L’arte e gli uccelli

C’è chi canta, chi balla come Michael Jakson e chi, come un provetto scenografo, allestisce il palco dove esibirsi scegliendo accuratamente colori e materiali. In molte specie di uccelli si possono ritrovare alcune forme “d’arte”, seppur non complesse come quelle umane. Ma di certo forme di creatività e di espressione estetica percepite non solo dagli umani, ma anche – e soprattutto – dalle femmine di queste specie. Sono loro, infatti, il fine ultimo, le “muse ispiratrici” se vogliamo, le destinatarie dal gusto raffinato che sceglieranno il loro partner solo in base al loro senso estetico. Un senso sviluppato grazie alla selezione sessuale, come già intuì Charles Darwin.

È quindi per una vera opera di selezione che i maschi hanno affinato armi e ornamenti – speroni, piumaggi appariscenti, incredibili capacità canore, tersicoree e architettoniche – che in alcuni casi mettono in scena su un vero e proprio palcoscenico, chiamato lek dai biologi. Alle femmine invece spetta il ruolo di “critiche d’arte”. Sono loro che vaglieranno l’opera dei maschi, sono le “choosy” della situazione, e non per velleità come diceva la Fornero dei giovani in cerca di lavoro, ma per necessità: massimizzare il loro successo riproduttivo.
Per questo avere un talento “artistico”, essere bravi cantanti, danzatori o scenografi, per i maschi di alcune specie di uccelli vuol dire conquistare una femmina e avere la possibilità di riprodursi.

 

Soprani e imitatori

Da sempre invidiati per la capacità di volare, gli uccelli sono ammirati dall’uomo anche per le loro abilità canore. A essere pignoli, però, non è tutto “canto” quello degli uccelli: il canto propriamente detto è solo quello prodotto durante il corteggiamento, che si rivela in tutta la sua bellezza e complessità. E spesso finisce per stupire anche l’uomo.
Nella maggioranza dei casi è una prerogativa maschile, governata da alcune aree cerebrali che si sviluppano solo nei maschi. È una serenata che serve a sedurre la femmina e come in tutte le arti, oltre al talento, bisogna studiare. Infatti, in quasi la metà delle 9.000 specie di uccelli conosciute il canto è appreso: in un determinato periodo della vita, che varia da specie a specie, i giovani maschi iniziano ad ascoltare e memorizzare il canto prodotto dai conspecifici adulti. Così per prove, tentativi e improvvisazioni apprendono il canto nella sua forma matura. Senza questo studio e soprattutto senza l’esempio degli adulti, il canto si svilupperebbe in maniera anomala e senza lo stesso “dialetto”. Sì, perché anche gli uccelli hanno i dialetti, proprio come una qualsiasi lingua umana.

Il più talentuoso, almeno nella nostra Europa, è l’usignolo (Luscinia megarhynchos), capace di produrre e di mixare tra le 120 e le 260 strofe differenti. Un canto melodioso prodotto prevalentemente durante la notte, fino al mattino, che nasconde una grande capacità mnemonica. Oltreoceano invece è il pettirosso americano (Turdus migratorius) a farla da padrone: il suo canto è costituito da una decina di gorgoglii e fischiettii ripetuti, molto melodiosi, ma il pettirosso americano è anche capace di memorizzare e riprodurre strofe appartenenti ai canti di altri uccelli. È un buon imitatore insomma, ma non ai livelli del tordo di Lawrence (Turdus lawrencii). Non essendo un campione di bellezza, il tordo di Lawrence ha puntato tutto sul canto, o meglio sull’imitazione: nelle foreste di pianura tropicali, ciascun maschio riesce a riprodurre perfettamente i canti di oltre 50 specie di uccelli, ma anche i versi di diverse specie di rane e di alcuni insetti.

Ma chi nella “serenata” sfoggia impareggiabili doti da imitatore è l’uccello lira, o meglio l’uccello lira comune (Menura novaehollandiae) e l’uccello lira del Principe Alberto (Menura albertii). Endemici dell’Australia, questi due passeriformi hanno l’incredibile dote di riuscire a riprodurre i suoni più svariati. In questo caso anche le femmine se la cavano bene, ma sono i maschi i veri fuoriclasse: nel periodo nuziale, oltre a mostrare la loro bellissima coda, si esibiscono in veri e propri medley di suoni. Non solo canti di altri uccelli o versi di altri animali, ma riescono a riprodurre qualsiasi suono abbiano sentito almeno una volta nella loro vita: dal rumore di una motosega al suono di un antifurto, dall’esecuzione completa di arie per flauto al rumore delle esplosioni. Un mix di imitazioni talmente veritiere da sembrare quasi un eccellente doppiaggio. Ascoltare per credere.

Devoti alla Dea Tersicore

Fred Astaire, Gene Kelly e Michael Jackson hanno molto in comune con alcuni volatili, sicuramente più di quanto loro stessi potevano immaginare.

