La crisi energetica

La risorsa infinita. Capitolo 5

La crisi energetica

Consumi, riserve, impatto

I consumi energetici mondiali annui si aggirano intorno ai 10 Gtep (dieci miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio). Nel corso del XX secolo, tali consumi sono aumentati al ritmo di circa 2.3 %  all’anno: estrapolando al futuro, si può prevedere che questo tasso di crescita sia destinato ad aumentare nel prossimo futuro, con l’ingresso nell’area della ricchezza delle potenze asiatiche emergenti, Cina e India.

Salvo il contributo, ad oggi minoritario, di fonti energetiche che possiamo chiamare “integrative” (geotermica, solare, idroelettrica, nucleare: fonti che, nel loro insieme, non arrivano a coprire il 20 % del fabbisogno), la maggior parte delle esigenze vengono coperte mediante ricorso a fonti fossili fluide (petrolio e gas naturale) e solo in misura più ridotta (20 % del totale) al carbone.

Le riserve di fonti fossili  – che il Pianeta ha accumulato in centinaia di milioni di anni – vengono oggi consumate ad un ritmo incommensurabilmente più elevato di quello che la Terra ha impiegato per accumularle. Le riserve accertate di petrolio si aggirano intorno ad un valore di poco superiore al centinaio di Gtep; ed altrettanto (anzi, un po’ meno) ammontano le riserve stimate di gas naturale; notevolmente superiori ( per un fattore 5 ÷ 10) sono le riserve di carbon fossile.

Confrontando con i consumi, concludiamo che i combustibili fluidi (oggi largamente i più usati) sono destinati ad esaurirsi intorno alla metà di questo secolo. Questi dati ci portano a prevedere che l’attuale modello energetico sia destinato ad entrare in crisi in un futuro ormai prossimo (e già i primi sintomi di questa crisi annunciata si vanno manifestando, riflettendosi in instabilità crescenti dell’economia mondiale).

Si potrebbe pensare ad un modello che preveda un uso via via crescente della fonte carbone, ad esempio attraverso il ricorso a tecnologie di gassificazione e/o liquefazione. Ma qui, ci scontriamo ancor più crudamente con un’altra delle controindicazioni dell’attuale sistema energetico basato su fonti fossili: l’impatto ambientale.
La combustione di un combustibile fossile comporta ineludibilmente il rilascio in atmosfera di anidride carbonica (CO2 ); oltre eventualmente all’emissione di altre sostanze inquinanti più o meno evitabili usando opportuni presidi ambientali.

L’anidride carbonica – la cui emissione in atmosfera è dunque inevitabile quando si bruciano combustibili fossili – è un inquinante subdolo. Inodore e incolore, esso non ha alcun effetto diretto sulla salute. Tuttavia, accumulandosi via via nell’atmosfera terrestre, produce un incremento progressivo dell’ “effetto serra globale”: come se il Pianeta venisse avvolto da un involucro di vetro, che lascia entrare l’energia solare che investe la Terra, impedendo per contro alla radiazione termica di uscire. La temperatura media del Pianeta si innalzerà vieppiù (i primi sintomi di questo fenomeno sono già misurabili) con effetti sul clima globale che sono difficili da prevedere in dettaglio, ma che certamente avranno caratteristiche catastrofiche.

 

Fonti alternative

Alla luce di quanto fin qui detto, è necessario e urgente adottare un modello energetico diverso e nuovo, basato su un ricorso via via decrescente alle fonti fossili; tanto più considerando che i mutamenti climatici globali, una volta avviati, sono difficili e lenti da riassorbire.
Ma quali sono le fonti “alternative”  su cui si potrà far conto per realizzare l’economia energetica del futuro?

