La carica dei robot alla sfida dello sviluppo mondiale

Una nuova rivoluzione industriale è alle porte, sembra. O forse è già iniziata e bisogna farci attentamente i conti. E’ arrivata la carica dei robot, che hanno invaso il mercato mondiale tagliando per il terzo anno consecutivo un nuovo record di vendite e registrando un incremento complessivo di quasi tre volte superiore a quello del Pil globale, come ci informa l’ultimo Rapporto della Federazione Internazionale di Robotica.

Un fenomeno non nuovo, dunque, ma che si sta distinguendo per la forza della sua espansione mentre sullo sfondo restano ancora dense le nuvole della crisi economica internazionale. E non sorprende che di fronte a uno scenario in cui i robot saranno in grado di eseguire operazioni e compiti sempre più complessi, si sia infittito il dibattito tra quanti sono fiduciosi nella capacità di queste innovazioni di creare più ricchezza e benessere per tutti e quanti, invece, ritengono che i benefici rimarranno limitati e che questa fase potrebbe perfino preludere a uno stato di disoccupazione di massa su scala globale.

Stabilire quale dei due fronti abbia ragione ci porterebbe tuttavia fuori strada. Lo storico statunitense dell’economia Robert Gordon sostiene che le precedenti rivoluzioni tecnologiche sono state assai più pervasive di quella attuale andando ad incidere in tutti i settori dell’economia, ma soprattutto sappiamo che, più in generale, è la misura in cui il sistema economico nel suo insieme sarà in grado tradurre le innovazioni disponibili in aumento della produttività complessiva – o in altri termini in aumento della sua capacità complessiva di produrre valore – a consentire un innalzamento degli standard di vita. Il progresso tecnico si diffonde infatti in modo disomogeneo nei diversi settori produttivi ed i suoi effetti sulla produttività non sempre si manifestano là dove esso si genera. E’ quello che in molti non hanno esitato a definire con grande enfasi il “paradosso della produttività”, proprio quando negli anni ’90 la precedente rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) andava alimentando straordinarie aspettative.
Questa è però, sebbene importante, solo una parte della storia.

La crescita della produttività deve inevitabilmente confrontarsi con l’ampiezza del mercato di sbocco della produzione, che prefigura l’esistenza di opportunità di profitto ed incentiva a sua volta la diffusione dei processi innovativi associati all’uso delle nuove tecnologie. Un aspetto che è stato colto con estrema puntualità fin da quando la comparsa della prima rivoluzione industriale spingeva Adam Smith ad interrogarsi sulla “causa della ricchezza delle nazioni” e a ritenere che l’aumento della produttività collegata al progresso tecnico e alla crescente divisione del lavoro, incontrasse il suo limite nella dimensione dei mercati. Ma successivamente ripreso anche da Karl Marx, e rilanciato in ambito keynesiano da Nicholas Kaldor. “L’accumulazione di capitale è […] adeguata per sfruttare il flusso corrente di invenzioni.” – sostiene Kaldor – quando l’occupazione viene redistribuita da settori caratterizzati da un relativo declino della domanda a settori in tendenziale espansione. E sempre in ambito keynesiano, la “riscoperta” della cosiddetta “legge di Engel” – in base alla quale al crescere della ricchezza varia la composizione del consumo – sposta ancor di più l’attenzione sull’impatto che la dinamica della domanda, in un processo di continua interazione con le opportunità offerte dal progresso tecnico, esercita sullo sviluppo economico.

