La nuova Città della Scienza. Riflessioni sul futuro.

 Intervento di Vittorio Silvestrini in occasione del 33Seminario strategico di Città della Scienza – Procida, 16 e 17 settembre 2016

  L’avventura di Città della Scienza – la nostra avventura – prende l’avvio trent’anni fa, nel 1987, con la prima edizione di Futuro Remoto.

Ricordo a tutti che Futuro Remoto era il titolo di un evento – il primo a Napoli, in Italia, e forse in Europa – che oggi chiameremmo “festival della scienza” e che aveva per sottotitolo “Un viaggio tra scienza e fantascienza”, con in più una connotazione metodologica – “archeologia del presente” – all’insegna dell’ambiguità, dell’ossimoro che stava a indicare una comunicazione della scienza rigorosa di fatto, ma flessibile, giocosa senza paura alcuna di stabilire un dialogo a tutto campo con la società.

All’inizio fummo guardati con sospetto dalla comunità scientifica più tradizionalista, ma la nostra iniziativa fu validata dalla partecipazione di scienziati non sospettabili certo di indulgenza verso l’eresia scientifica: Tullio Regge, Edoardo Amaldi, Umberto Colombo. Margherita Hack e anche premi Nobel come Jack Steinberger, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia, Anthony Leggett, Ilya Prigogine.

La riprova della validità di quel progetto iniziale è il consesso dei presenti a questo seminario a uso interno, sia dal lato dei relatori che da quello degli uditori.

La mission di Città della Scienza fu dunque annunciata già nella fase di presentazione di Futuro Remoto ’87: contribuire, nel suo piccolo, a costruire una civiltà sostenibile. Una società democratica fondata sulla conoscenza. E, dunque, rimuovere le barriere che costringono la nostra attuale civiltà dentro confini temporali angusti.

Ma perché la nostra attuale civiltà non è sostenibile? Per almeno tre ordini di motivi, che costituiscono altrettante barriere:

1) il rapporto tra i consumi energetici globali e le riserva mondiali di combustibili fossili;

2) l’impatto sull’ambiente locale e globale delle attività dell’uomo, quello che viene chiamato anche “l’impronta umana sul pianeta”

3) la disparità tra i paesi e la disuguaglianza tra i popoli.

Questi tre ordini di motivi, queste tre barriere, hanno qualcosa in comune: si riferiscono tutti a sistemi complessi: il sistema complesso energia; il sistema complesso ambiente; il sistema complesso società umana. Come tali, questi tre sistemi sono caotici, seguono dinamiche non lineari, hanno dunque un’evoluzione spiegabile a posteriori ma non prevedibile a priori.

In realtà, non è che un sistema caotico abbia un’evoluzione globale del tutto imprevedibile. Da un punto di vista matematico, esso è descritto da funzioni non lineari che mostrano biforcazioni. Le biforcazioni sono punti di instabilità, dove il sistema può intraprendere ad arbitrio un percorso o un altro pur partendo dalle stesse condizioni iniziali. È dunque la serie di punti di biforcazione che rende l’evoluzione globale del sistema non prevedibile a priori. Mentre lontano dalle biforcazioni il sistema è del tutto prevedibile.

Tutto questo significa che non è necessario conoscere con precisione assoluta l’evoluzione dei tre sistemi di cui abbiamo parlato – energetico, ambientale e sociale – per avere la certezza della loro insostenibilità.

Potremmo racchiudere tutto in una frase: «Non voglio conoscere fino in fondo l’evoluzione di un sistema complesso, ma quanto basta». Pierre Duhem già all’inizio del secolo scorso ha descritto con una metafora questa condizione che ci impone di governare non il certo, ma l’incerto: «siamo passati dall’universo degli orologi all’universo delle nuvole»; dalle scienze deterministiche, alle scienze non deterministiche.

Per comprendere l’universo delle nuvole non c’è bisogno di meno scienza. Al contrario, c’è bisogno di più scienza.