Il censimento delle possibili fonti è presto fatto: si tratta di un elenco breve ed – ahimè – esaustivo, che non lascia spazio a future possibili sorprese prodotte dalla ricerca. Le fonti non fossili che il pianeta possiede (oltre alla geotermica e alla idroelettrica, che già oggi sono sfruttate al limite del loro potenziale) sono: nucleare da fissione; nucleare da fusione; solare (diretta o indiretta: eolica, onde del mare, ecc). Prima di entrare nel merito di pregi, difetti e potenzialità di queste fonti alternative, vale la pena un breve commento su quella che viene sempre più insistentemente presentata dai “media” come una promettente fonte del futuro: l’idrogeno. L’idrogeno è un combustibile dotato di caratteristiche assai attraenti (anche se è notevolmente delicato da maneggiare): quando brucia, produce energia termica di elevata densità e nessun inquinamento (il prodotto della combustione è semplicemente acqua). Tuttavia esso è praticamente inesistente libero in natura. Per disporne, occorre produrlo. Per produrlo, è necessario decomporre l’acqua, nella quale l’idrogeno è legato all’ossigeno. Ma questo processo di decomposizione assorbe energia in misura teoricamente uguale (ma praticamente un po’ maggiore) dell’energia che si libera quando poi l’idrogeno verrà bruciato. Se dunque esso da un lato può essere utile a razionalizzare il sistema energetico ( evitando, ad esempio, l’inquinamento urbano) esso non può dare alcun contributo al bilancio energetico: nell’impianto usato per produrlo, si consuma più energia di quanto se ne libererà quando e dove esso viene utilmente impiegato.

Ma torniamo alle fonti alternative più sopra citate: fissione nucleare, fusione nucleare, solare.
Tutti i reattori finora realizzati e funzionanti nel mondo sono reattori a fissione, che utilizzano come combustibile l’uranio U235 , un isotopo presente in bassissima percentuale (meno dell’1%) nell’uranio naturale U238

. Secondo un censimento della IAEA (International Atomic Energy Agency) i reattori in attività nel 2007 erano 439, e il loro numero è in diminuzione: i motivi della ridotta attenzione a questa fonte sono sia la crescente opposizione sociale alla diffusione di reattori, che il suo ridotto rilievo strategico conseguente alla relativa scarsità, in natura, di uranio U235  .

Affinché questa fonte riceva nuovo impulso è necessario che la ricerca sovranazionale dia soluzione agli ancora rilevanti problemi di sicurezza che riguardano sia il ciclo del combustibile (estrazione e arricchimento dell’Uranio; smaltimento delle scorie) che l’operazione dei reattori e il loro smantellamento. Inoltre è necessario accrescere fortemente l’efficienza di utilizzazione dell’Uranio naturale; cosa che può essere ottenuta utilizzando reattori veloci autofertilizzanti (che trasformano in combustibile utile anche l’U238), che sono attualmente in fase di sviluppo e sperimentazione.
Ma quella che viene considerata come la soluzione strategicamente definitiva è data dalla fusione nucleare controllata, la cui fattibilità – oggetto di studio attraverso imponenti programmi di ricerca internazionali cui anche il nostro paese partecipa attivamente – non è però stata ancora dimostrata.

La fusione nucleare è il processo che alimenta la radiazione emessa dal Sole, derivante dalla trasformazione di massa in energia che si ha nella combinazione (fusione) di nuclei degli atomi leggeri (in particolare, gli isotopi dell’idrogeno detti deuterio e trizio). In questo caso, il combustibile è abbondante in natura (tanto che questa fonte viene considerata come praticamente inesauribile), e controllabili con relativa facilità sono gli aspetti ambientali e quelli di sicurezza. Si tratta di una sfida molto difficile, considerato che per portare la reazione in condizione di ignizione e  poi di autosostentamento è necessario che il combustibile (costituito da plasma, cioè da una miscela di atomi ionizzati di deuterio e trizio) venga portato in condizioni di pressione e temperatura analoghe a quelle presenti all’interno del Sole ( pressione di alcuni megapascal;  temperature  dell’ordine di 100 milioni di gradi).

