La Scienza nel Mondo

La società della conoscenza

Viviamo nella società e nell’economia della conoscenza. Una società e un’economia in cui la risorsa primaria di produzione non è più il lavoro degli uomini e degli animali, come nella società e nell’economia fondate sull’agricoltura, e non è più neppure il lavoro degli uomini e delle macchine, come nella società e nell’economia fondate sull’industria. Nella società e nell’economia della conoscenza la risorsa primaria di produzione è, per l’appunto, la conoscenza.

La società e l’economia della conoscenza si fondano su tre grandi pilastri, tra loro, peraltro, connessi: l’educazione, la scienza (ricerca scientifica e sviluppo tecnologico) e la comunicazione (mass media, tecnologie).

Scarica tutto il documento

Educazione

La società e l’economia della conoscenza richiedono persone sempre più qualificate, non solo nell’ambito stretto della produzione. Per questo l’era della conoscenza si caratterizza per uno sviluppo senza precedenti dell’intero sistema formativo: educazione primaria, educazione secondaria, educazione terziaria ed educazione permanente. Non è un’indicazione qualitativa. Ma è una realtà misurabile.

Leggi altro

La Scienza

La ricerca scientifica è il cuore della società della conoscenza. O, per dirla con il sociologo Luciano Gallino: «il fattore primario dell’innovazione, della crescita economica, della competitività internazionale delle imprese e dell’economia nazionale» [Gallino,2007]. Questa sua centralità assoluta, la ricerca scientifica la guadagna in due forme, una intrinseca: perché produce, più di ogni altra attività umana, nuova conoscenza; l’altra estrinseca; perché alimenta la produzione incessante di nuove tecnologie, ovvero di beni e servizi con alto tasso di conoscenza aggiunto.

Leggi altro

La comunicazione

Se la scienza è il cuore della società della conoscenza, la comunicazione ne è il sangue. Senza comunicazione, semplicemente, non c’è società della conoscenza. Di più: senza comunicazione della scienza non c’è società della conoscenza. E, ancora più precisamente: senza comunicazione pubblica della scienza non c’è società democratica della conoscenza.

Leggi altro

Scienza e science centre

L’universo dei media è rapidamente cangiante a causa della rivoluzione elettronica. I nuovi media elettronici sono entrati in maniera prepotente nell’universo dei media classici e lo hanno profondamente modificato. Anzi, lo stanno ancora oggi profondamente modificando.

Leggi altro

Educazione

La società e l’economia della conoscenza richiedono persone sempre più qualificate, non solo nell’ambito stretto della produzione. Per questo l’era della conoscenza si caratterizza per uno sviluppo senza precedenti dell’intero sistema formativo: educazione primaria, educazione secondaria, educazione terziaria ed educazione permanente. Non è un’indicazione qualitativa. Ma è una realtà misurabile.

Nel 1929 lo stock di capitale contenuto nell’intero sistema dell’istruzione e della formazione negli Stati Uniti ammontava a 2.647 miliardi di dollari (valore del 1987), pari al 28% dell’intero stock di capitale reale lordo del paese. Nel 1990 il valore del sistema di istruzione e formazione  ammontava a 25.359 miliardi di dollari, pari al 41% del capitale reale lordo del paese.  In particolare, nel 1929 il capitale associato al sistema educativo era pari al 44% del valore del capitale tangibile Usa (strutture fisiche, macchine, capitali naturali), nel 1990 era ormai pari all’89% del capitale tangibile. Il che significa che in sessant’anni il valore economico associato alle “cose fisiche” realizzate dall’uomo era aumentato  di 3,7 volte; mentre il valore dei beni immateriali, in primo luogo delle risorse per la formazione, era aumentato di 8,6 volte: un ritmo di crescita 2,3 volte superiore [Foray, 2006].

Il settore dell’educazione terziaria (università, scuole di dottorato), in particolare, è in rapida estensione. Nel 1965 in Italia risultavano iscritti all’università 402.938 studenti. Quarant’anni dopo, nel 2005, il numero degli studenti era più che quadruplicato: risultavano iscritti all’università, infatti, in 1.820.886 [Luzzatto, 2008].

Su scala globale il solo settore dell’educazione terziaria a scala globale è pressoché raddoppiato in soli quindici anni: nel 1991 c’erano 68 milioni di studenti che frequentavano università e centri di educazione terziaria. Tredici anni dopo, nel 2004, il numero era  salito a 132 milioni, con una crescita complessiva del 94% e una crescita media annua del 5,1% [OECD, 2008].

Tutto ciò indica non solo una diffusione sempre più vasta dell’educazione di massa, ma segnala, appunto, una domanda economica e sociale crescente di lavoratori con un’alta qualificazione sia nei paesi più ricchi e a economia matura, sia nei paesi in via di sviluppo e a economia emergente.

La Scienza

La ricerca scientifica è il cuore della società della conoscenza. O, per dirla con il sociologo Luciano Gallino: «il fattore primario dell’innovazione, della crescita economica, della competitività internazionale delle imprese e dell’economia nazionale» [Gallino,2007]. Questa sua centralità assoluta, la ricerca scientifica la guadagna in due forme, una intrinseca: perché produce, più di ogni altra attività umana, nuova conoscenza; l’altra estrinseca; perché alimenta la produzione incessante di nuove tecnologie, ovvero di beni e servizi con alto tasso di conoscenza aggiunto.