Bene, ritornando alle nostre tre condizioni, tutto ciò sta a indicare che i tre sistemi indicati stanno evolvendo in maniera caotica verso condizioni di non sostenibilità. Perché tutti e tre si fondano su un modello di sviluppo basato sulla domanda crescente di beni che comporta un consumo di materia e di energia non rinnovabile che cresce in maniera esponenziale. La non sostenibilità dipende da questo: la crescita esponenziale non può avvenire in un contenitore (il pianeta Terra) finito. Il modello risulta insostenibile qualsiasi sia l’esponenziale.

Il sistema energetico, il sistema ambientale e il sistema socio-economico sono caotici e, dunque, largamente imprevedibili. Ma quello che si può prevedere è che se non interveniamo, prima o poi (e sottolineo ormai più il prima che il poi) quei tre sistemi collasseranno.

All’inizio di questo mese a Città del Capo, in Sud Africa si è tenuto il 35th International Geological Congress. Ebbene, la comunità geologica mondiale ha riconosciuto la fondatezza scientifica dell’idea introdotta dal biologo Eugene Stoemer nel 1980 e divulgata dal premio Nobel Paul Crutzen, secondo cui viviamo in una nuova epoca geologica, segnata dall’uomo: l’Antropocene: l’epoca dell’incertezza. Tutti gli esperti lo riconoscono, ormai: l’attuale sistema produttivo non è sostenibile. Tutti ormai concordano sulla diagnosi.

Le differenze emergono quando si va alle proposte. Quando dobbiamo decidere come fare per rendere sostenibile l’evoluzione del “sistema civiltà”. Ci sono diverse scuole di pensiero, che si differenziano sia per orientamento politico sia per sensibilità personale.

La prima scuola, quella del liberismo sfrenato, sostiene: andiamo pure verso il punto di biforcazione, ci penserà il dio mercato, regolatore universale, a trovare il nuovo equilibrio ottimale.

Una seconda scuola di pensiero, che trova espressione nelle classi dirigenti di quasi tutti i paesi più ricchi e potenti, non arriva a tanto, ma assume un atteggiamento in apparenza pragmatico e sostiene: abbiamo risorse fossili – petrolio, gas, carbone – ancora per diversi decenni. Abbiamo tempo prima di giungere al punto di biforcazione e, dunque, per trovare la soluzione migliore al problema dell’insostenibilità. Abbiamo tempo per rendere efficienti ed economicamente competitive le fonti rinnovabili di energia. Dando per scontato che la transizione dalle fonti fossili a quella solare (che è certamente la principale fonte rinnovabile) avverrà, e avverrà senza traumi.

Così si cerca di costruire un futuro rinnovabile che non arriverà mai.

Nelle due grandi conferenze su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro (nel 1992 e nel 2012) si è data molta enfasi alla necessità della transizione dalle fonti fossili al solare. Ma tutti gli studi indicano che, con l’attuale ritmo e con l’attuale modalità di consumo dell’energia, non è affatto scontato che l’energia solare sarà capace di risolvere i problemi di sostenibilità. Al contrario, non possiamo pensare che l’energia solare – che è una fonte diffusa, poco intensa, con disponibilità temporale variabile e che ha bisogno di grandi spazi – possa soddisfare una domanda di energia che ha fra l’altro tutt’altra distribuzione temporale.

L’energia solare può diventare una fonte integrativa, ma non può essere seriamente candidata come fonte sostitutiva dei combustibili fossili. Per convincersene, basti dire che per coprire il consumo energetico pro capite dell’Europeo medio sarebbe necessario esporre al sole circa 200 m2 di più o meno sofisticate tecnologie .

Questo modello è dunque anch’esso insostenibile intrinsecamente. Ma le nostre politiche economiche sembrano ignorarlo. Di fronte al primo accenno di crisi economica, la soluzione proposta è quella di favorire l’aumento dei consumi.

Se vogliamo risolvere il problema del sistema energetico, non possiamo pensare di farlo stimolando una continua espansione della domanda. Al contrario, quello di cui c’è bisogno è un bagno di saggezza, umiltà e parsimonia; un’azione forte sul versante del contenimento della domanda.