Le vie percorse per cercare di raggiungere queste condizioni sono sostanzialmente due: quella  del “confinamento magnetico”, che consiste nel contenere il plasma (la cui altissima temperatura rende impossibile l’uso di un contenitore materiale) entro una complessa struttura magnetica immateriale realizzata con magneti superconduttori; e quella del ” confinamento inerziale ” consistente nel preparare delle capsule metalliche riempite con combustibile (deuterio e trizio) ad alta pressione, e nel fare implodere tali capsule investendole con un intensissimo flusso di energia (prodotto, ad esempio, con LASER di potenza). E’ azzardato ipotizzare che impianti per la produzione di energia basati sulla fusione nucleare possano entrare in funzione prima del 2050.

Veniamo, finalmente, all’energia solare.
L’ energia solare che investe complessivamente la Terra sarebbe, in termini strettamente quantitativi, largamente sufficiente a soddisfare tutte le esigenze energetiche presenti e future.
Tuttavia essa soffre di due importanti difetti: la sua disponibilità è intermittente e aleatoria; essa è notevolmente diluita (con sole allo zenith e cielo sereno, essa ha una “ densità “ di circa 1 KW per ogni m2 esposto). Per conseguenza, per soddisfare la “dieta energetica” dell’europeo medio, occorrerebbe esporre al sole circa 200 mpro capite di più o meno sofisticate tecnologie; un numero che confina attualmente questa fonte al ruolo di fonte integrativa.

Un approccio complementare è quello di usare l’energia solare approfittando della funzione clorofilliana svolta dalle piante, e trasformando poi il materiale così ottenuto (biomasse) in combustibili utili, liquidi o gassosi. Questo percorso, che merita comunque grande attenzione, va però in contrasto con l’uso alimentare dei prodotti agricoli, e rischia di penalizzare ancor più le aree più povere del mondo, che ancora soffrono la fame. I primi sintomi di questo tragico fenomeno appartengono ormai alla cronaca.

 

Gli schiavi meccanici della nostra civiltà

Questa sintetica analisi dello stato e delle prospettive del sistema energetico mondiale ci evidenzia un quadro tutt’altro che tranquillizzante: consumi energetici insostenibili (sia in rapporto alla disponibilità delle risorse che tale sistema alimentano, che in rapporto all’impatto ambientale) e tutt’ora crescenti; prospettive  incerte e lontane per quanto riguarda lo sviluppo di fonti energetiche alternative, che siano compatibili coi vincoli ambientali e sufficientemente abbondanti da garantirne disponibilità sul medio periodo, così da darci tempo per sviluppare soluzioni di lungo termine.

Quale dunque percorso possiamo individuare per portare questa  nostra civiltà scialacquatrice verso lidi più tranquilli e sicuri?
Abbiamo detto, e ribadiamo, che i consumi energetici attuali sono troppo elevati, sia in rapporto alla disponibilità delle risorse convenzionali sia in rapporto ai catastrofici guasti verso cui il loro consumo ci porta.

Ma vi è un altro modo per valutare quanto elevato sia un determinato consumo energetico. Il corpo di un uomo a riposo consuma una quantità di energia per unità di tempo, così come accade per un motore al minimo: questo consumo, detto “metabolismo basale”, è leggermente diverso da individuo a individuo (dipendendo dalla corporatura e dallo stato di salute), ma si aggira in media attorno a 100watt.
Quando un uomo lavora di buona lena, la potenza energetica che sviluppa aumenta, divenendo tipicamente doppia (per periodi brevi, anche tripla) rispetto al metabolismo basale. Per svolgere queste funzioni, il corpo deve ricevere energia in ingresso, che gli viene fornita dagli alimenti: del tutto analogamente a un motore termico, che sviluppa lavoro a spese del consumo di combustibile. E’ allora facile valutare una equivalenza: un buon motore, consumando un chilogrammo di gasolio, sviluppa tanto lavoro quanto un uomo ne può compiere in tre giorni.

Abbiamo detto che il consumo energetico mondiale si aggira intorno a 10 miliardi di tonnellate equivalente di petrolio: facendo l’opportuna proporzione, esso sviluppa in totale tanto lavoro quanto sono in grado di compiere 100 miliardi di operai.

