Studi desanctiani

Una serrata intervista al Direttore dell’Osservatorio astronomico di Brera, Giovanni Pareschi, apre un recente, bel volume di Lino Duilio sul “futuro dell’Italia tra eccellenze diffuse e rischi di declino”.

L’Osservatorio di Brera, associato all’INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica, è una delle riconosciute eccellenze della ricerca scientifica italiana. L’Istituto, che si occupa dell’astronomia delle Alte energie e studia, su grande scala, la struttura dell’Universo, è, da valutazioni di centri e di studiosi indipendenti, collocato ai massimi livelli internazionali per la qualità e la quantità dei risultati ottenuti. Nell’intervento, il Direttore spiega i metodi adottati nella ricerca, sottolinea l’importanza di “guardare in alto” per “alzarsi in volo”, per ampliare, appunto, le  conoscenze, senza rincorrere parziali e limitati successi. Chiarisce, infine, come l’eccellenza dell’Istituto venga da lontano, dal XIX° secolo, quando fu acquistato, per le ricerche di Giovanni Virginio Schiaparelli, un telescopio all’avanguardia che gli consentì di esplorare, più approfonditamente, il pianeta Marte e anche “regioni sconosciute” dell’Universo. Pareschi fissa alla data del 1879 la svolta scientifica di Brera, con lo stanziamento della cifra occorrente (250.000 lire) per l’acquisto di un moderno telescopio, e ne attribuisce il merito alla destra storica, in particolare a Quintino Sella, il celebre Ministro delle severe misure fiscali, della tassa sul macinato e del pareggio di bilancio.

La illuminata decisione dell’investimento per l’Osservatorio astronomico di Brera ebbe, in realtà, una storia diversa. Vale la pena ricostruirne il corso, anche perché fu una esemplare pagina dell’800 di vivace e competente dibattito parlamentare che vide coinvolti eminenti studiosi e politici, tra i quali Quintino Sella, ma protagonista dell’intervento fu Francesco De Sanctis, all’epoca Ministro per la Pubblica Istruzione.

Nella tornata del 20 maggio 1878 egli presentava alla Camera dei Deputati, nella seduta pomeridiana, un progetto di legge per “l’acquisto e collocamento di un refrattore equatoriale della forza obbiettiva di 49 centimetri nell’osservatorio reale di Milano”. Accompagnava il provvedimento una stringata e argomentata Relazione che presumo redatta, almeno nei concetti base, dallo stesso De Sanctis.

Il testo legislativo era formato da due articoli: nel primo si autorizzava la spesa di 250.000 lire per l’acquisto del refrattore; nel secondo la spesa veniva ripartita in tre esercizi: 50.000 lire per il 1878 e 100.000 lire per i due anni successivi. Nella Relazione illustrativa del provvedimento veniva ribadita l’importanza che in Italia, da Galileo in poi, aveva sempre avuto la ricerca astronomica che rischiava di tramontare, oscurata dai progressi scientifici di altri Paesi dotati di strumenti tecnologici avanzati.

“Alcune cifre – si ribadiva nella Relazione – vi daranno la misura di tale inferiorità”. “La considerazione di questa enorme disparità mi ha indotto – affermava in prima persona De Sanctis – a prendere in considerazione il progetto del Professor Schiaparelli”.

Stanziare la cifra di 250.000 lire, che lo stesso De Sanctis riteneva “ragguardevole”, in un momento di forti tensioni nel Governo Cairoli, alle prese, peraltro, con la cancellazione dell’odiata tassa sul macinato, richiedeva coraggio e grande lungimiranza.

Emblematica della visione desanctisiana del rapporto che deve sussistere tra investimento finanziario e attuazione di un progetto scientifico è la frase conclusiva della Relazione del disegno di legge. I sacrifizi del paese – egli affermava – a pro dello sviluppo dell’alta scienza non debbono essere maggiori di ciò che comporti la reale abilità degli scienziati, ma neppure debbono esserle di molto inferiori giacché si lederebbero i più alti interessi della nazione se si condannassero all’inerzia i suoi più alti intelletti.

