Due recensioni per il progetto Manhattan

Il 6 agosto 1945 venne lanciata da un aereo americano la prima bomba atomica della storia sulla città giapponese di Hiroshima. Anche quest’anno è stato commemorato questo evento, che ha fatto centinaia di migliaia di vittime, e per la prima volta un Presidente degli Stati Uniti ha partecipato, in Giappone, a questo commosso ricordo.

Dietro il lancio di quella bomba di inaudita potenza c’è stato un immenso sforzo scientifico e tecnico, con il coinvolgimento dei più grandi fisici dell’epoca (con la rilevante eccezione di Albert Einstein, che pure era stato il più autorevole promotore del Progetto Manhattan). Il cinema ha proposto molti aspetti diversi di quel periodo di ricerche, di passioni, di segreti, di spionaggi.  In particolare, Gianni Zanarini ci parla della serie televisiva Manhattan di Sam Shaw (2014-2015) e del film L’ombra di mille soli di Roland Joffé (1989).

 

L’ombra di mille soli (Fat Man and Little Boy-Shadow Makers) di Roland Joffé, con Paul Newman (Leslie Groves) e Dwight Schultz (Robert Oppenheimer), Paramount Pictures, 1989.

mille soliIl film è strutturato intorno a due personaggi principali: il generale Leslie Groves e lo scienziato Robert Oppenheimer. La scelta di aprire il film con il primo anziché – come ci si potrebbe aspettare – con il secondo segnala la centralità di Groves nella sceneggiatura. Il generale è presentato come un grande organizzatore, e nello stesso tempo come l’interprete del significato militare del progetto Manhattan: un progetto che nasce come reazione alla temuta bomba atomica tedesca ma che porterà poi, non senza sconcerto e contrasti, alle bombe sul Giappone.

Di Oppenheimer vengono proposti aspetti molteplici: la passione per la poesia oltre che per la fisica, il fascino che esercita su allievi e colleghi, la grande capacità di favorire la creatività del gruppo di collaboratori, le simpatie comuniste giovanili, la relazione profonda e mai del tutto interrotta con la giovane psichiatra Jean Tatlock, l’amore distratto per la moglie Ketty, la sollecitudine per il figlioletto Peter (la figlia Toni, nata sulla collina, è citata di sfuggita ma non è presente nel film).
Il film è organizzato in numerose sequenze che si susseguono in ordine rigorosamente cronologico. In diversi casi, una sovraimpressione precisa addirittura il luogo e la data, segnalando così allo spettatore che il film ha una particolare attenzione alla fedeltà storica.
La struttura lineare del film segue molto da vicino il racconto del progetto Manhattan fatto da Robert Jungk nel suo libro Gli apprendisti stregoni (Einaudi, 1964). Il titolo italiano del film è ricavato dal titolo originale del libro, Brighter than a thosand suns, con l’aggiunta – un ossimoro – dell’ombra (l’ombra che a Hiroshima si stampa sul terreno, ma anche l’ombra nel senso delle ombre, delle ambiguità del progetto).

Diversi scienziati compaiono nel film con il proprio nome: Leo Szilard, Enrico Fermi, Robert Wilson, Edward Teller, Seth Nedermeier.
Uno dei personaggi principali del film è invece una invenzione della sceneggiatura: si tratta di Michael Merryman, che collabora con Oppenheimer nella determinazione della massa critica di Plutonio necessaria per costruire una bomba, ma per un banale errore viene investito dalle radiazioni e muore in ospedale, dopo aver fatto il possibile per salvare gli altri. Un episodio di questo tipo è effettivamente avvenuto, ma nel 1946, dopo le bombe sul Giappone. Il fisico coinvolto era John Slotin, che aveva collaborato al Progetto Manhattan.
La figura di Michael è importante nel film anche perché è il protagonista di una storia d’amore con Kathleen, un’infermiera che lo veglierà fino alla morte.
La bipolarità oppositiva di amore e morte (o anche di vita e morte) è centrale nel film: ad esempio, Jean Tatlock dirà a Robert: “Lasciami per qualcosa di vivo”, e rifletterà “L’uomo che amavo non c’è più, è morto, e io non posso più vivere”. E’ morto pur essendo vivo, è morto perché lavora a un segreto di morte: a un progetto che può portare la morte anche a quelli che ci lavorano, anche a quelli che proprio lì, a Los Alamos, hanno incontrato l’amore e la vita.