Se passiamo ora a considerare come l’aumento delle vendite di robot si è distribuito nell’economia mondiale e quali sono ad oggi gli effetti più macroscopici rilevati sull’occupazione, risultano evidenti almeno due fatti. Il primo riguarda il forte contributo che all’aumento di tali vendite hanno fornito i maggiori paesi di più recente industrializzazione (soprattutto in Asia, con in testa la Cina), caratterizzati da una minore densità di robot (ossia da un minore rapporto tra numero di robot e addetti nell’industria); il secondo investe il rapporto tra livello di qualificazione dell’offerta di lavoro e dinamica del processo di robotizzazione. Si vede così che la maggiore spinta verso la robotizzazione registrata nelle economie di nuova industrializzazione ha dato luogo a una progressiva sostituzione di forza lavoro relativamente meno qualificata, presente ancora in misura assai consistente nel tessuto produttivo. Non a caso Dani Rodrick ha parlato del pericolo di una “deindustrializzazione prematura” dei paesi emergenti, mettendo in dubbio che lo sviluppo di queste economie possa continuare con lo stesso ritmo osservato finora. Ma le evidenze di cui disponiamo ci invitano a riflettere ulteriormente, poiché la più elevata densità di robot che si riscontra oggi nei paesi di consolidata industrializzazione non ci consente di spiegare i corrispondenti livelli dei tassi di occupazione.

Capire in quale direzione andrà l’occupazione richiede, piuttosto, una più attenta valutazione di come evolveranno le nuove “catene di creazione del valore”, sia all’interno delle singole economie, sia a livello mondiale, data l’importanza che hanno assunto i processi di delocalizzazione produttiva. Ciò significherà considerare in che misura, ad esempio, lo sviluppo interno all’industria si rifletterà su un aumento dei servizi ad alta qualificazione – fenomeno già ampiamente riscontrato nelle economie in cui la presenza di un manifatturiero ad “alta intensità tecnologica” è relativamente più elevata – dando luogo ad un aumento complessivo dell’occupazione e del reddito e, in ultimo, della domanda di nuovi beni e servizi. Questo processo potrebbe a ragione investire anche i paesi di più recente industrializzazione, verso i quali nel ventennio passato si sono diretti ingenti flussi di investimenti delle economie occidentali per sfruttare – là dove possibile – il minore costo del lavoro. La spinta propulsiva registrata dal reddito di tali paesi si è tradotta infatti negli ultimi anni in autonoma capacità di investimento che, guidata per lo più dall’intervento pubblico, ha favorito l’aumento della spesa in ricerca e promosso lo sviluppo di produzioni ad alta intensità tecnologica, dando vita a ulteriori incrementi di reddito e a nuovi flussi di investimento verso il “Nord” del mondo.

L’accelerata diffusione dei robot nei paesi emergenti sembra dunque concludere una fase importante di un processo di industrializzazione concentratosi finora su attività ad alta intensità di manodopera, che hanno assorbito la delocalizzazione produttiva attuata dalle economie avanzate. La vera sfida che ci troveremo di fronte nei prossimi anni riguarderà sempre più il confronto tra aree del mondo che si sono avvicinate – come puntualmente confermano i dati sulla distribuzione del reddito – portando le prospettive dello sviluppo globale sul terreno della produzione di nuove conoscenze e di nuovi beni e servizi. E i robot hanno bussato alla nostra porta per ricordarcelo.

 

Riferimenti bibliografici

Ciriaci D., Palma D., 2016, Structural change and blurred sectoral boundaries: assessing the extent to which knowledge-intensive business services satisfy manufacturing final demand in Western countries, Economic System Research, V 28, N.1.
Gordon R. J., 2012, Is U.S. economic growth over? Faltering innovation confronts the six headwinds NBER WP. 18315.
International Federation of Robotics, 2016, Robotics World Report 2016.
Kaldor N., 1957, A model of economic growth, The Economic Journal, Royal Economic Society.
Leon P., 1965; Ipotesi sullo sviluppo dell’economia capitalistica, Boringhieri.
Marx K., 1867, Das Kapital, trad. it. Meyer R., 2008, Il Capitale, Libro I, Cap. XXIII, Newton Compton.
Pasinetti L., 1984, Dinamica strutturale e sviluppo economico. Un’indagine teorica sui mutamenti nella ricchezza delle nazioni, Utet.
R&D Magazine, 2016, Global R&D FundingForecast.
Rodrick D., 2015, Premature deindustrialization, NBER WP 20935, february.
Smith A., 1776, An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, trad. it, La ricchezza delle nazioni, Utet, 2013.
Unctad, World Investment Report, 2016