Interviste sul futuro del Mezzogiorno

Il Centro Studi di Città della Scienza ha svolto una serie di interviste sulla percezione del futuro del Mezzogiorno a persone tra loro diverse per età, sesso, professione e interessi sociali e culturali. Lo scopo era quello di un’indagine che – lungi dall’avere pretesa statistica – restituisse una sorta di “impressione” dello stato dell’arte e dei mutamenti in atto nel sud d’Italia – ma pur sempre in relazione al mondo – così come vengono percepiti dagli attori sociali che li vivono e, in qualche modo, li determinano e/o li subiscono, siano essi intellettuali, operatori sociali o operai, giovani o meno giovani.

Alla pubblicazione di queste interviste seguiranno le analisi di Pietro Greco sui temi in esse affrontati e su quanto emerge dalle risposte ottenute.
Cominciamo con il pubblicare l’intervista a Elena De Filippo, presidente della cooperativa sociale Dedalus.

 

Tutto intorno a noi sta cambiando in maniera rapida: il mondo, l’Europa, il Mediterraneo, la stessa Italia. Elena De Filippo, lei dirige una cooperativa sociale che si occupa, tra l’altro, di accoglienza, integrazione e disagio sociale: un osservatorio sul campo dei mutamenti del nostro tempo. Come vede il futuro del Mezzogiorno in questi mutevoli scenari?

Sicuramente in questo momento si avverte una grande confusione, ovviamente lo dico anche all’indomani  del referendum in Gran Bretagna, e questo amplifica un’idea già consolidata, almeno per me, negli ultimi mesi, anzi negli ultimi anni: da un lato la globalizzazione crescente, che nel bene e nel male vede un mondo senza confini, un mondo con delle prospettive molto simili, molto omogenee e dall’altro invece una frammentazione sempre maggiore. In questo quadro vedo l’Europa come soggetto che alimenta questa confusione, questa frammentazione.
Per il Mediterraneo, più che in passato, mi viene in mente Fernand Braudel: da un lato un Mediterraneo sempre più unito, sempre più compatto e senza frontiere, perché di fatto le frontiere sono abbattute da questa continuità che ci offre il Mediterraneo, dall’altro la grande preoccupazione di quanto sta avvenendo, le crisi e instabilità politiche e sociali e le tragedie che ne derivano.
In Italia la frammentazione e la confusione forse è ancora maggiore rispetto all’Europa, rispetto al mondo.

 

E dal punto di vista demografico, anche tenendo conto dei processi di emigrazione e di immigrazione, che rappresentano parte importante del suo campo di azione?

 La fotografia che si è delineata negli ultimi anni mostra sempre più una commistione tra immigrazione ed  emigrazione, e certamente si tratta di due facce della stessa medaglia che in realtà sono ovunque fortemente intrecciate.

Il Mezzogiorno non è una area di sola emigrazione o solo d’immigrazione. Emigrazione e immigrazione esistono da sempre e continueranno a esserci, anche per gli storici problemi che abbiamo legati al lavoro che determinano l’espulsione dei giovani e anche dei meno giovani verso la ricerca di condizioni migliori in altri contesti.
L’emigrazione quindi è fatta a sua volta da due facce: da un lato quella della disperazione, che ancora esiste e che anzi la crisi degli ultimi anni ha acuito, di chi è costretto a cercare soluzioni di vita altrove; dall’altro, in un mondo globalizzato è normale che un giovane cerchi anche all’estero soddisfazione e prospettive.

L’immigrazione, come in altre parti del mondo, anche in Italia e nel Mezzogiorno ormai è un fenomeno strutturale che non si può arrestare e che sta consolidandosi; sta trasformando nel bene e nel male i nostri territori e sta trasformando la nostra società.

I migranti spesso  diventano una risorsa sociale ed economica fondamentale nei contesti dove arrivano. Ci sono tante esperienze positive fatte in tanti paesi del sud, a partire da Riace, che è il più famoso, ma ci sono tanti luoghi dove sono ben accolti e dove c’è la consapevolezza, la coscienza che essi rappresentano un’occasione di benessere per il territorio, di una sua trasformazione positiva in relazione al loro arrivo e alla loro permanenza.

Io credo che ciò che invece fa più danni sia l’immigrazione di passaggio. L’immigrazione stanziale è quella che produce cambiamento, ricchezza, arricchimento culturale ed economico. E molti piccoli Comuni che lo hanno capito ne stanno traendo un grande vantaggio: in Calabria soprattutto, ma anche in Campania, in Puglia, in Sicilia.

Nelle grandi città ovviamente i fenomeni sono più complicati e cambiano anche i numeri, e spesso alla marginalità urbana già esistente si affianca anche quella di chi arriva e non trova opportunità di inserimento,di integrazione. Quindi sicuramente il problema maggiore lo vedo nelle città, nei piccoli Comuni penso invece che l’integrazione sia un fenomeno più semplice e dagli esiti  più positivi di. Questo credo che sia il futuro della questione, almeno dei prossimi 30-40 anni.

