aspirante cosmologo e già, a suo modo, epistemologo: la cosmologia, egli afferma, è “una religione per atei intelligenti”, i quali “venerano una singola equazione unificante che spieghi ogni cosa nell’universo”. Il fatto che queste frasi vengano pronunciate a una festa, e siano rivolte a una ragazza con la quale – già lo spettatore lo intuisce – Stephen avrà una storia d’amore, sottolinea che la ricerca, per questo futuro grande scienziato, è ciò che nel corso dei secoli è stata per Newton e per Keplero, per Galileo e per Einstein: un’emozionante avventura verso la conoscenza della trama segreta del mondo, che è una trama matematica. Un’avventura del pensiero che per Stephen andrà oltre i limiti del corpo, della malattia, delle limitazioni fisiche.

Ma è ancora presto. Il film sviluppa una storia romantica (Stephen va a prendere Jane all’uscita dalla chiesa, la porta a pranzo dai genitori, la invita al ballo di maggio) che culmina in una struggente conversazione sulla nascita e la morte delle stelle e in un primo, tenero bacio.
Una conferenza di Roger Penrose (anch’egli, come Stephen, allievo di Denis Sciama) sui buchi neri segnerà definitivamente il futuro scientifico del giovane cosmologo. La prospettiva di Penrose sarà per lui un punto di partenza per pensare in grande, per riflettere sull’intero universo e sulla sua origine, sull’origine del tempo.
La malattia non tarda a manifestarsi in modo drammatico: il declino è rapido e irrimediabile, e i medici non nascondono a Stephen la prognosi infausta. Ma l’amore è più forte di ogni prognosi, e il matrimonio tra Stephen e Jane sarà presto allietato dalla nascita del figlio Robert e, più tardi, dalla nascita di Lucy.

Intanto, sempre più malato, Stephen consegue il dottorato in fisica con la sua teoria dell’origine del tempo: ora – sfidando il poco tempo di vita che la prognosi medica gli lascia – sogna di sviluppare la matematica della sua intuizione: “dimostrerò, con una singola equazione, che il tempo ha avuto un inizio… un’unica, semplice, elegante equazione…”
L’evoluzione della malattia, purtroppo, va di pari passo con lo sviluppo delle teorie di Stephen sui buchi neri e sull’universo. Jane – unico sostegno della famiglia a causa del rifiuto di Stephen di ogni aiuto esterno – cerca sollievo nel canto corale e nel frattempo dà alla luce il terzo figlio della coppia, Timothy.
Durante un viaggio di Stephen in Francia, Jane porta i ragazzi più grandi a un campeggio con l’aiuto di Jonathan, il maestro del coro. Ma Stephen si sente male, è in coma. I medici propongono di staccare il respiratore per alleviare le sue ultime sofferenze. Jane però è categorica: Stephen deve vivere. Su richiesta di Jane, viene effettuata la tracheotomia: d’ora in poi Stephen dovrà comunicare per mezzo dei dispositivi che a mano a mano la tecnologia renderà disponibili. E’ con l’aiuto di essi che Stephen scrive il suo libro “Breve storia del tempo”, che diventerà ben presto un best seller senza precedenti nella letteratura di divulgazione scientifica.

Dopo l’ennesima onorificenza (conferita, questa volta, dalla Regina d’Inghilterra) il racconto si chiude con una inversione del tempo verso la giovinezza di Stephen, quasi a citare uno dei temi che fin da quegli anni lo avevano appassionato.
L’interpretazione di Eddie Redmayne è assolutamente straordinaria, non soltanto nel riprodurre le difficoltà fisiche di Stephen, ma soprattutto nel suo gioco di sguardi e di sorrisi che dicono tutto ciò che la parola ormai non può dire.
Il film, sostanzialmente fedele ai dati biografici del grande fisico (si fonda sulla biografia scritta, appunto, da Jane) e puntuale nei riferimenti scientifici pur appena accennati, si svolge in una atmosfera ovattata, dolce, quasi da favola d’altri tempi, anche quando la durezza degli eventi porterebbe a virare verso la drammaticità. Racconta in effetti la favola di uno scienziato che ha osato pensare in grande, sorretto da una fede nella conoscibilità del mondo attraverso la matematica: una fede che, come un filo rosso, collega tra loro tutti i grandi fisici. La favola di uno scienziato che non si è arreso alla malattia e alla menomazione, sostenuto anche dall’amore di Jane (splendidamente interpretata da Felicity Jones)  e poi dalla sua amicizia, quando l’amore finirà e Jane sposerà Jonathan.  La favola della vita di uno dei più grandi narratori di “fiabe esatte” (lo splendido ossimoro è dovuto a Hans Magnus Enzensberger) del nostro tempo; la favola di un “ateo intelligente” che ha dedicato la sua vita al tentativo di “conoscere la mente di Dio” (l’ossimoro, questa volta, è opera di Stephen Hawking stesso, forse – suggerisce il film – come regalo per Jane, cristiana della Chiesa d’Inghilterra….).