De Sanctis fissava, così, una regola aurea da seguire sempre per il finanziamento della ricerca scientifica. Investire senza che siano acquisite preventivamente le risorse umane e le competenze professionali necessarie per far funzionare l’investimento tecnologico rischia, infatti, di tradursi in puro spreco; ma a un esito analogo porta anche il mancato investimento che lascia inoperose le energie intellettuali esistenti.

La proposta dello Schiaparelli si presentava, sotto questo profilo, come paradigmatico per la sussistenza dei vari requisiti richiesti per il successo scientifico, e De Sanctis ne diventò fermo sostenitore.

Lo si può dedurre dalla brevità di tempo che intercorse tra l’approvazione del progetto Schiaparelli da parte dell’Accademia dei Lincei, avvenuta nell’adunanza generale del 5 maggio, e la presentazione del disegno di legge desanctisiano alla Camera dei Deputati dopo appena 15 giorni.

Il provvedimento legislativo era concertato con il Ministro delle Finanze, reggente del Ministero del Tesoro, Federico SèismitDòda.

Al momento dell’annuncio in Aula del disegno di legge era presente anche il Presidente del Consiglio, Benedetto Cairoli, esponente della sinistra parlamentare più intransigente, seguace e poi successore di Agostino Depretis, il protagonista della “rivoluzione parlamentare” del 1876, che chiuse l’epoca della destra storica.

L’esame del disegno di legge da parte della Commissione competente fu particolarmente rapido. Nella tornata del 1° giugno, undici giorni dopo l’annuncio in Aula del provvedimento desanctisiano, il Presidente della Commissione, anche relatore del disegno di legge, Giuseppe Mussi, consegnava la Relazione conclusiva.

Gli altri deputati membri della Commissione erano: Luigi Pissavini, segretario, e, nell’ordine dell’Atto parlamentare (58, A), Quintino Sella, Antonio Ponsiglioni, Ruggero Maurigi, Alessandro Antogini, Nicola Fabrizi, Marco Minghetti, Cesare Ricotti Magnani.

La Relazione rifletteva nello stile aulico, con impennate talvolta ardimentose, l’effervescente cultura del quarantenne, giornalista e deputato milanese Giuseppe Mussi; il testo, comunque, era ben concepito e argomentato a sostegno della iniziativa legislativa del De Sanctis.

Le obiezioni da rimuovere erano quelle economiche, per un investimento ritenuto non prioritario, in un momento difficile della finanza pubblica, e quelle più sottili, di ordine organizzativo dei molti osservatorî astronomici presenti in Italia, ciascuno con meriti storici e scientifici indubbi, che andavano bene indirizzati verso specifiche finalità, evitando rivendicazioni localistiche e dispersione delle scarse risorse economiche disponibili.

L’operazione di riordino era stata già tentata con un decreto ministeriale del 1876, ma senza esito. Nel dibattito interno alla Commissione il deputato Ruggiero Maurigi aveva prospettato l’esigenza di unificazione degli osservatorî “per crearne uno centrale” sul modello del Bureau deslongitudes di Parigi, da collocare, egli sosteneva, a “Roma capitale del Regno, favorita da un cielo splendidamente terso e limpidissimo, illustrata dai lavori del Secchi e del Respighi”.

La proposta del Maurigi era insidiosa perché appariva ragionevole, ma rischiava di provocare un rinvio nelle decisioni e di compromettere l’investimento.

Con abile aggiramento dialettico, Mussi sottolineava: “La proposta Maurigi viene in massima da tutti approvata; essa ci addita un lontano obbiettivo che non dobbiamo perdere di vista oggi però la patria non immemore, non ingrata deve soccorrere intanto coi mezzi più opportuni e convenienti quelli fra i suoi figli che più la onorano in questo ordine di studi, mettendo gli strumenti più perfetti in mano agli astronomi più abili ed attizzarvi il fuoco delle ricerche nei centri attivi della vita intellettuale italiana”.