Solo per fare un esempio.

Ci vuole più impegno, più scienza, più cultura, più conoscenza, più tecnologia, per risolvere il problema della mobilità urbana sviluppando un veicolo che pesi 30 chili e che sia mosso da un motore di mezzo cavallo, che non impiegare la nostra intelligenza per inventare un SUV sempre più dotato di optionals inutili, sempre più pesante, sempre più vorace di energia e di spazio; e ciò non per avere un mezzo con più elevate prestazioni; quel SUV è stato caricato di un valore simbolico che nella economia del mercato globale mi certifica come potente, ricco e prestigioso.

Un discorso del tutto analogo può essere fatto per il sistema ambiente che sta arrivando a un punto di biforcazione ancora più rapidamente, tanto che l’esplosione delle contraddizioni sta avvenendo prima sul versante ambientale che su quello energetico. I cambiamenti del clima ci dicono che siamo davvero a un passo dal punto di biforcazione. Noi in Italia stiamo già pagando dei costi altissimi in termini di dissesto idrogeologico. Ma non abbiamo ancora capito che il “bagno di saggezza” prevedrebbe investimenti nel consolidamento idrogeologico e nella prevenzione, mentre continuiamo con la nostra politica del rattoppo

Per quanto riguarda il sistema sociale – che coinvolge paesi e popoli – stiamo assistendo a un restringimento dell’area della ricchezza. Mai il mondo è stato così ricco, ma mai la ricchezza è stata così mal ridistribuita. E di fronte a questa disuguaglianza e ai suoi effetti, la risposta è quella di elevare muri. Che i poveri restino in Africa e facciano quel che gli pare, ma non si azzardino a forzare le barriere che andiamo costruendo a nostra protezione.

Vale la pena citare, su questo punto, una sorta di parabola particolarmente rappresentativa. Un cittadino di un paese ricco rispondeva a chi chiedeva del pesce da mangiare: “Non ti darò del pesce, ti insegnerò a pescare”. Ma il selvaggio adirato: “So pescare anch’io, forse anche meglio di te. Quel che voglio è che tu non distrugga il mio lago!”

Il tema della disuguaglianza e della sua percezione è stato a lungo completamente trascurato. Ma non si può sopprimere. E, infatti, è emerso fragorosamente con il fenomeno del terrorismo. È superficiale, oltreché inumano e crudele, pensare di erigere muraglie intorno alle regioni del benessere e lasciare che il resto del mondo venga rapinato.

Occorre costruire un mondo senza muri, sostenibile dal punto di vista energetico, ecologico e sociale. In questo noi crediamo.

In queste due giornate verranno presentate le principali attività della nostra Fondazione. Nelle relazioni riconoscerete la strategia di sempre, quella di finalizzare le attività alla produzione di beni ad alta intensità di pensiero e conoscenza e bassa intensità di energia e di materia.

In questa direzione vanno anche, e soprattutto, i grandi progetti che abbiamo recentemente avviato, e che verranno illustrati oggi e domani. Tra questi il nuovo museo del corpo umano, Corporea, che stimolerà la conoscenza del proprio corpo per insegnare a tutti, e in primis ai bambini, come mantenerlo in salute; il villaggio della sostenibilità, che promuoverà la riscoperta della saggezza antica accumulatasi nei secoli nelle nostre campagne e in sinergia con i nuovi saperi potrà garantire anche la manutenzione e la cura del territorio; il nuovo grande laboratorio “fab-lab” che impiegando le più sofisticate tecnologie stimolerà i giovani a usare la loro creatività per inventare mille nuovi mestieri; fino alle attività di creazione d’impresa e di internazionalizzazione dei sistemi innovativi di ricerca-impresa.

E non vi meravigliate se non sentirete parlare di muri da elevare e di barriere da frapporre, ma sentirete parlare di inclusione, di solidarietà. E non sentirete parlare di simboli di ricchezza e di potere, perché la nostra scala dei valori non è fondata sull’egoismo e sulla prevaricazione, ma sul rispetto e sulla collaborazione.