L’opposizione tra vita e morte è comunque caratterizzata da una certa ambiguità: è vita anche la passione scientifica, la passione di risolvere problemi difficili, la passione per la libertà che in molti degli scienziati di Los Alamos prende la forma di un impegno antinazista. Ma questa vita è vissuta come morte non solo da Jean, ma anche da Kitty, moglie trascurata di Robert, che si rifugia nel bere.

L’ambiguità, la complessità dei sentimenti che accompagnano lo sviluppo del progetto è bene espressa dai sorrisi che Oppenheimer e Groves si scambiano alla fine del film, durante i festeggiamenti per il successo del test della bomba a implosione al Plutonio. Un sorriso un po’ stanco ma esultante quello di Groves, un sorriso tirato, nervoso, ambivalente quello di Oppenheimer, che è diventato una pedina in un gioco militare più grande di lui (“un fottuto burocrate”, come si definisce in una conversazione notturna con la moglie).
In definitiva, questo film ci dà due ritratti: quello di un uomo tutto d’un pezzo e quello di un uomo tormentato e ambivalente, nel lavoro scientifico come negli affetti più personali. Sullo sfondo, c’è una storia d’amore – quella tra Michael e Kathleen – che viene distrutta non tanto dalla scienza in se stessa quanto da una scienza militarizzata: e qui, appunto, siamo in guerra, come Michael stesso scrive al padre.

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Il progetto scientifico e tecnico, nelle sue enormi dimensioni e nella sua complessità – il primo esempio di big science nella storia dell’umanità – è solo in parte presente nel film, e spesso soltanto per accenni. La sceneggiatura ha scelto di concentrarsi su un particolare problema, quello della bomba a implosione al Plutonio (in gergo “Fat Man”) che poi porterà all’esigenza di una verifica (il Trinity Test), per verificare l’efficienza della disposizione delle cariche convenzionali nel far convergere le onde d’urto sul Plutonio, rendendolo critico. Questo test conferma la disponibilità di una bomba al Plutonio accanto a quella all’Uranio (”Little Boy”). L’attività del gruppo di scienziati diretto da Oppenheimer risulta dunque semplificata, e ricondotta alle dimensioni necessariamente limitate di un film. Questa scelta di sceneggiatura fornisce così un filo conduttore che va dalle prime intuizioni dei giovani collaboratori di Oppenheimer fino al Test risolutivo.

La sottolineatura della brusca fine della storia d’amore con Jean Tatlock (pur essendo questa una delle sottotrame più coinvolgenti del film) è forzata, perché sappiamo dalle biografie che la tempestosa e appassionata relazione era finita da tempo: solo dietro le insistenze di Jean, in preda ormai ad una depressione profonda che l’avrebbe condotta al suicidio, Oppenheimer si era deciso a incontrarla. Ma qui, nella sceneggiatura del film, questa forzatura ha una sua funzione: Oppenheimer è preso tra due amori femminili come è preso tra due amori scientifici: quello più conoscitivo, disinteressato, culturale che resta fuori e da cui prende – almeno temporaneamente – congedo e quello più concreto, applicativo – drammaticamente applicativo – che sta dentro Los Alamos.

La bipolarità oppositiva vita – morte, di cui si è detto, si intreccia così con l’ambiguità di colui che finisce con l’essere sempre di più, a mano a mano che il film procede, il protagonista. Fino al momento in cui – lui, pacifista e con simpatie comuniste – compirà la drammatica scelta di consigliare ai militari e ai politici lo sgancio delle bombe su città giapponesi anziché in zone deserte.
In definitiva, questo è un film intenso e problematico che ci introduce alla drammaticità e alla complessità degli eventi che hanno portato – attraverso un enorme sforzo scientifico e tecnico – alla conclusione della seconda guerra mondiale.