Mussi riprendeva, così, il concetto limpidamente espresso, come linea guida, nella frase conclusiva della Relazione di Francesco De Sanctis al disegno di legge. Analoghe motivazioni addusse Antonio Ponsiglioni parlando in Commissione. Più tecnico, concentrato sullo strumento da acquistare, fu l’intervento di Quintino Sella.

Si trattava di cogliere una buona occasione, suggerita dallo stesso Schiaparelli, della disponibilità di un “obbiettivo” già fabbricato dalla casa Marlz di Monaco che dava garanzia sulla qualità del prodotto, anche perché poteva immediatamente essere esaminato. Una nuova costruzione, infatti, comportava rischi poiché, osservava il Sella, “gravi difficoltà [ ] si incontrano nella fusione di questa specie di vetri”.

Il coinvolgimento dell’industria nazionale poteva attuarsi nella “costruzione del tubo del cannocchiale e di altri accessorî che pur sono di molta importanza e assorbivano perciò una parte considerevole della spesa totale.”

L’obiezione sull’idoneità ambientale di Milano, come sede privilegiata della ricerca astronomica, fu facilmente rimossa con la evidenza dei risultati ottenuti proprio a Brera dallo Schiaparelli. La Commissione ribadiva il principio che in questo ordine di provvedimenti “la persona dell’operatore possa essere una delle cause determinanti della località, seguendo l’esempio delle nazioni più dotte che quando trattasi di incontrare gravi spese per gli studi superiori cercano soprattutto nella qualità personale dello scienziato una garanzia dei futuri successi”.

Con l’esaltazione del “libero reggimento” che giova “all’incremento economico e materiale della nazione, ne invigorisce ancora la mente, sviluppando le più elevate facoltà intellettuali” e con una frase dal tono solenne sulla “serena imparzialità” dei cieli che rivelano “i loro misteri a tutti i sapienti che li scandagliano, vestano questi la toga oscura e terribile del gesuita o l’abito succinto e simpatico del libero cittadino” Giuseppe Mussi poneva il suo personale suggello stilistico alla Relazione della Commissione, dichiarandosi favorevole al provvedimento del De Sanctis 10. La discussione per l’approvazione del disegno di legge fu incardinata nel calendario della Camera dei Deputati con grande tempestività, a nove giorni, appunto, dal deposito della Relazione di Giuseppe Mussi.

Nella tornata del 10 giugno, poco dopo le ore due del pomeriggio, si avviò il dibattito parlamentare con l’intervento di Achille Majocchi, contrario allo stanziamento finanziario per l’acquisto del telescopio per Brera, poiché egli disse: “veggo procacciarsi i mezzi per scrutare le stelle, anziché per perfezionare gli abitanti della terra”. Altre e diverse erano per il deputato milanese le priorità da affrontare: in primo luogo la formazione scolastica e la riduzione del carico tributario, appesantito dalla iniqua tassa del macinato più volte evocata nel suo intervento anche in passaggi venati di simpatica ironia che suscitarono ilarità nell’Assemblea.

Il discorso di Majocchi, non privo di abilità dialettica e di buone argomentazioni, trascurava il valore emblematico del provvedimento desanctisiano di rilancio dell’Italia nel mondo scientifico internazionale, allineandola ai grandi e progrediti Paesi europei, confermando così, il valore storico e politico della conquistata unità nazionale.

Il Majocchi fu l’unico oppositore del provvedimento desanctisiano alla Camera dei Deputati.

Pur non condividendo le motivazioni contenute nelle Relazioni del disegno di legge e della Commissione si dichiarò favorevole allo stanziamento per Brera il giovane deputato siciliano Pietro Nocito, soprattutto – egli sottolineava – per l’opportunità da non perdere dell’offerta del secondo telescopio costruito dalla ditta Marlz di Monaco, che era, peraltro, la proposta preferenziale suggerita nella Relazione di Giuseppe Mussi. Il Nocito, comunque, volle mostrarsi particolarmente informato sull’argomento, ricostruì minuziosamente la storia della fabbricazione del secondo obiettivo, affermando, poco felicemente, che quella “buona occasione, la quale non sappiamo quando potrebbe offrircisi nuovamente” era “l’unica e sola ragione [ ] che potrebbe giustificare un voto favorevole a questo progetto di legge”.