 

Hawking
di Philip Martin, con Benedict Cumberbatch (2004)

Il regista sceglie come filo conduttore un’intervista dei due astronomi americani  Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson in attesa di ricevere il premio Nobel nel 1978 per la scoperta della radiazione cosmica di fondo. Di lì – con un legame implicito, più scientifico che biografico, che risulterà chiaro solo alla fine del film – ha origine la parte del film dedicata a Hawking, che si apre con il primo incontro tra Stephen e Jane: un incontro che ben presto li vede sdraiati sul prato a contemplare le stelle.  Ma presto la malattia interviene a trasformare profondamente la vita di Stephen. Con l’affettuoso sostegno dei genitori (il padre medico è consapevole del fatto che l’aspettativa di vita è di soli due anni) Stephen va a Cambridge per il dottorato: lavorare sotto la supervisione di Dennis Sciama gli permetterà di seguire quella passione per le stelle e per la loro origine che lo ha accompagnato fin da bambino.

Un controcampo – per così dire – rispetto alla biografia di Stephen, prosegue l’intervista ai due premi Nobel. E’ come se il regista volesse sottolineare la straordinaria convergenza tra l’accuratissimo lavoro sperimentale e la speculazione teorica, ignare l’una dell’altra ma capaci, insieme, di gettare luce sulla storia dell’intero universo.
Il padre di Stephen chiede a Denis Sciama di dare a Stephen un tema di ricerca semplice, così che egli possa terminare il lavoro prima di morire. Ma questo non è possibile: la ricerca è un’altra cosa…
Stephen è un ragazzo affascinante: sa usare anche la relatività per conquistare le ragazze… Ma Jane, soprattutto, è nel suo cuore. Wagner, Shakespeare, Einstein sono il nutrimento per la sua mente, che sempre più si orienta verso le stelle. Il film ha qui un taglio molto poetico, e anche le nascenti ipotesi scientifiche di Stephen sul collasso stellare appaiono come frammenti di una poesia dedicata a Jane.

L’incontro con Fred Hoyle e con la sua decisa posizione a favore di un universo stazionario iniziano, per contrasto, a orientare il pensiero di Stephen verso un ipotetico inizio: verso il “Big bang” – termine spregiativo coniato da Hoyle stesso per deridere questa prospettiva quasi fumettistica.
Ancora una volta, in controcampo, il racconto dei due premi Nobel ci riporta a una realtà diversa: la caccia ai disturbi radio, e la scoperta dell’onnipresenza della radiazione di fondo.
Subito dopo, il film ci porta in casa di Dennis Sciama, e la conversazione sul tempo, la poesia, la fisica tra Sciama stesso e i suoi allievi Penrose e Hawking ci porta in un mondo di idee, di sogni, di fantasie splendidamente orchestrato, che ci mostra la cosmologia quasi come una forma di arte…

Ma non è solo questo. Dopo una notte di febbrili calcoli alla lavagna, Stephen è in grado di attaccare frontalmente Roger Penrose con un colpo di teatro disapprovato da Sciama, che lo spinge a produrre una teoria originale.
L’incontro con l’idea che le singolarità possano esistere nel mondo reale, oltre che in quello astratto della matematica, e che il collasso stellare sia una di queste, cambierà la sua vita. Una vita per la quale ormai i medici si dichiarano impotenti a fornire nuove cure. Potrà esserci  un futuro per lui e Jane?
L’idea folgorante gli viene per caso, sul treno. Se Einstein avesse ragione? Se si potesse immaginare una singolarità iniziale? Un folgorante scambio di idee con Roger Penrose, ormai alleato con lui nella comprensione del mondo, un gesso e un marciapiedi come lavagna…

A conclusione di un febbrile lavoro creativo, è giunto il momento di discutere la Tesi di dottorato. “Mozart!” – esclama Roger Penrose. “Ha reso Einstein meraviglioso” – commenta Sciama.
Ma allora, obiettano i detrattori, dov’è la radiazione fossile, il residuo di quella esplosione inziale?
Ecco infine svelata la relazione tra le due facce del film. I due scienziati, Penzias e Wilson,  concludono la loro intervista: debbono recarsi a ricevere il premio Nobel per aver scoperto “il suono dell’inizio del tempo”.
“Ma che cosa c’era prima del Big Bang?” – chiede Jane – “C’è spazio per Dio?”. “In teoria” – risponde Stephen. Ma ora il suo pensiero è verso la grande unificazione, la teoria del tutto. “Io credo che, piccoli e insignificanti come siamo, siamo però in grado di raggiungere una completa comprensione dell’universo”.

Si tratta di uno splendido film TV di nicchia che avrebbe meritato una diffusione ben maggiore, e in particolare un doppiaggio o quanto meno una sottotitolatura in italiano. La sceneggiatura e la regia sono assai efficaci, e il film raggiunge in molti casi una grande intensità poetica. L’interpretazione di Benedict Cumberbatch è assolutamente splendida: la passione, l’umorismo, l’amore e l’intuizione di Stephen sono resi in maniera straordinaria. La ricostruzione dell’atmosfera di Cambridge, dove così grandi menti si trovavano a pensare insieme, è emozionante. Anche gli altri personaggi, Jane in primo luogo, sono proposti efficacemente nella loro vicinanza amorosa a Stephen. La dimensione scientifica è inevitabilmente ridotta, ma la scienza ha comunque un ruolo importante ed è evidente l’attenzione a presentarla in modo comprensibile a tutti.