Grandi una decina di centimetri, azzurri e africani: l’astrilde blu (Uraeginthus angolensis), il cordon blu (Uraeginthus bengalus) e l’astrilde testa blu (Uraeginthus cyanocephalus) hanno il ritmo nel sangue. I loro miti? Fred Astaire e Gene Kelly, eh sì perché la specialità di questi tre uccellini è proprio il tip tap. Niente scarpette rinforzate con l’alluminio, però. Bastano le loro zampe per danzare, a una velocità tale che è addirittura invisibile a occhio nudo. Senza una telecamera ad alta velocità, infatti, sembra che i maschi di questi piccoli passeriformi durante il corteggiamento saltellino soltanto. E invece osservando a più di 300 fotogrammi al secondo, si vede che ogni singolo salto è in realtà un tripudio di passi di tip tap. E come ogni tip tap che si rispetti, si può ballare anche in coppia: nell’astrilde testa blu, secondo un’ultima ricerca pubblicata su Nature Scientific Reports, sembra che anche la femmina danzi proprio come una provetta Ginger Rogers.

Ma questi tre danzatori di tip-tap non sono gli unici ammiratori dei divi americani.
Con milioni di copie vendute e un talento dimostrato sin da ragazzino, il “Re del pop” Micheal Jackson è ricordato anche per aver inventato il celebre passo di danza detto moonwalk. Ovvero quella sequenza di movimenti con cui solcava il palco camminando all’indietro, quasi fosse trasportato da un tapis roulant nascosto. Era il 25 marzo 1983, quando Jackson – giacca nera, pantaloni con orlo corto, calzini bianchi e guanto tempestato di strass sulla mano sinistra – lanciò per la prima volta il moonwalk sulle note di Bill Jean. Stupì perfino Fred Astaire che lo definì “il più grande ballerino di tutti i tempi” e il suo “erede morale”.
Qualche anno dopo nella Guida agli uccelli del Costarica di Gary Stiles e Alexander F. Skutch, pubblicata nel 1989, compariva uno strano comportamento del manachino capirosso (Pipra mentalis), un piccolo uccello appartenente alla famiglia Pipridae, che vive nelle foreste tropicali e subtropicali del Centro America, arrivando fino al Perù. Completamente nero, fatta eccezione per la testa rosso brillante e le zampe piumate gialle, per corteggiare la femmina se ne sta appollaiato su un ramo ben in vista. Una volta adocchiata la femmina il manachino capirosso inizia la sua danza, con «uno scivolamento all’indietro con le gambe distese». Ripresa per la prima volta una decina di anni fa, quest’esibizione lo ha fatto passare alla storia come “l’uccello che fa il moonwalking”. Niente male per un uccellino di soli 15 grammi.

Quasi un cigno nero ne Il lago dei cigni, con tanto di tutù, sembrano invece i maschi delle paradisee dalle sei penne, appartenenti al genere Parotia, tutti endemici della Nuova Guinea. I maschi di questi passeriformi sono quasi completamente neri, con gola o la fronte dai riflessi metallizzati, e si distinguono perché dietro ciascun occhio presentano tre penne allungate (da cui il nome “sei penne”). Ma la caratteristica che li trasforma completamente, facendoli assomigliare più a una ballerina di danza classica che a un uccello, è un tutù del tutto particolare: dai lati del collo e del dorso – al momento dell’esibizione – si aprono improvvisamente delle penne nere, allungate e sfilacciate, che formano una ruota intorno al corpo del maschio. E così con una serie di balletti, inchini, scuotimenti di testa, e movimenti del capo alla Totò tentano di conquistare la femmina choosy.

Un altro ballerino trasformista è la paradisea superba, o uccello del paradiso superbo (Lophorina superba), anche lui endemico della Nuova Guinea, come la maggior parte dei Paradiseidi. A prima vista potrebbero sembrare dei comuni merli per il piumaggio nero, ma il vertice della fronte e il petto di un azzurro metallico intenso lasciano già intuire che la Lophorina ha più di qualche asso nella manica per sedurre una compagna. Dopo aver rassettato l’arena in cui esibirsi, e aver richiamato a gran voce il pubblico femminile, il maschio si trasforma in una “maschera”: dal dorso e dal petto alza delle penne a formare un disco ellissoidale nero intorno alla testa, squarciato solo da una banda di un azzurro metallico formata dalle penne del petto e da due “occhi blu” che altro non sono che le piume azzurre sul capo. In questa nuova veste inizia la sua danza, saltellando intorno alla femmina, in cerchi sempre più stretti, con la “maschera” rivolta sempre verso la sua partner. Sperando che lei ne rimanga incantata.