Il deputato siciliano si era comunque ben preparato per affrontare l’argomento, documentandosi sugli osservatorî astronomici esistenti nel mondo, sottolineando inoltre la rilevanza, in questi campi, dell’investimento privato accanto a quello pubblico. Nocito imputava al Ministro De Sanctis di non aver interpellato il “municipio di Milano” per un concorso nella spesa delle 250.000 lire e di non aver verificato se “il clima di Milano fosse il più adatto per le osservazioni astronomiche, e per far funzionare completamente questo strumento di grande importanza”.

Nocito utilizzò una lettera dello stesso Schiaparelli per sollevare dubbi sul clima di Milano, mentre, più incisivamente, insisteva sulla necessità di concentrarsi su pochi efficienti osservatorî, offrendo un vasto panorama di confronto con altri Paesi, su scala mondiale. Era evidente con il suo ampio discorso , ricco di dati e di osservazioni generali, il desiderio di ben figurare, il che non guasta per un buon parlamentare.

Replicando ai deputati Majocchi e Nocito, Giuseppe Marcora, nel suo intervento, colse il valore emblematico del disegno di legge desanctisiano come progetto dell’intero Paese, testimonianza, dunque, dell’unità nazionale “perché esso ha uno scopo superiore alla meschina ambizione di questa o quella località”.

Con queste calzanti motivazioni egli difendeva il De Sanctis dal rilievo di Pietro Nocito di non aver interpellato il comune di Milano per un concorso nella spesa per il telescopio di Brera.

Il Marcora entrò nel merito delle obiezioni sollevate, con sensate osservazioni, prospettando anche la possibilità di costruire in Italia lo stesso “obbiettivo” offerto dalla ditta Marlz, per la presenza, ormai, di operatori qualificati come il Salmoiraghi, ma si rimetteva totalmente alle decisioni del Ministro d’intesa con lo Schiaparelli, che “saprà – egli concludeva – sotto ogni aspetto soddisfare agli scopi scientifici della legge”.

Di pieno sostegno al provvedimento desanctisiano fu il sobrio ed efficace intervento di Pasquale Umana14. Il deputato sassarese, anche per esperienza scientifica personale, differenziandosi su un punto dal Marcora, sosteneva che la positività del disegno di legge del De Sanctis consisteva non nella finalità astratta della scienza da promuovere, ma soprattutto nel collegamento diretto con lo scienziato Schiaparelli che ne garantiva l’esito. “A che vale lo strumento ove non trovi lo scienziato? A che vale un osservatorio di tutti i mezzi di esplorazione se fa difetto l’astronomo?”. “ I mezzi –affermava – devono seguire l’uomo” e con amabile ironia si chiedeva: “O che l’onorevole Nocito vorrebbe mandare Schiaparelli in Caldea, la terra classica dell’astronomia? Dubito che ci voglia andare neppure col refrattore”.

Il discorso di Umana, accolto da un bravo dell’Assemblea, si concludeva con un plauso al Ministro per il disegno di legge proposto e alla Commissione “per averlo confortato con una splendida Relazione”.