Tenuto conto che la maggior parte dei consumi energetici sono concentrati nei paesi più ricchi, dove vive poco più di un miliardo di persone, concludiamo che ognuno di noi, cittadini dell’impero tecnologico, ha al proprio servizio l’equivalente di cento schiavi meccanici; e tenuto conto che le macchine sono sempre più gestite ciascuna da un computer, la metafora degli schiavi meccanici è di anno in anno più calzante.

 

Come usiamo i nostri schiavi?

Che ne facciamo di questa enorme forza lavoro a nostra disposizione? Tenuto conto di come i consumi energetici si distribuiscono nei vari settori di impiego, possiamo dire che ogni cento schiavi meccanici quaranta lavorano nelle fabbriche; venticinque si occupano  di trasportare noi e le nostre merci; venticinque lavorano nelle nostre case; dieci si occupano di agricoltura ed altre attività primarie.

Ma a quali mansioni dedichiamo tutti questi lavoratori equivalenti? Sono impiegati in compiti  ragionevoli ed effettivamente utili?

Facciamo qualche esempio.
Pensiamo a un individuo che giri per la città con la sua automobile:  l’automobile pesi, diciamo 700 kg e sia mossa da un motore con la potenza di 100 cavalli (poco più di una utilitaria). Va paragonato a un signore che si muove su una carrozza che pesa dieci volte più di lui (e dunque trasporta soprattutto se stessa), ed è trainata da cento cavalli. Nemmeno l’imperatore, in una ricca civiltà del passato, avrebbe ambito avere tanto! Ma nel nostro moderno impero tecnologico, è sempre più di moda che le signore portino il rampollo a scuola usando un SUV, il più modesto dei quali pesa assai più di 1000 Kg e ha un motore di più di 200 cavalli. Mentre usando moderne tecnologie, sarebbe possibile muoversi in città su una vettura pesante 50 Kg, e mossa da un motore di un quarto di cavallo; e  arrivato a casa, piegare la vettura e parcheggiarla nell’atrio di casa.

Va notato che quest’ultima soluzione, che possiamo chiamare a “ bassa intensità energetica”, non comporta alcun sacrificio in termini di prestazioni. La piccola vettura da città sarebbe in grado egregiamente di farci muovere in città alla velocità di alcune decine di chilometri all’ora (non va in media a velocità superiore il potente mezzo oggi utilizzato, intralciato nei suoi spostamenti da un caotico traffico che esso stesso contribuisce a creare). Al contrario, avremmo una serie di positivi riflessi sulla qualità della vita offerta dalla città: inquinamento fortemente ridotto; strade libere da pesanti ingombri parcheggiati ovunque; maggiore sicurezza; ecc.

Non parleremo dunque di provvedimenti di risparmio energetico, una locuzione che fa pensare a sacrifici; parleremo piuttosto di “ottimizzazione” del sistema, una azione sistematica di ristrutturazione che mentre da un lato elimina o riduce sprechi e ridondanze interne al sistema di produzione distribuzione e uso dell’energia, dall’altro produce solo vantaggi in termini di riflessi sulla qualità della vita dei singoli e della collettività.
Analoghi sprechi e ridondanze sono riscontrabili, in misura più o meno elevate, nella maggior parte dei settori di impiego dell’energia: sintomi evidenti di criteri di programmazione motivati non già dal criterio di ottimizzare la qualità della vita della collettività, ma dall’obiettivo di massimizzare i consumi; perché è il continuo aumento delle vendite il fattore che garantisce l’espansione del mercato che produce non tanto benefici per tutti, ma piuttosto profitto per pochi.

Vediamo qualche altro esempio di sprechi e ridondanze.  Le fabbriche del settore industriale – e più in generale il sistema produttivo dei paesi ricchi e “progrediti” – immette continuamente sul mercato una grande quantità e varietà di merci e servizi in continua evoluzione, cosicché chi è e vuole apparire facoltoso ed influente è incentivato in continuazione all’acquisto del più recente modello (filosofia dell’ “usa e getta”). Largo al “nuovo”; mentre il vecchio – che potrebbe continuare a svolgere egregiamente il suo servizio, viene quanto prima rottamato e gettato, alimentando un fiume di rifiuti che a stento e non sempre si riesce a gestire e governare.