Molti altri uccelli del paradiso sono ballerini e coreografi di gran talento che si esibiscono in splendidi assoli. Più simile, invece, a un musical corale è il corteggiamento della paradisea maggiore (Paradisaea apoda) i cui maschi si riuniscono in gruppi di 15-20 esemplari, si posizionano su rami ben ripuliti da foglie per l’occasione e iniziano la loro danza. Saltellano velocemente avanti e indietro con le ali spiegate e le penne del dorso e dei fianchi ben erette, emettendo un richiamo nasale e fermandosi di tanto in tanto per dondolarsi in avanti fino a toccare il ramo con la base del becco, finché una femmina, lasciandosi accarezzare il capo, decreterà l’unione della coppia. È un’esibizione corale accompagnata da versi, e per questo più simile a un nostro musical.

Infine, come ogni danzatore che si rispetti, questi uccelli hanno una cura maniacale per il loro palcoscenico, il lek appunto. Non solo scelgono l’arena nuziale dove esibirsi con estrema cura, ma come perfette casalinghe si danno da fare per rassettare il palcoscenico prima di ogni esibizione: sistemano rametti, spostano gli oggetti che potrebbero interferire con la buona riuscita della danza e arrivano persino a levigare il ramo su cui si poserà la femmina per giudicarli. Come a spolverare le poltrone della platea. Accortezze che contribuiranno a sedurre la femmina, filmate e documentate da un team di tutto rispetto: Ed Scholes del Cornell Lab of Ornithology e il fotografo di National Geographic Tim Laman, nel loro Birds of Paradise Project.

 

Architetti e scenografi

Sanno cantare e danzare, e alcuni di loro sono anche architetti sopraffini, abili scenografi con un senso estetico spiccatissimo. Sono gli uccelli giardinieri o bowerbirds: una ventina di specie di passeriformi australiani della Nuova Guinea appartenenti all’ordine impronunciabile degli Ptilonorinchidi.
Intrecciando rametti con precisione e meticolosità, questi uccelli costruiscono pergolati, vialetti o capanne (bower) solo per impressionare la femmina. Non solo li costruiscono facendo ben attenzione a rispettare la simmetria, ma li decorano anche. Li “allestiscono” con penne, piume, conchiglie, fiori, foglie, ghiande, sassi, ossa e persino (purtroppo) pezzi di plastica. Ogni elemento viene scelto con cura, rigorosamente di un certo colore o con diverse gradazioni di tonalità, e disposto in dei mucchietti con un ordine preciso o in ordine di grandezza per creare delle illusioni ottiche, come nel caso del grande giardiniere (Ptilonorhynchus nuchalis). A volte questi “scenografi” arrivano persino a dipingere le pareti dei pergolati con della vegetazione premasticata, aiutandosi con il becco.

Impiegano settimane per costruire questi “salottini” – come li definì Darwin al tempo del suo viaggio sul Beagle nelle Blue Mountains dell’Australia – degni di un’opera di Antoni Gaudí o di Zaha Hadid. Un lavoro duro che spesso fa nascere invidie o genera atti vandalici. Non è raro, infatti, che per conquistarsi un pezzo ornamentale considerato pregiato alcuni maschi arrivano addirittura a rubarlo nel salottino altrui. O ancora, approfittando dell’assenza del maschio rivale in amore, gettano scompiglio nel salottino spostando rametti e decorazioni, rompendo l’ordine e la simmetria tanto ricercata per far colpo sulle femmine.

Ognuna di queste specie ha una sua particolarità. C’è chi ama il bianco come l’uccello giardiniere occidentale (Chlamydera guttata) che decora il suo “salottino” con sassi, gusci di chiocciole e ossa, tutti rigorosamente candidi. E chi invece ama il blu come l’uccello giardiniere satinato (Ptilonorhynchus violaceus) che raccoglie elitre di coleotteri, bacche e piume di uccelli, ma anche tappi di bottiglie di plastica, cannucce e pezzetti di vetro tutti blu, da disporre nel suo pergolato per richiamare il colore del suo piumaggio.

I pergolati dell'uccello giardiniere (a sinistra) e dell'uccello (a destra).

I pergolati dell’uccello giardiniere occidentale (a sinistra) e dell’uccello giardiniere satinato (a destra).

Ma la costruzione più spettacolare è sicuramente quella dell’uccello giardiniere di Vogelkop (Amblyornis inornata): una capanna alta più di un metro e larga oltre un metro e mezzo. Un’opera di ingegneria eccezionale, una piccola gallerie d’arte che il maschio arreda secondo il suo gusto personale: ogni esemplare crea delle cataste di oggetti colorati che non sono specie-specifici, ma sono pezzi unici. Sono il risultato della creatività individuale. Così c’è chi preferisce comporre nature morte con fiori e frutta e chi invece ama il genere dark e adorna il salottino con elitre di coleotteri o sterco di animali.

Danze, canti, imitazioni e scenografie: i maschi sono pronti a tutto per sedurre una femmina. La vera bellezza, per questi uccelli, è nascosta (ma neanche troppo) nell’arte.

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Due esempi delle capanne realizzate dall’uccello giardiniere di Vogelkop.