Nel suo breve intervento Ruggero Bonghi si limitò a precisare le condizioni degli osservatorî italiani, le ragioni del decreto del 12 marzo 1876 da lui emanato, rimasto inattuato, considerava le 250.000 Lire previste solo “un piccolo acconto di quello che noi dobbiamo all’astronomia”, un acconto – egli ribadiva – ben speso per l’osservatorio diretto dallo Schiaparelli, che con “ istrumenti così imperfetti come quelli dei quali egli ha potuto sinora servirsi” ha ottenuto grandi risultati. Dopo una puntigliosa precisazione personale di Pietro Nocito su un’osservazione di Giuseppe Marcora, prese la parola Quintino Sella, a nome della Commissione, essendo assente il Presidente e relatore Giuseppe Mussi. Con un vezzo tipico di certi oratori, Sella iniziò l’intervento dicendo che avrebbe parlato “alcuni minuti” per esporre “qualche veduta della Commissione” . Si inoltrò, invece, in un’ampia e articolata disamina della questione, inquadrandola umanisticamente e ponendosi l’interrogativo: “L’uomo è un essere unilaterale o è un essere complessivo che vuole essere considerato in tutte le facoltà sue”?

Sella avanzava, inoltre, altri interrogativi e, tra questi, si chiedeva: “Ma è possibile che la patria di Galileo, oggi che è una e libera (quantunque fossero pur i tempi almeno di libertà dei comuni, quelli in cui l’Italia scriveva così valorosamente il nome suo nelle ricerche celesti), che questa Italia una e libera dica: io non mi ci interesso”?

Il contenuto del discorso, animato da buona retorica emozionale e da calorosi apprezzamenti per lo Schiaparelli, era solido, ancorato alla sicura competenza del Sella che volle, con qualche compiacimento, darne prova all’Assemblea parlamentare, fino al punto da oscurare la presenza del Ministro.

V’è una piccata interruzione del De Sanctis: “E va bene”, durante l’intervento del Sella, interrotto dal Nocito, non riportato nella raccolta dei suoi scritti perché risulterebbe incomprensibile, ma che dimostra a mio parere, una certa sua insofferenza per interventi, compreso quello del Sella, che prolungavano oltre misura il dibattito.

La replica del Ministro, particolarmente succinta, dopo una discussione di notevole ampiezza, con l’ambigua sottolineatura laudatoria “dello splendido discorso di un uomo così competente come l’onorevole Sella”, mi sembra possa essere una conferma di un trattenuto fastidio per una certa invadenza politico – parlamentare del Sella, così da rendere superflua la sua replica. “Ho troppo buon gusto – egli disse – per volere ora con un altro discorso sfondare una porta aperta, e credo che oramai il successo della legge sia assicurato”.

De Sanctis, ormai esperto di atmosfera parlamentare, diversamente dai primi anni ‘60, era ben conscio che un suo lungo discorso, dopo il particolareggiato intervento di Quintino Sella, avrebbe infastidito l’uditorio. Si limitò, quindi, a rassicurare il Majocchi sull’impegno a proseguire nella formazione educativa offrendone, con una sfumatura polemicamente scherzosa, una concreta prova – egli sottolineò – con la presentazione, in quella stessa seduta, di un progetto di legge per la istituzione del “Monte delle pensioni per i maestri elementari”, chiedendone l’urgenza, un’abile iniziativa in quel contesto parlamentare che suscitò la divertita simpatia dei deputati presenti.

De Sanctis incassava il consenso per la sua legge, lasciando al Sella “la gloria” per l’eccellente intervento parlamentare: questo, a me sembra, il sottinteso della sua replica, finemente espressa anche nel “non detto”.

Dopo una responsabile risposta alla sollecitazione del deputato veneziano Raffaele Minich, che chiedeva attenzione anche per gli altri osservatorî, e dopo aver reso omaggio agli illustri astronomi italiani, tra i quali Annibale De Gasparis “compagno di giovinezza” del De Sanctis, evocato dal Minich, egli concluse, il secondo intervento con una frase ad effetto che strappò un Bravo! all’Assemblea.

“ E quindi – disse – può bene immaginarsi che se io fossi lo Stato, e che questo Stato si chiamasse America o Inghilterra, io mostrerei con ben altro che con semplici parole l’ossequio, che ho verso di loro” cioè “verso tutti gli uomini illustri onorano il pase”. Minich ringraziò “l’onorevole Ministro, che tanto protegge e intende di svolgere il movimento scientifico in Italia, di queste sue si propizie dichiarazioni”.