Ma l’inutile spreco di energia è alimentato non solo dalla continua esibizione del fascino del “nuovo”, ma anche da quello altrettanto pericoloso dell’esotico. E allora potrete vedere sulle nostre autostrade autotreni che portano al nord carichi di acqua minerale imbottigliata al sud; e altrettanti autotreni che, sulla corsia opposta, portano acqua dal nord al sud.
Un altro esempio ancora. Circa un  terzo dei consumi energetici  è assorbito dal settore domestico (e più in generale civile): acqua calda, riscaldamento di ambienti, raffreddamento estivo, ecc. Si tratta soprattutto di usi termici a bassa temperatura, soddisfatti bruciando combustibili pregiati, che sarebbero in grado di produrre calore ad elevata temperatura; o addirittura ricorrendo ad energia nobile, come quella elettrica.

Usando opportuni criteri di progettazione, di costruzione e di conduzione, questi consumi potrebbero essere fortemente ridimensionati. Il riscaldamento invernale degli ambienti potrebbero essere fortemente ridotti coibentando l’involucro dell’edificio, in modo da limitare drasticamente la dissipazione di calore verso l’esterno; il ricorso al condizionamento estivo potrebbe essere ridimensionato, adottando metodologie di ventilazione naturale secondo tecniche progettuali antiche pregne  di nuove potenzialità se maritate a moderne tecnologie. E tanto basti, a livello di semplici esemplificazioni di una generale attitudine allo spreco che caratterizza trasversalmente tutti i settori di impiego dell’energia.

Quelli che abbiamo chiamato “schiavi meccanici” della moderna civiltà tecnologica, che convivono nei paesi industrializzati con la popolazione umana soverchiandola in termini di capacità di lavoro, sono adibiti a funzioni esagerate e inutili mentre la loro alimentazione energetica e i reflui del loro metabolismo, producono squilibri ambientali insostenibili. Viene spontaneo chiedersi come possa, il mondo industrializzato, alimentare questa economia di sprechi. Per rispondere a questa domanda, va preso atto del fatto che l’energia da fonte fossile viene venduta ad un prezzo molto basso: una affermazione che può apparire al limite dell’eresia, considerato il continuo aumento che negli ultimi anni va subendo il prezzo del barile di greggio.

Ma osserviamo le cose da un altro punto di vista.

Abbiamo visto che, consumando un litro di combustibile, un motore compie tanto lavoro quanto un uomo ne compie in tre giorni. Considerato, allora, che un litro di gasolio costa al dettaglio, tutto incluso (estrazione, trasporto, raffinazione, distribuzione, tasse, ecc.), circa 1,5€, abbiamo che il mantenimento di ciascuno dei nostri schiavi meccanici costa circa 0,5 € al giorno: un salario così basso da stimolare in ciascuno di noi la tendenza a circondarci di una plétora di servitori addetti alle più inutili mansioni.

 

Uno scenario più ragionevole

Consapevoli, dunque, che l’atteggiamento acritico di uso esagerato dell’energia ci apre solo scenari di vera e propria catastrofe, proviamo ora a tracciare le linee di una possibile civiltà ecologicamente compatibile, in cui si abbia la coscienza del valore (in senso quantitativo) degli usi energetici e del valore (in senso qualitativo) dell’uso razionale dell’energia. Sappiamo, d’altronde, che molti lavorano attivamente a realizzare le condizioni tecnologiche perché la civiltà del futuro abbia queste caratteristiche.

