Emma Castelnuovo: la nuova didattica della matematica

Emma Castelnuovo è in piedi sul grande palco della sala concerto, minuta, diritta davanti a un leggio e con in mano uno spago. Sta per cominciare la lectio magistralis di apertura del festival della matematica, organizzato da Piergiorgio Odifreddi. È il 15 marzo del 2007.

Dopo un’ora e mezza di lezione, la sala Sinopoli, la più grande dell’auditorium di Roma, è ancora gremita.
Poche volte ho constatato tanto silenzio in una platea formata in gran parte da studenti e studentesse delle scuole superiori romane. E mai mi era capitato di vedere tanti giovani sguardi concentrati su una signora di 93 anni che parla a braccio di numeri e figure geometriche e usa uno spago per accompagnare i suoi ragionamenti. Ma non è una sorpresa.
Emma Castelnuovo è stata l’artefice di una rivoluzione, di un cambio di passo nell’insegnamento della matematica in Italia e in Europa. Una rivoluzione che i suoi tanti allievi e allieve non hanno più dimenticato.

Già nel 1948, dieci anni dopo l’abilitazione a insegnare, Emma Castelnuovo aveva pubblicato un libro di testo dal titolo Geometria intuitiva. Non era il suo  primo manuale, ma il primo a portare il suo nome. L’effetto di quel volume nel mondo della scuola fu una deflagrazione. Perché provocava un sostanziale rovesciamento del punto di vista. Si rivolgeva direttamente agli studenti e avvicinava lo studio della geometria alla realtà. Dirà anni dopo: “Decisi di cambiare perché io vedevo i ragazzi spenti. Quando facevo geometria non si interessavano a niente e avevano perfettamente ragione di non interessarsi”.
Era solo l’inizio.

La storia di questa scienziata dalla lunga vita –  è morta nel 2014, quattro mesi dopo aver raggiunto i cento anni –  e dalla lunga e ininterrotta vocazione all’insegnamento, è raccontata nella prima biografia a lei dedicata, appena uscita  per i tipi dell’Asino d’oro (Emma Castelnuovo, collana Profilo di donna, pp 219, 15 Euro).

Le due autrici, Carla degli Esposti e Nicoletta Lanciano, hanno conosciuto e frequentato Emma Castelnuovo e, soprattutto, hanno vissuto in prima persona l’effetto di quella rivoluzione culturale. Entrambe, dopo essere state  tirocinanti nelle classi della professoressa– un’altra delle innovazioni di Emma Castelnuovo dedicate ai futuri insegnanti – decideranno di occuparsi di didattica della matematica. L’idea che le trascina nel mondo della pedagogia attiva è quella di partecipare alla costruzione di una  scuola viva, non mortificata da programmi avulsi dalla realtà degli studenti. Una scuola che può diventare un modello di comunicazione della scienza basato sul ragionamento autonomo e critico.

Il libro si nutre di questa esperienza diretta, scientifica e umana, delle autrici. Il racconto segue il filo degli avvenimenti nella vita e nel lavoro di Emma Castelnuovo con il valore aggiunto di uno sguardo personale, caloroso ma discreto, che riesce a restituire anche aspetti più privati del carattere della professoressa. Come nel caso del’aneddoto della collanina.
Emma Castelnuovo arriva a un convegno con delle scarpe grosse e secondo lei inadeguate all’occasione. Si allaccia furtiva qualcosa al collo e poi comincia a parlare rimanendo però, e questo non succedeva mai, seduta per tutta la durata del suo intervento. Commenterà poi con gli amici: “Facevo la mia bella figura con la collanina!”

La vita privata e pubblica di Emma Castelnuovo è costellata di avvenimenti che appartengono alla storia migliore e peggiore del nostro Paese. La biografia restituisce molto bene l’intreccio tra i progetti di una giovane donna italiana laureata in matematica, le vicende terribili del fascismo e il contatto con il mondo internazionale della cultura e in particolare  della pedagogia.
Da questo intreccio viene fuori la unicità di Emma Castelnuovo.

Fin dalle prime esperienze di insegnante, e lo farà per tutta la vita,  sente il bisogno di studiare e incontrare  i  pedagogisti francesi, belgi e americani per capire e per confrontare le sue idee, mostrando determinazione e coraggio anche quando, come nel caso dei colleghi francesi, si scontra con i pregiudizi e le resistenze ideologiche.
D’altra parte è cresciuta in una casa dove non solo è di casa la matematica, suo  papà è il matematico Guido Castelnuovo e suo zio il matematico Federigo Enriquez, ma dove vige la convinzione condivisa che la cultura può salvare il futuro delle nuove generazioni.

Emma si laurea nel 1936 a 23 anni. Due anni dopo, ad agosto, riceve la lettera di incarico all’insegnamento nelle classi del ginnasio inferiore all’istituto Tasso di Roma. Il suo sogno è insegnare e finalmente si realizzava. Ma solo pochi giorni dopo, il 5 settembre del 1938, Emma Castelnuovo riceverà un’altra lettera, di ben altro tenore,  dove il governo fascista le comunica la sospensione dall’insegnamento perché ebrea.
Emma, senza alcuna esitazione, diverrà una delle insegnanti della scuola ebraica, un’esperienza didattica di resistenza all’oltraggio delle leggi razziali e di fiducia nel futuro che lascerà un segno indelebile su insegnanti e allievi.

Nel  2008,  a settant’anni dal primo giorno di vita della scuola organizzata dalla comunità israelitica di Roma, Emma ricorderà quell’esperienza nello stesso edificio  che aveva ospitato quella scuola.
Non esiterà a intervenire, con voce ferma, per far entrare alla cerimonia un piccolo gruppo di ragazzi afgani, accompagnati dalla loro insegnante Carla degli Esposti, che non risultavano iscritti negli inviti. Emma si fa fotografare con loro, è soddisfatta. La foto chiude simbolicamente il cerchio di una vita dedicata a costruire  una scuola che formi futuri cittadini liberi dai pregiudizi.

Dal libro di Degli Esposti e Lanciano viene fuori il ritratto a tutto tondo di una scienziata che da quel 1938 quando viene cacciata dalla scuola fascista al nuovo secolo che la vede anziana, lucida e ancora impegnata nei laboratori di formazione di insegnanti a Cence in Umbria, ha costruito una rete di idee e di contatti che valgono oro ancora oggi.
Come ancora oggi resta inimitata un’altra delle invenzioni di Emma: le Esposizioni di matematica. Erano gli anni settanta del secolo scorso. Anche i grandi nomi della cultura di quegli anni restavano sorpresi da una scuola, per così dire, fatta all’incontrario, dove erano i ragazzi e le ragazze a  insegnare, preparatissimi.

Il matematico Bruno de Finetti descrive quegli esperimenti come un grande progetto di civiltà: Dopo questa esperienza i ragazzi appaiono uomini  come ormai  sembra ai più utopistico  che degli uomini reali possano essere: uomini immuni dal contagio della meschinità trionfante dall’acquiescenza alle storture e alle sopraffazioni.

A conclusione del libro le autrici scrivono, quasi  a voler sottolineare la molteplicità insita nella eredità della professoressa: “Chi ha conosciuto Emma direttamente la ricorderà a suo modo”.
Ma c’era bisogno di un libro che mettesse insieme, provando a non sottrarre  nulla, le tante idee audaci di una donna, scienziata, professoressa, pedagogista che ci insegnato un metodo per diventare cittadini e cittadine consapevoli. Quello di provare a tornare sui banchi di scuola.