Che fine ha fatto l’Etna Valley?

Difetti e pregi del distretto tecnologico catanese

Una città che, sin dal boom economico, viene chiamata — a torto o a ragione — la Milano del Sud. Un vulcano ai piedi del quale sembrano continuamente poter nascere, e morire, grandi cose. Un’industria, quella dei microprocessori, che grazie alla diffusione del personal computer è in continua espansione.
È da questo terreno di coltura che nasce, durante gli anni ’90, la cosiddetta Etna Valley: un nome che è un palese riferimento alla più celebre valle del silicio, la parte meridionale dell’area metropolitana di San Francisco in cui hanno sede alcune delle più importanti aziende ad alta tecnologia del mondo. Una distretto che diventa una speranza non solo per Catania, ma per l’intero mercato del lavoro siciliano.

 

Apparentemente, un caso di eccellenza: attorno al nucleo iniziale costituito dalla STMicroelectronics, infatti, altre realtà decidono di impiantare i propri centri di ricerca ai piedi dell’Etna, collaborando da un lato con il CNR e dell’altro con l’Università degli Studi di Catania (un caso più unico che raro, soprattutto per l’epoca, in Italia). Le cose inizialmente vanno bene: la forza lavoro giunge a comprendere migliaia di persone, prevalentemente giovani laureati e diplomati.
È così che — nel capoluogo etneo — vengono sviluppati, grazie all’esperienza acquisita nel corso degli anni, dispositivi realizzati con materiali innovativi, utilizzati per esempio nei pannelli fotovoltaici e nei veicoli elettrici. Settori di avanguardia, in costante aggiornamento, che hanno bisogno delle competenze di ingegneri, fisici e periti.

Col passare del tempo, però, qualcosa non funziona. Con il nuovo millennio la congiuntura economica cambia e quello che è diventato il Distretto produttivo Etna Valley Catania non riesce a tener testa ai giganti del settore: il blocco di alcune importanti attività causa una riduzione dei lavoratori impiegati — con un massiccio ricorso alla cassa integrazione — e, quindi, una vera e propria crisi occupazionale, ancora più drammatica in un’area già fortemente penalizzata. [Ricordiamo che, ancora nel 2014, la Sicilia rappresenta — secondo i dati Eurostat — la regione d’Europa con il minor tasso di occupazione: il 42,4% delle persone tra i 20 e i 64 anni. Particolare grave, poi, la situazione relativa ai “Neet” (Not engaged in Education, Employment or Training): i giovani tra i 18 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e nemmeno seguono una formazione superano quota 40%, contro una media europea del 16,3%].

Credits: Eurostat regional yearbook 2015

Credits: Eurostat regional yearbook 2015

Il 2016 sembrerebbe l’anno del rilancio. La StMicroelectronics ha annunciato, infatti, l’investimento di 270 milioni di euro nel prossimo triennio, con l’obiettivo di aprire una sorta di seconda fase dell’Etna Valley: la compagnia italo-francese si sta concentrando, in particolare, sulla produzione di fette di silicio da 8 pollici, attraverso la realizzazione di un impianto ad hoc che sarà pronto già l’anno prossimo. [Da sottolineare che, sia in occasione del lancio del distretto sia in occasione del suo rilancio, il ruolo di sindaco di Catania è stato ricoperto dalla stessa persona: Enzo Bianco, che già a fine anni ’80 diede avvio a un’amministrazione della città che dai media venne chiamata “primavera catanese”].

 

Basterà tutto questo a rendere il polo catanese in grado di affrontare le sfide dei prossimi decenni?

Per provare a dare una risposta, è necessario adottare un punto di vista che vada oltre quello scientifico-tecnologico, coinvolgendo anche 1) cultura, 2) economia e 3) politica. Ecco un’assenza — potenzialmente pericolosa — per ciascuno dei tre ambiti:

1) L’assenza, soprattutto a livello di opinione pubblica ma anche a livello di mass media, di una concezione del mercato delle professioni scevra dall’ottica meramente lavoristica e sindacale.
2) L’assenza, a differenza di altre aree geografiche, di un ecosistema di piccole e medie imprese sufficientemente sviluppato da rendere sempre più solide le fondamenta del gigante industriale.
3) L’assenza di una classe dirigente che riesca a vedere oltre la successiva scadenza elettorale (se è vero che la Sicilia è sempre stata un laboratorio politico, è anche vero che ha creato dei veri e propri mostri).

Ciò detto, non sono certo da sottovalutare le ricadute positive di questa esperienza anche oltre il mondo dei semiconduttori. Non è un caso che l’hinterland catanese si sia arricchito, negli ultimi anni, di startup che vivono di tecnologia: due su tutte, Flazio e Orange Fiber, sembrano aver imboccato la strada giusta. La prima ha realizzato e migliorato continuamente una piattaforma web che permette di creare siti Internet fai-da-te, gratuitamente o con un costo annuale molto contenuto, completamente personalizzabili con centinaia di componenti. La seconda ha imparato a sviluppare filati innovativi e vitaminici, oggi utilizzati nell’industria della moda, a partire da uno dei simboli della regione, l’arancia.

A quanto pare, anche se in maniera un po’ più difficile di quanto preventivato, la valle dell’Etna può ancora avere le carte in regola per assicurarsi un futuro. Ma tocca agli altri giocatori aiutarla davvero.