Come abbiamo più sopra accennato discutendo alcuni esempi, oggi circa un quarto dei consumi complessivi si riferisce ad usi termici a bassa temperatura, come il riscaldamento di ambienti o la produzione di acqua calda per usi igienico – sanitari  per altri usi. Coprire queste esigenze, come oggi si fa normalmente, con combustibili capaci di sviluppare calore ad altissima temperatura o addirittura con energia elettrica è, dal punto di vista della termodinamica, un delitto. Infatti, in virtù del secondo principio della termodinamica, degradare l’elettricità – che è energia nobile – in calore a bassa temperatura costituisce uno spreco energetico vero e proprio.

Una civiltà strutturata in modo tale da evitare gli sprechi dovrebbe riuscire a far tendere a zero i consumi di combustibile e di elettricità destinati a questi scopi. In parte, le esigenze energetiche in questo settore dovrebbero essere ridotte attraverso provvedimenti cosiddetti passivi, ad esempio attraverso il contenimento della dispersione del calore, prestando particolare attenzione a come le case vengono costruite; in parte, tali esigenze dovrebbero essere coperte con impianti ad energia solare o con sistemi a energia totale, cioè con il calore di scarto rilasciato da macchine per la produzione di energia nobile.

Oggi, però, solo una piccola parte di queste soluzioni alternative sono convenienti sotto il profilo economico. La cosa non deve meravigliarci se consideriamo il basso costo dei combustibili fossili. D’altra parte tradurre in pratica anche solo quegli interventi più convenienti presenta comunque notevoli difficoltà, a causa di controindicazioni organizzative e commerciali.
Ciononostante, operare in questo senso potrebbe avere un grande significato dimostrativo, e potrebbe preludere ad un uso sempre più massiccio di tali interventi, tanto più se ad essi si accompagnerà una politica tendente a rendere espliciti i costi  – oggi latenti – derivanti dai danni ambientali, delle soluzioni energetiche convenzionali.

Per quanto riguarda il settore dei trasporti, una corretta politica urbanistica, e più in generale degli insediamenti territoriali, potrà eliminare – nella società ristrutturata del futuro – quasi del tutto il pendolarismo sistematico e l’inutile affanno con cui siamo costretti a muoverci oggi da un capo all’altro della città: a questo risultato potrà anche concorrere il decentramento dei servizi ad opera delle moderne tecnologie telematiche e delle telecomunicazioni. Allo stato attuale, come già anticipato l’uso dell’automobile appare del tutto insensato: nella Roma di oggi ci si muove, a causa del traffico, alla stessa velocità con cui ci si muoveva nella Roma di Augusto ( 10/12 Km orari in media) consumando tantissima energia in più!

Al trasporto di persone e di merci su lunga distanza provvederà soprattutto un efficiente e rapido sistema ferroviario, coadiuvato da una rete di trasporti via mare, particolarmente indicato per un paese come il nostro. Quanto al trasporto urbano, i centri storici saranno chiusi al traffico, ma innervati con sistemi di trasporto pubblico di supporto: metropolitane nelle grandi città, sistemi di scale mobili, ascensori, tapis roulant nelle piccole e medie.
Sempre in città, i mezzi privati necessari per muoversi, laddove il traffico si fa meno denso e più articolato saranno piccoli veicoli leggeri, mossi presumibilmente da motori elettrici.
Un’ultima considerazione sui trasporti: nella civiltà ecologica del futuro non vi sarà spazio per barche da diporto mosse da motore da 1000 cavalli, che appestano il mare e lo rendono pericoloso.

Infine, il settore industriale. Qui, più che altrove, la ristrutturazione ecologica non può limitarsi a una razionalizzazione dei processi energetici, ma deve essere un processo di riconversione profonda dei settori produttivi, cui si accompagni una revisione completa della filosofia del consumare.
L’attuale modo di consumare è basato sull’usa e getta, come già si diceva; vanno privilegiati, invece, processi integrati, tanto dal punto di vista dell’energia consumata che da quello dei materiali usati per produrre. Il lavoro « produttivo», allora, non sarà solo quello finalizzato a sfornare beni di consumo sempre nuovi e magari inutili: al contrario si tratterà di valorizzare gli interventi destinati a originare beni duraturi, o di recupero, consolidamento e valorizzazione del territorio, dei beni ambientali, culturali e storici.