Come vede, a questo punto il futuro della stessa società meridionale? Magari a iniziare dalle questioni fondamentali: come la salute e il welfare sanitario?

Salute e welfare sanitario credo che, insieme al lavoro, siano i tasselli più preoccupanti. Nel senso che l’impressione è di uno smantellamento continuo del sistema di regole e garanzie, una corsa frenetica a ridurre la spesa in cui in realtà si taglia soltanto l’essenziale e non il superfluo. Sembra un paradosso ma è quello che si sta verificando anche con la spending review.

Credo, quindi, che si stia producendo un grande danno, un danno che non so quanto sia recuperabile anche quando i nostri decisori politici se ne renderanno conto. Si sta smantellando un sistema di garanzie e di diritti che si era in qualche modo consolidato nei decenni dopo la guerra  e questo credo che sia veramente molto preoccupante per il futuro del Mezzogiorno e dell’intero paese. Nel Mezzogiorno forse pesa di più, perché avevamo un sistema di welfare già più fragile.

 

E il mondo del lavoro? Intendo l’occupazione, il lavoro flessibile, la disoccupazione?

Per il lavoro vale quanto detto prima: questa ricerca della flessibilità estrema delle forme di impiego, di un lavoro non più garantito, io credo che stia portando anche ai segmenti sani del mercato del lavoro – che esistevano  anche nel Mezzogiorno – un indebolimento difficilmente recuperabile. Un conto è parlare di flessibilità di contratti di lavoro di tre mesi in tre mesi in Francia, in Inghilterra o in Olanda, dove insomma c’è un sistema di garanzie e di ritorno nel mercato del lavoro in un meccanismo “circolare”. Altra cosa è parlarne in un contesto di una debolezza strutturale spaventosa,  come il nostro. Da questo punto di vista credo che quello della salute e del lavoro siano i due temi forse più delicati e preoccupanti.

 

Come vede il futuro delle città e, di conseguenza, delle campagne nel Mezzogiorno?

Il mio osservatorio è Napoli, e forse la provincia di Napoli solo in parte è coinvolta nel discorso che sto per fare: sul rapporto città-campagna, vedo una grande valorizzazione dei temi che ruotano intorno alla campagna, all’agricoltura. Forse era già accaduto negli anni ’70, qualche decennio fa.

Credo che oggi si stia sviluppando un grande interesse sui temi dell’agricoltura, dell’ambiente, della valorizzazione del nostro territorio. Penso che nelle campagne tanti giovani, e non giovani, stiano trovando effettivamente delle opportunità interessanti non solo di lavoro, ma anche di vita. Anche il discorso, per ora ancora circoscritto ma sicuramente interessante, dei GAS – i gruppi di acquisto solidale – credo stia producendo qualcosa di importante, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista culturale, sugli stili di vita.

Per quel che riguarda le città, devo dire che sono preoccupata per le periferie. Delle periferie che spesso non sono solo in periferia, ma stanno anche nel centro delle città. Questo è un tema secondo me molto critico, forse bisognerebbe riflettere di più e meglio su come intervenire, su come trasformarle. Detto questo penso che anche nelle città, al di là del pessimismo generale, ci sono degli stimoli molto importanti. Se penso alle città penso alle esperienze, parlando di Napoli, dei ragazzi dei centri sociali – ma di quelli belli –  tipo l’OPG. Di recente abbiamo percepito una partecipazione della gente del quartiere, e non soltanto dei ragazzi,  molto viva, molto attiva; ci sono iniziative di confronto e riflessione, servizi per la cittadinanza, occasioni d’incontro positive che stanno portando un cambiamento. In città vedo un interesse e un recupero verso i temi dell’arte, del turismo. Da questo punto di vista mi sento di dire che vedo un cambiamento positivo.

Se da un lato vedo tutto questo, cioè gli stimoli positivi, la voglia di cultura, di cambiare, la voglia di essere anche cittadini attivi, vedo anche una città che crea – o meglio consolida – delle sacche di esclusione, di marginalità talvolta estrema.

Continuiamo il discorso sulla società e l’integrazione. Come vede questioni di fondo quali quella delle donne, dei giovani, degli anziani?

Il mio pensiero corre subito alla violenza sulle donne. Sicuramente non è un tema nuovo, perché la violenza sulle donne c’è sempre stata. Ma quello che sta venendo fuori oggi è l’impotenza della società di farsene carico e lavorare per la prevenzione. Il problema è anche quello dell’educazione ai sentimenti dei giovani, di quanto questi giovani si sentano probabilmente non coinvolti in queste tematiche, tanto da continuare a produrre violenza sulle donne. Quello che colpisce infatti è che il fenomeno non riguarda solo persone di un’altra generazione, che hanno una mentalità arretrata: gli episodi più recenti sono purtroppo opera di persone giovani o addirittura giovanissime.

 

Quale sviluppo si aspetta per l’economia del Mezzogiorno?