A questo punto del dibattito, il Presidente di turno, il Vice Presidente Isacco Maurogònato, chiuse la discussione generale, passando all’esame dei due articoli. All’intervento sull’articolato del deputato Giuseppe Merzario, che esplicitamente chiedeva “che l’onorevole signor ministro [mi] desse una qualche promessa, la quale sia di incoraggiamento e alla scienza e all’industria nazionale”, continuò a replicare Quintino Sella, dando personali assicurazioni ai deputati Merzario e Marcora, mentre Francesco De Sanctis restava silenzioso.

I due articoli furono approvati, senza emendamenti, per alzata in piedi, il 10 giugno, con rinvio della votazione finale a scrutinio segreto al termine della seduta, il che, avvenne, invece, nel giorno successivo, 11 giugno, con il seguente risultato: Presenti e votanti 229; Maggioranza 115; voti favorevoli 192; voti contrari 37. A distanza di soli quattro giorni dall’approvazione alla Camera dei Deputati il progetto di legge fu presentato dai due Ministri al Senato, nella tornata del 15 giugno, con una semplice nota di richiamo alla Relazione presentata alla Camera.

Il 27 giugno, Stanislao Cannizzaro, chimico eminente, consegnava la Relazione conclusiva dell’Ufficio centrale del Senato formato anche dai senatori Michele Amari, Giovanni Raffaele, Giacomo Durando, Marco Tabarrini.

La relazione fu redatta dal Cannizzaro in modo sobrio, con efficaci sottolineature di principî e di metodo. Una lezione che conserva ancora oggi tutta la sua validità. Cannizzaro sottolineava come uno dei primi doveri dello Stato moderno fosse quello di “promuovere ed incoraggiare le investigazioni della scienza pura [] collegate dal tacito patto di tutte contribuire allo incremento del patrimonio intellettuale della umanità”, ribadiva, inoltre, come un’altra finalità fosse quella “di impedire che si isterilisca la vera ed unica sorgente dei progressi industriali ed economici, cioè la estesa, alta cultura scientifica” . Respingendo, infine, come miope, la distinzione tra ricerca di base e finalizzata, lo scienziato, senatore siciliano, affermava: “Le nazioni illuminate si guardano bene dalla volgare distinzione tra le investigazioni utili e quelle di lusso, conoscendo già che tutte le parti dello scibile umano si collegano e coadiuvano reciprocamente e progrediscono o decadono insieme”.

Dopo aver addotto un semplice, ma incontrovertibile argomento a sostegno del provvedimento desanctisiano, che l’insufficienza di strumenti, appunto, non aveva permesso allo Schiaparelli di estendere le sue ricerche su Marte, pure essendo stato tra i primi a indagare su quel pianeta, Cannizzaro, elogiava l’operosità dell’astronomo cuneese “dedito esclusivamente a coltivare la scienza ed alieno dal mendicare la popolarità e l’appoggio dei partiti politici”.

Quella Relazione non poteva non piacere a Francesco De Sanctis. La discussione sul provvedimento legislativo cominciò nell’Aula del Senato nella tornata del 1° luglio, sotto la Presidenza di Sebastiano Tecchio poco dopo le ore 3 pomeridiane.

Il dibattito fu aperto da Annibale De Gasparis, egli stesso astronomo, Direttore dell’Osservatorio di Capodimonte, scopritore di numerosi asteroidi, autore di oltre 200 memorie che spaziano dalla matematica alla teoria delle orbite, alla meteorologia, al magnetismo. Egli ribadì il valore anche pratico dell’astronomia come per la navigazione , facendo spiritosamente ricorso a un’arguzia dell’astronomo francese Jean François Dominique Arago che a una signora, la quale gli domandava a che servisse l’astronomia, rispose:”Madama l’astronomia serve a far ribassare il prezzo dello zucchero”.

