Fine 2015 e inizio 2016: luci (poche) e ombre (molte) sulla via del disarmo nucleare

Un paio di anni fa, subito dopo il terzo test di un’arma nucleare effettuato il 12 Febbraio 2013 dalla Corea del Nord, Carlo Bernardini ed io avevamo pubblicato su “Scienzainrete” una nota sui programmi nucleari coreani ).

La nostra conclusione era che “la Corea del Nord da anni utilizza la minaccia di “andare nucleare” e di sviluppare missili balistici intercontinentali, nonché di denunciare l’armistizio del 1953 con la Corea del Sud come “bargain chip” per ottenere aiuti da Stati Uniti e occidente. Agli effetti destabilizzanti ed incentivanti la proliferazione nucleare orizzontale di questa politica si aggiungono quelli devastanti per la popolazione civile nordcoreana”.

A me sembra che anche dopo il test dell’arma termo(?)-nucleare del 5 gennaio scorso si possa considerare il test, comunque gravissimo e pericolosissimo per il regime di non proliferazione, fortemente connotato da scopi propagandistici. La Korean Central News Agency ha dichiarato che il test della bomba a idrogeno del 5 Gennaio è una misura delle capacità di auto-difesa della Repubblica Popolare Democratica della Corea (DPRK) dalle minacce nucleari degli Stati Uniti e di proteggere la sovranità nazionale e garantire la pace nella penisola Coreana. In realtà l’affermazione che si sia trattato di un’arma termonucleare sembra iperbolica, anche perché la magnitudo dell’evento sismico associato era di circa 4.8 (tipico di un evento moderatamente intenso). Sono i passi significativi per il rafforzamento del regime di non proliferazione, ovviamente unitamente alla ripresa dei “Colloqui delle Sei Nazioni” (Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone, Corea del Nord e Corea del Sud), iniziati nel 2003 e cessati nel 2008, che possono davvero avviare a soluzione il problema del nucleare nord-coreano, come sottolineato anche dal Presidente e dal Segretario Generale delle Conferenze Pugwash. Certamente renderebbe il tutto più difficile la recentissima ipotesi degli Stati Uniti di schierare nella Corea del Sud dei nuovi droni capaci di abbattere elicotteri e colpire carri armati da distanze dell’ordine delle 5 miglia.

 

Finalmente il 14 Luglio dello scorso anno i P5 + 1 (Stati Uniti, Federazione Russa, Regno Unito, Francia e Cina + Germania) e l’Unione Europea hanno concluso con la Repubblica Islamica dell’Iran i negoziati sul nucleare iraniano, JCPOA, in base al quale i programmi nucleari dell’Iran saranno esclusivamente pacifici. Dal 16 Gennaio di quest’anno, avendo l’Agenzia Intenzionale dell’Energia Atomica (IAEA) verificato che l’Iran ha rispettato ed attuato tutte le prescrizioni del JCPOA, le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea sono state rimosse. Dopo anni di trattative è stato fatto un passo di portata storica per il rafforzamento del regime di non proliferazione orizzontale delle armi nucleari.

Nonostante questo risultato autorizzi speranze, rimangono ancora problemi non risolti e prescrizioni non attuate del Trattato di Non proliferazione del 1970. Il punto chiave è, secondo me, la “svalutazione” delle armi nucleari: fino a quando i P5 non adempiranno appieno a quanto prescritto dall’Art. VI del TNP (concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale), e, auspicalmente, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord non aderiranno al TNP, le armi nucleari saranno considerate strumento di potere politico e di contrattazione dagli Stati che ancora non le posseggono, mantenendo così una situazione di pericolo per la sopravvivenza del genere umano tutto.

Purtroppo il regime di non proliferazione non è minato soltanto in termini quantitativi (aumento del numero dei Paesi che potrebbero dotarsi di armi nucleari), ma anche qualitativi. Gli sviluppi tecnologici possono permettere significativi ammodernamenti degli arsenali nucleari dei P5, India, Pakistan e Israele ed è largamente diffusa la preoccupazione che armi nucleari “miniaturizzate”, più precise  e meno potenti possano essere considerate più utilizzabili.

 

In particolare, l’ipotesi di schierare, anche in Italia, le nuove armi nucleari tattiche americane B61-12, capaci di penetrare nel terreno e guidate da opportuni sensori, ha creato preoccupazione ed allarme da parte del Presidente Putin, che di tanto in tanto ricorda al mondo che “la Russia è una potenza nucleare”, e corre il rischio di innescare una nuova corsa al riarmo nucleare. Nel nostro Paese sono già installate circa 90 “vecchie” bombe B61 (40 a Ghedi (BS) e 50 ad Aviano (PN)), con un potenziale esplosivo variabile dai 0.3 ai 170 kiloton. Le 40 bombe B61 di Ghedi sono destinate all’uso dei caccia bombardieri italiani Tornado, sotto un accordo di “doppia chiave” in base al quale il paese ospitante fornisce il mezzo di trasporto e gli Stati Uniti forniscono l’arma. Le 50 bombe conservate ad Aviano sono invece ad uso esclusivo degli aerei americani.

Fin dal 2008 l’USPID (Unione Scienziati Per Il Disarmo) aveva reso pubblico un documento sul problema delle circa duecento “vecchie” B61 installate in Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia. In quel documento si motivava la convinzione che le armi nucleari americane installate in Europa siano non solo irrilevanti dal punto di vista strategico e costituiscano un peso dal punto di vista organizzativo e finanziario, ma anche l’unico esempio esistente di armi nucleari possedute da un paese ed installate su territori di paesi terzi.

Anche per il 2016 l’orologio del Bulletin of Atomic Scientists segna 3 minuti a mezzanotte ed è più urgente di sempre un impegno fattivo a creare strumenti ed occasioni di dialogo e stabilire fiducia reciproca. La traccia da seguire, secondo me, è quella indicata e praticata dalla Conferenze Pugwash “dialogue across divides”, che, ancora una volta, ha permesso di ottenere risultati preziosi, quali quelli riportati dal Segretario Generale, Paolo Cotta Ramusino.

 

Nota

Le idee e le opinioni riportate in questo articolo sono personali dell’autore e non rappresentano le posizioni delle Istituzioni.