Di seguito le interviste rilasciate da Vincenzo Lipardi, Segretario Generale di Città della Scienza, a Il Mattino in edicola il 3 dicembre e al TG3 Campania del 2 dicembre 2016.
Da Il Mattino del 3 dicembre 2016
di GIUSEPPE CRIMALDI
L’ intervista
«Una prima importante verità, ma non è tutta la verità».
La strategia «Menti raffinate dietro le fiamme qualcuno interessato a rimescolare le carte»
«Questa sentenza apre una prima e importante porta sulla verità del rogo di Città della Scienza, ma non fa luce su tutta la verità. Se a tre anni e mezzo dai fatti dobbiamo prendere atto che l’unico colpevole del disastro è un guardiano, allora no, non ci stiamo». A Vincenzo Lipardi il verdetto emesso ieri dai giudici del Tribunale di Napoli lascia l’amaro in bocca.
Il consigliere delegato di Città della Scienza non ha peli sulla lingua, e chiede che le indagini proseguano.
«Vogliamo il nome e cognome dei mandanti e degli esecutori materiali di quell’attentato».
Dov’ è che secondo lei l’ indagine si è arenata?
«Dal principio. Nessuno ha parlato, nessuno ha collaborato. In un’area complessa come quella di Bagnoli, notoriamente controllata dai clan, può sembrare quasi scontato. E se nessuno parla è forse perché qualcuno ha paura di un manager di 52 anni e di uno scienziato 80enne?
Stiamo bene attenti alle semplificazioni, cercando di trovare la soluzione più comoda e più semplice che finisce con l’indebolire tutti, a cominciare dalla città di Napoli».
Insomma, dietro l’incendio di Città della Scienza c’era solo la camorra?
«Quando nessuno parla e collabora vuol dire che c’è omertà, e dunque anche paura vera. Dagli atti dell’inchiesta giudiziaria è emerso che il clan D’Ausilio aveva già programmato per ben due volte un raid, solo nel 2010, proprio a Città della Scienza. Mi domando: è solo una coincidenza? Poi, dopo l’attentato del 2013, Bagnoli è rientrata al centro dell’attenzione nazionale come una delle priorità di Napoli, il che ha avuto effetti sicuramente positivi e benefici per la città. Se tutto questo è vero allora mi chiedo ancora: c’è voluto quel disatro per rimettere anche Bagnoli al centro dell’agenda Napoli?».
Ma lei un’ idea su chi sia stato il regista del rogo del 2013 se l’ è fatta?
«Io non faccio il magistrato. I beni della Fondazione sono della Regione Campania. Posso solo immaginare che dietro l’ incendio doloso, appiccato con tecnica che richiedeva specifiche competenze criminali, c’ era qualcuno interessato a rimescolare le carte.
Volevano rifare tutto, a cominciare dal lato mare: gli artefici del raid sono gli stessi che immaginavano un grande business, non tanto per l’ oggi ma per l’ immediato domani.
A fronte di tuto questo vorei anche ricordare che, dopo la devastazione, la Fondazione non ha chiuso, è andata avanti, ha trovato la solidarietà concreta della gente, sebbene ci sentissimo tutti allora in trincea. I dipendenti sono rimasti per un anno senza stipendio, e nonostante tutto sono andati avanti.
Nonostante tutto…».
Cioè? Nonostante che cosa?
«Con la Procura abbiamo collaborato sin dall’ inizio e abbiamo fornito il nostro contributo. Se avessi avuto qualcosa da nascondere le carte le avrei tenute altrove, e non in ufficio dove sono state trovate. Al di là della macchina del fango, dei corvi, dei dossieraggi e anche di certi articoli di stampa che provavano a orientare le indagini. Gliene dico un’altra: solo dopo il deposito degli atti, leggendo le intercettazioni, ho scoperto che lo stesso Cammarota (l’ imputato condannato ieri a sei anni reclusione per l’ incendio di Città della Scienza, ndr) aveva organizzato un attentato nei miei confronti».
Si sente soddisfatto da questa sentenza?
«Solo in parte. Perché dopo tre anni e mezzo da quei fatti manca ancora una bella fetta di verità. Aspettiamo con ansia che vengano individuati e perseguiti i veri responsabili del gesto criminale. Prendo atto del verdetto e mi auguro che parallelamente si possa arivare adesso a esecutori e mandanti.
Davanti a un crimine efferato qual è quello compiuto da chi appicca le fiamme a un museo importantissimo per la città – che è un luogo simbolo per Napoli – non ci si può certo fermare alle responsabilità di un custode. Non ci si può fermare all’anello debole di una catena».