Nel suo intervento , pieno di passione, scientificamente informato, il De Gasparis spiegò il valore delle ricerche dello Schiaparelli, riconosciute dalla Società Reale astronomica di Londra che lo premiò, così ribadendo: “In progresso di tempi [] ricorderò solo che l’Italia nella gara delle scoperte di nuovi pianeti, iniziata da un italiano, ha fornito uno scarso contingente”. Da Galileo in poi l’Italia aveva perduto terreno.

De Gasparis, comunque, rivendicava alcuni meriti delle ricerche italiane ottenute “con strumenti di mediocri dimensioni”, ricordando che 10 nuovi pianeti erano stati scoperti con un cannocchiale di 3 pollici:

“ La storia delle scienze naturali – egli affermava – è piena di esempi dai quali si rileva che non è il Botanico o il Fisiologo, provvisto di più potente microscopio quello che più fa avanzare la scienza. Il secreto sta nel metodo più acconcio di condurre gli esperimenti, onde sorprendere la natura ne’ suoi segreti”.

Dai banchi del Parlamento partivano, così, riflessioni metodologiche preziose per le deliberazioni da adottare.

Nel discorso, l’illustre astronomo abruzzese respingeva come meschino il sospetto di alcuni giornali di favoritismo per Brera; rivendicava le conquiste scientifiche dell’osservatorio napoletano e i meriti dei professori Emanuele Fergola e Antonio Nobile, prospettando, non per l’immediato, l’acquisto di un “modesto dodici pollici” per Capodimonte, da mettere alla pari con Firenze, Palermo e il Collegio romano. De Gasparis elogiava la Camera dei Deputati per il voto favorevole al provvedimento desanctisiano “pur di tenere alto l’onore italiano e provvedere al progresso della scienza”, e sollecitava il Senato a “coronare la bella opera dando la sua autorevole adesione”.

Il successivo intervento del senatore Antonio Berti si concentrò sulla esigenza di ripristinare lo storico osservatorio galileiano di Arcetri23. Egli approvava la scelta “del grande refrattore equatoriale alla specola di Milano”, ma esortava a non dimenticare – disse – “i fratelli minori”. Il suo discorso, nobile nelle intenzioni, accurato nel descrivere le condizioni fatiscenti dell’osservatorio di Arcetri, con interessanti notizie sugli studi e i bellissimi disegni dell’astronomo tedesco Ernst Wilhelm Leberecht Tempel, dal 1875 Direttore di Arcetri, rischiava di alimentare la contrarietà degli oppositori al progetto legislativo per Brera che tra i loro argomenti adducevano, appunto, il fiorire di analoghe richieste localistiche.

Non a caso vi fece ricorso Gioacchino Pepoli nel suo intervento contrario all’acquisto del telescopio per Brera, ironizzando sul “sentimento del decoro e della gloria” evocato in alcuni discorsi favorevoli al progetto legislativo.

E badate bene, o Signori – egli disse – che oggi non abbiamo udito qui che la voce di due osservatorî: ma appena il Senato avrà votato la spesa per l’osservatorio di Milano non sarà più un duetto che risuonerà per il cielo italiano, ma un coro completo di sirene che da tutte le parti si alzeranno cantando: Onorevole Signor Ministro, Ella che ha così gentile il cuore, Ella che sposa con tanta eloquenza la poesia alla scienza provvegga nella sua misericordia infinita anche al nostro decoro. È una via sdrucciola cotesta, o Signori, ed io assolutamente non voglio mettere il piede.

Il discorso del Pepoli, a tratti vivace e ricco di frizzi, ispirato a severe regole di bilancio, di compensazione tra risparmi e spese, come suggeriva al De Sanctis, si concluse con una pesante ironia sulle stelle cadenti che possono vedersi anche senza telescopio. “Ne abbiamo vedute cadere tante e ne vedremo cadere tante altre in Italia – egli disse – che proprio non sento la necessità di spendere un quarto di milione per far più intima conoscenza con quelle che irradiano il cielo”. La battuta suscitò l’ilarità dei presenti.