 

Manhattan, serie televisiva di Sam Shaw, con John Benjamin Hickey (Frank Winter), Ashley Zukerman (Charlie Isaacs). WGN America, 2014-2015.

manhattan“Benvenuto nel nulla!”: è la prima frase che Charlie Isaacs, un giovane e brillante fisico, si sente rivolgere al suo arrivo in una sperduta località del New Mexico, nel mese di luglio del 1943. Una località – “the Hill” – nell’area di Los Alamos che non ha nemmeno un nome: è individuata semplicemente dalla casella postale 1663. La sua esistenza è talmente segreta che nemmeno il vice presidente degli Stati Uniti ne è al corrente. Si tratta, come ormai sappiamo, del luogo dove convergono gli immensi sforzi che gli Stati Uniti hanno intrapreso a partire appunto dal 1943 per mettere a punto un ordigno nucleare di inaudita potenza: una bomba (in codice “the Gadget”) per mezzo della quale ottenere la sconfitta definitiva della Germania nazista. L’immensità delle risorse investite nel “Progetto Manhattan” deriva in primo luogo dalla difficoltà di separare l’isotopo 235 dell’Uranio (che può venire fissionato da neutroni, con produzione di energia e di altri neutroni, e può quindi dar luogo a una reazione a catena) dal ben più abbondante 238 (il loro peso atomico, infatti, è poco diverso e le reazioni chimiche sono le stesse). In questa impresa sono impegnate le principali Università americane e le più importanti aziende chimiche ed elettriche, usando diverse tecniche di separazione. Un secondo filone di attività assai complesse è legato alle produzione di Polonio 239, anch’esso fissionabile, che si ottiene come prodotto delle reazioni che hanno luogo in un reattore nucleare (ossia in un contesto di fissione controllata).

Nella località individuata dalla casella postale 1663 una impressionante concentrazione di scienziati (tra cui diversi premi Nobel) deve capire come usare i preziosi isotopi che giungono in piccole quantità da più parti degli Stati Uniti per costruire, appunto, “the Gadget”.
Gli scienziati sono giunti lì con le loro famiglie, che però non sanno nulla di ciò che si svolge nei laboratori. Questa, dunque, è una città molto particolare, dove l’impegno senza tregua degli scienziati e dei tecnici coesiste con una vita quotidiana che è all’oscuro del motivo di questo impegno, e intreccia affetti, passioni, tradimenti, drammi. Una vita segnata dalla vigilanza strettissima da parte della polizia militare, dalla censura, dalla violazione del segreto, dallo spionaggio, dalla caccia alle spie.

Lo sforzo scientifico, a sua volta, ha una dimensione affettiva molto intensa: non solo per l’urgenza di mettere a punto armi che facciano vincere la guerra, salvando tante vite, ma anche per la presenza di linee di ricerca alternative, portate avanti da gruppi diversi. Gruppi che sono in serrata competizione tra loro per ottenere attenzione e risorse da parte dello scienziato che – a fianco del generale Leslie Groves – ha la responsabilità di tutta l’impresa: Robert Oppenheimer.La serie televisiva Manhattan (due stagioni, per complessive 23 puntate) racconta con passione ed efficacia questo piccolo mondo che così profondamente ha segnato il ventesimo secolo. Sam Shaw, l’ideatore di questa serie televisiva (che ha vinto il Writers Guild of America) sceglie di mantenere il riferimento storico per pochissimi personaggi (in particolare, per Oppenheimer), costruendo liberamente gli altri, a partire però da un serio e approfondito lavoro di documentazione.