 

Un’utopia possibile

Individuare  una configurazione delle fonti primarie capace di alimentare indefinitamente una civiltà pacifica, basata sull’equilibrio fra i diversi popoli, e fra tutti i popoli e il Pianeta che ci ospita: quest’obiettivo così arduo, e a prima vista irraggiungibile, potrebbe forse realizzarsi se si compissero i passi che abbiamo prima indicato. I consumi energetici complessivi, nei paesi industrializzati, sarebbero ridotti a circa la metà rispetto a quelli di oggi, oltre la metà saranno nella forma di energia elettrica, e una frazione rilevante del rimanente, nella forma di combustibili gassosi, distribuiti capillarmente nelle case e nelle fabbriche; il resto nella forma di combustili liquidi.

Le centrali per alimentare il sistema elettrico saranno, inizialmente, non molto diverse da quelle attuali, quanto a combustibili utilizzati; ma saranno assai più curate di quelle attuali per quanto riguarda la prevenzione dell’inquinamento. Ad esempio, aumentando del 30% il costo dell’energia prodotta (ma questo sarebbe solo un modo per esplicitare i costi derivanti dai danni all’ambiente, oggi sommersi e nascosti: un buon incentivo a diminuire i consumi!) una centrale a carbone può essere pulitissima, dentro e fuori; e una centrale nucleare può essere intrinsecamente sicura.

Col passare degli anni, le soluzioni alternative cominceranno a prendere corpo. Le case isolate, ad esempio, saranno alimentate con impianti solari fotovoltaici; si svilupperanno sistemi energetici domestici razionalizzati, a bassa intensità energetica; e via via che il costo degli impianti fotovoltaici andrà diminuendo, essi si diffonderanno dalla periferia del sistema energetico verso il centro. Già da oggi, potrebbero essere realizzati – a costi accettabili – alcuni impianti fotovoltaici dimostrativi, alla scala di villaggio. Col passare del tempo, e con il progressivo sviluppo della tecnologia, i reattori nucleari convenzionali saranno via via sostituiti da reattori autofertilizzanti; in attesa della fusione nucleare.

E i combustibili? All’inizio dovremmo necessariamente continuare ad usare, con maggior cautela, quelli convenzionali. Ma progressivamente, i combustibili fossili, e in particolare il petrolio, dovranno essere dirottati, come materia prima, verso usi più nobili. Il metano verrà sostituito in misura sempre crescente da combustibili gassosi derivati dal carbone, e integrato con l’idrogeno ottenuto per elettrolisi; il petrolio verrà via via integrato, e poi sostituito, dall’etanolo, ricavato dalle piante che cresceranno più rapidamente, grazie a nuovi incroci. Il cielo e il mare saranno puliti. Le  città vivibili.

Abbiamo, in queste righe, raccontato un’utopia. Ma un’utopia possibile, anche perché necessaria. L’alternativa, infatti, come abbiamo tentato di dimostrare, è l’autodistruzione, la fine di questa civiltà così ricca, in cui abbondano opportunità di crescita e liberazione delle migliori potenzialità umane. Ma ora, per tutti, si tratta di rimettere i piedi per terra e di imboccare la via del progetto. Un progetto umile ma decisivo: quello della realizzazione di quelle condizioni in cui, nel futuro, l’utopia possa germogliare e poi crescere.

E la prima condizione è che l’umanità divenga veramente consapevole e protagonista dello sviluppo tecnologico, anziché esserne – come oggi è – impotente spettatrice, costretta ad accettare, di tale sviluppo, mille indesiderati risvolti e mille inquietanti prospettive oltre che tanti vantaggi; che l’umanità, insomma, sia capace sempre più di dare valore – non solo quantitativo, ma soprattutto  qualitativo, etico, civile, umano – a questo sviluppo  e all’uso che ne fa quotidianamente.
Appunto, il valore dell’uso.