Agricoltura e turismo, come dicevo prima, credo che possano essere effettivamente il futuro positivo del Mezzogiorno. Forse finalmente si è capito che abbiamo una patrimonio immane sia per quel che riguarda le terre e il potenziale dell’agricoltura, sia per quel che riguarda i beni culturali e quindi la possibilità di attivare un turismo positivo, un turismo che porti ricchezza non solo economica, ma anche in termini di stimoli culturali e di crescita sociale; non un turismo fondato solo sul consumo, ma che incentivi anche nuovi investimenti in un sistema economico più sostenibile. E credo che, da questo punto di vista, sia le città che le zone rurali abbiano un grande potenziale, possono essere una grandissima opportunità per il Mezzogiorno. Sta ovviamente a tutti noi, alla politica in primo luogo ma non solo, agire per il meglio.

 

E l’ambiente meridionale, in tutte le sue accezioni: di territorio, di inquinamento, di paesaggio, di rischi (rischio idrogeologico, sismico, vulcanico)?

Penso che questi non siano temi specifici del Mezzogiorno, sia il tema dell’inquinamento sia quello dei rischi idrogeologici credo siano problemi di tutto il paese, sicuramente con alcune peculiarità e situazioni eccezionalmente critiche nei nostri territori. Il tema dell’ambiente si collega con il turismo e l’agricoltura, è un tema sicuramente importante sul quale lavorare, ma non mi sento di dire che sia un tema specifico del sud Italia.

 

Nella tradizione del Mezzogiorno c’è anche la cultura. Come vede gli scenari culturali del futuro in termini di educazione (scuola, università), ricerca scientifica, ricerca umanistica, arte, beni culturali?

Il tema dell’educazione e dell’Università è centrale se pensiamo al futuro del Mezzogiorno. Da un lato c’è una scuola che viene – a livello nazionale, non solo locale – sempre più smantellata, e questo è preoccupante, mentre ci sarebbe ancora tanto da costruire su questo terreno. Abbiamo platee scolastiche che hanno un rischio di discontinuità scolastica – non evasione scolastica – molto molto elevate. Ovviamente penso a un tema che mi è più caro, quello dei ragazzini migranti, ma parliamo anche di tutti i ragazzi delle periferie di cui dicevo prima.

La scuola fa sempre più fatica a offrire dei programmi educativi validi per questi ragazzi. Su questo credo che ci debba essere un grandissimo investimento sulla scuola a livello locale, e qui qualche riscontro lo abbiamo. A livello nazionale invece ho la sensazione che si stia molto puntando sulle scuole di “eccellenza”, senza però una visione di insieme in cui nessuno resti indietro.

Per l’università il mio discorso riguarda l’ambito che conosco più da vicino, che è quello delle facoltà umanistiche. Vedo una separazione troppo grande tra la ricerca e la realtà, questo lo dico soprattutto per Napoli perché non ho un’approfondita conoscenza delle altre università del Mezzogiorno.

Credo però che la penuria di risorse, e anche la competizione spasmodica per fondi sempre più esigui, sia la cifra della difficoltà dell’università e la stia portando paradossalmente a una separazione della realtà, al grosso rischio di non vedere quello che sta accadendo nel resto della città, a un’accademia troppo chiusa in se stessa, troppo scollegata proprio dai temi della stessa ricerca che conduce, o dovrebbe condurre.

 

Veniamo, infine, alla dimensione politica. Come pensa si svilupperà in termini di democrazia, di partecipazione, di coesione territoriale, come verrà declinato il regionalismo, che ne sarà dei partiti politici e che ruolo avranno i movimenti nel Mezzogiorno d’Italia?

In qualche modo mi rendo conto che esiste una forte frammentazione. La frammentazione è il filo conduttore di questo argomento. Anche nella politica, come per l’università, da un lato vedo che i partiti sono completamente avulsi dalla realtà, cioè non si rendono conto di quello che sta accadendo. Vedo però dall’altro lato che c’è tanta gente giovane e non solo che ha invece voglia di partecipare, voglia di essere più protagonista. Lo dicevo prima con l’esempio dei centri sociali, ma vale anche per i piccoli comitati che esistono nei quartieri, nei paesi. Sta nascendo una sorta di nuovo civismo, e non mi riferisco al fenomeno elettorale delle liste civiche, dietro le quali spesso ci sono proprio i partiti che altrimenti risulterebbero impresentabili. Penso proprio alle persone che, in qualche modo, diventano protagoniste di piccoli territori, di piccole realtà, urbane o non urbane, e che propongono di lavorare sul tema del GAS, dell’acquisto solidale, sul recupero del giardino che hanno di fronte casa, sul tema dei corsi di lingua per i migranti, sull’ambiente, sulla cultura, eccetera. Queste realtà credo che in qualche modo vadano lette come un segnale positivo, e indichino la volontà di essere partecipi della vita politica di un territorio.

 

tiriamo le somme e tentiamo di proporre un quadro sintetico finale: secondo lei il futuro del Mezzogiorno sarà di bellezza o di degrado? Di progresso o di stagnazione?

Nonostante tutto, e nonostante un ragionevole pessimismo credo che comunque il futuro del Mezzogiorno vada verso la bellezza e il progresso.