Sul piano scientifico, la sua scelta è quella di privilegiare – tra le molteplici linee di ricerca e di progettazione attive a Los Alamos – i due approcci alternativi per la costruzione di una bomba al Plutonio.
Il primo, il più simile alla tecnica scelta per la bomba all’Uranio (”Little Boy”), prevede l’impiego di due cariche subcritiche da lanciare l’una contro l’altra a grande velocità all’interno di una sorta di cannone, in presenza di un innesco. Nella sceneggiatura, questa linea di progettazione di una bomba chiamata familiarmente “Thin Man” è considerata all’inizio la più promettente, e ad essa – sotto la direzione di Reed Akley – è assegnata una grande quantità di risorse e di personale. Il secondo approccio, decisamente più innovativo, prevede una minore quantità di Plutonio di qualità inferiore, che viene resa critica per mezzo di una enorme compressione ottenuta attraverso l’implosione di numerose cariche convenzionali disposte simmetricamente intorno al nocciolo. Questo secondo approccio – orientato alla costruzione di “Fat Man”, è considerato più problematico, e ad esso Robert Oppenheimer ha deciso di dedicare poche risorse, sotto la guida di Frank Winter. Charlie Isaacs sarà inizialmente assegnato, appunto, a questo secondo gruppo composto di poche persone, tra cui l’unica scienziata (Helen Prins).

La competizione tra i due gruppi è al centro della serie televisiva: una competizione che ha una dimensione umana e una dimensione scientifica. Quest’ultima assume aspetti diversi in seguito alle informazioni che a mano a mano si accumulano: il Plutonio fornito dai reattori non è sufficientemente puro per Thin Man, il sistema a implosione è difficile da realizzare e richiede quantità di calcoli che il piccolo gruppo di Winter non è in grado di effettuare, forse i tedeschi sono in vantaggio ed è necessario concentrare gli sforzi su una sola linea…
Nel corso della prima Stagione della serie televisiva, questa competizione funge da filo conduttore, fino al punto di giungere a esiti drammatici che vanno ben al di là di quello che è veramente accaduto sulla collina. È noto infatti che Oppenheimer, anche scontrandosi con Groves e con i servizi segreti, ha sempre sostenuto l’importanza fondamentale di uno scambio per quanto possibile aperto e di una collaborazione, anziché una competizione, tra i diversi gruppi di ricerca.

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Charlie Isaacs, giovane scienziato di origine ebraica come tanti altri sui colleghi impegnati nel Progetto Manhattan, avrà un ruolo centrale nel far sì che il progetto di “Thin Man” venga abbandonato, e con l’aiuto di un esperto di esplosivi convenzionali si riesca finalmente a rivolgere l’onda d’urto da essi prodotta verso l’interno della bomba. Nel frattempo, anche il progetto della più convenzionale bomba all’Uranio andrà avanti, senza bisogno di una verifica preliminare.
La prospettiva di riuscire realizzare “the Gadget” entro la fine di luglio 1945 si fa più realistica. Ma crescono anche tra gli scienziati le perplessità per le enormi potenzialità distruttive delle future bombe atomiche. Così, pacifisti e spie sovietiche stabiliscono paradossali relazioni, e lo stesso Frank Winter vorrebbe far fallire il progetto, pur vivendone appassionatamente la dimensione scientifica.
Anche Robert Oppenheimer è nel pieno di una profonda crisi personale. Frequenta assiduamente Jean Tatlock, una giovane intellettuale di Los Angeles con simpatie comuniste, e la sua vita sulla collina (dove sua moglie aspetta un figlio) è sempre più tormentata.

Numerosi colpi di scena caratterizzano la seconda stagione della serie Manhattan. Il presidente Roosevelt muore all’improvviso, i tedeschi si arrendono, agli scienziati non è più chiaro l’obiettivo per cui hanno così appassionatamente lavorato. Essi chiedono quindi di intervenire nella decisione sull’utilizzo delle bombe…
La scelta di sganciare la bomba sul Giappone aprirà nuovi laceranti dilemmi: si dovrà trattare di un test dimostrativo su un’isola deserta oppure, al contrario, di una dimostrazione della potenza del nuovo ordigno su un’area densamente popolata?
Fino all’ultimo qualcuno, con motivazioni diverse, tenterà di sabotare il “Trinity test” per la bomba a implosione (il nome è ispirato a una poesia di John Donne, poeta amato da Robert e Jean), ma il test si terrà con successo il 16 luglio 1945. Il 6 agosto 1945 “Little Boy” verrà sganciato su Hiroshima e tre giorni dopo “Fat Man” cadrà su Nagasaki, provocando complessivamente 250.000 vittime e accelerando la resa del Giappone.

Un piccolo mondo, quello sulla collina, in cui questioni di rilevanza mondiale si mescolano a rivalità e collaborazioni, amori e rifiuti, tradimenti e arresti. La magia della serie televisiva – con la sua lunga durata, la tensione narrativa e l’attesa che si crea tra una puntata e l’altra – riesce a far vivere agli spettatori con emozione e partecipazione una vicenda che ha anche una rilevante dimensione scientifica, proposta con ammirevole precisione (anche se con qualche scelta d’autore relativamente alla cronologia degli eventi).
Certo, l’inizio rischia di confondere un po’ chi non sa assolutamente nulla su quello che è accaduto a Los Alamos (come del resto disorienta Charlie al suo arrivo), ma gradualmente la competizione tra “Thin Man” e “Fat Man” viene compresa – per quanto è possibile in una serie televisiva – anche nei suoi aspetti scientifici. Nello stesso tempo, la serie propone altri elementi di riflessione: il rischio di contaminazione radioattiva (presente sulla collina eppure trattato con superficialità e incompetenza), il dilemma morale posto dall’uso di un ordigno nucleare, il difficile rapporto tra scienziati e militari, l’influenza delle prime drammatiche informazioni sui campi di sterminio nazisti, la drammatica scelta finale sull’utilizzo delle bombe.

Sullo sfondo di una moltitudine di personaggi, tutti efficacemente interpretati da attori noti soltanto nel mondo delle serie televisive, spiccano fin dall’inizio Charlie Isaacs, giovane fisico di grande valore che poco alla volta si rende conto dell’importanza e delle implicazioni di ciò che sta facendo, e Frank Winter, uno scienziato più anziano profondamente segnato dagli orrori della prima guerra mondiale e dedito alla ricerca di ogni mezzo per fermare il bagno di sangue della seconda. Anch’essi sono personaggi di fantasia, ma (come molti altri) riprendono aspetti e vivono vicende ispirate a quelle reali. Anche le donne, in questo mondo di uomini, hanno una presenza importante. In particolare, Helen Prins, l’unica donna tra gli scienziati (”dissoluta ma affidabile, come tutte le donne”, la definisce Robert Oppenheimer mentre le assegna l’importante incarico di gestire lo sgancio di “Little Boy”) che tenacemente persegue l’obiettivo di dare il suo contributo al progetto, e Olivia Williams, la moglie di Frank Winter, una biologa che per prima indaga sui rischi da radiazioni.
Robert Oppenheimer è onnipresente nel senso che ogni decisione importante è presa da lui, ma non è spesso in primo piano, silenzioso ed enigmatico, con una sigaretta perennemente tra le dita. Eppure risulta chiaro che – al di là delle sofferte vicende personali – la sua grande capacità scientifica e organizzativa ha contribuito alla fine della seconda guerra mondiale. Ma anche, purtroppo, all’inizio di una nuova, difficile era, assai diversa da quel mondo di pace universale e definitiva a cui molti scienziati pensavano di dare il loro contributo.

Nella serie televisiva, un giornalista viene incaricato di scrivere la storia del progetto Manhattan. Le parole con cui questa storia inizia sintetizzano in modo efficace ciò che è avvenuto lassù, sulla collina.
“All’alba del 1945, grandi menti lavorano senza sosta. I loro strumenti: i principi stessi dell’universo. Il loro scopo: niente di meno che una pace duratura per il mondo intero. Sarebbe un compito difficile perfino per una divinità. Ma essi non sono dei. Sono mortali. Sono esseri umani. Hanno sogni e speranze, bisogni e desideri. Hanno paure e dubbi su ciò che riserva il futuro. Sono i creatori di una storia verso cui noi tutti ci stiamo dirigendo. Non è una storia semplice. E nulla ne esce immacolato.”