Ancora una volta l’analisi storica può essere supportata dai numeri. La componente ricerca e sviluppo (R&S) dello stock di capitale reale lordo negli Stati Uniti d’America è quella che è aumentata di più tra il 1929 e il 1990. Il capitale non tangibile contenuto nei centri di ricerca e di sviluppo degli Stati Uniti ammontava, nel 1929, a 37 miliardi di dollari (a dollaro costante del 1987): lo 0,4% del capitale totale lordo. Nel 1990 il valore del comparto R&S degli Usa era salito a 2.327 miliardi di dollari (a dollaro costante del 1987). In sessant’anni era aumentato in assoluto di 63 volte e ormai rappresentava il 3,8% dell’intero stock di capitale reale lordo degli Stati Uniti. La ricerca scientifica da fattore marginale era diventata fattore centrale.

Un’ulteriore dimostrazione ci viene anche dall’andamento storico degli investimenti annui in R&S negli Stati Uniti. Nel 1930 gli investimenti (calcolati a dollaro costante) ammontavano a 140 milioni di dollari (equivalenti a 1,5 miliardi di dollari attuali); nel 1940 la spesa era più che raddoppiata e ammontava a 309 milioni di dollari (equivalente a circa 4 miliardi di dollari attuali) [Bush, 1945]. Dopo la guerra, tuttavia, la velocità di crescita degli investimenti ha subito una più netta accelerazione. Nel 1953 la spesa in R&S degli Stati Uniti ammontava a oltre 30 miliardi di dollari odierni (venti volte più che nel 1930) [NSF, 2006]; e oggi ammonta a 400 miliardi di dollari (anno 2009), quasi 270 volte più che nel 1930 e tredici volte più che nel 1953 [R&D Magazine, 2010].

Il fenomeno non riguarda solo gli Stati Uniti d’America. Gli investimenti crescono in tutto il mondo. Secondo dati della National Science Foundation  [NSB, 2006], dell’OECD [OECD, 2006] e del R&D Magazine [R&D magazine, 2009] dal 1990 a oggi non solo la spesa mondiale in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico è triplicata in assoluto, ma è aumentata anche l’intensità di ricerca (gli investimenti in R&S rispetto al Prodotto interno lordo) e, soprattutto, si sono diversificate le fonti di spesa. Grazie al protagonismo scientifico e tecnologico di nuovi paesi (tra cui Cina, India, Brasile) il mondo della ricerca è diventato multipolare.

Ogni anno il mondo investe in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico quasi il 2,0% della ricchezza che produce.

Circa un terzo degli investimenti mondiali in R&S avvengono, ormai, in paesi a economia emergente, soprattutto dell’Asia. La Cina, in particolare, investe oltre 140 miliardi di dollari l’anno in ricerca (come il Giappone e il doppio della Germania), un investimento pari a oltre l’1,6% del Pil, che cresce a un ritmo annuo che sfiora il 25%. Il grande paese asiatico può contare su oltre 1,4 milioni di ricercatori: una quantità di risorse umane ormai del tutto paragonabile a quelli di Europa (1,3 milioni di ricercatori) e Stati Uniti (1,4milioni di ricercatori). Già oggi Cina, Giappone, India, Corea del Sud e una decina di altri paesi asiatici costituiscono un polo che per valore assoluto della spesa, intensità della spesa e numero di ricercatori supera l’Europa (piuttosto largamente) ed eguaglia il Nord America.

Mai tanti paesi hanno contribuito così tanto allo sviluppo della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico. E poiché i flussi di conoscenze, di ricercatori, di investimenti tra tutti questi poli distribuiti per il pianeta sono sempre più intensi, è possibile affermare che mai il mondo della scienza è stato così integrato.

Tutto questo, come rileva la Royal Society nel rapporto Knowledge, Networks and Nations: Global scientific collaboration in the 21st century, sta determinando sia una crescita senza precedenti dell’attività scientifica  globale sia una sempre più estesa integrazione. La comunità scientifica sta diventando davvero globale.

L’attività scientifica è la rapida crescita. Ce lo dicono tutti i parametri. In soli 5 anni, dal 2002 al 2007, gli investimenti globali in ricerca e sviluppo (R&S) sono passati da 790,3 a 1145,7 miliardi di dollari, con un incremento del 45,0%. Nel medesimo periodo è aumentato di 1,4 milioni di unità il numero di ricercatori, passati da 5,7 a 7,1 milioni, con un incremento del 19,7%. E, infine, è aumentato il numero degli articoli scientifici su riviste con peer review: passati dagli 1,09 milioni del 2002 agli 1,58 milioni del 2007, con un incremento del 45,0%.

Il secondo elemento che caratterizza questa fase della storia della scienza è, come abbiamo visto, la sempre più estesa multipolarità. Non solo in termini di investimenti (ormai l’Asia investe in ricerca quanto il Nord America e molto più dell’Europa), ma anche in termini di contributi scientifici significativi. La Turchia ha aumentato di sei volte i suoi investimenti e ora spende quando Danimarca, Finlandia e Norvegia messe insieme. Nel 2002 due autori su tre, il 66%, di pubblicazioni scientifiche lavoravano in uno dei paesi di più antica industrializzazione (Usa, Europa e Giappone), nel 2007 questa percentuale era scesa al 54%. Tra le 20 maggiori città per output scientifico nel periodo 2004/2008 sette erano in Asia, sei in Europa, sei in Nord America e una in Sud America. Tra queste, due città cinesi (Nanchino e Shangai) e una brasiliana, San Paolo, hanno migliorato la loro classifica di oltre 20 posti (Nanchino ancora nel 2000 era al 66° posto al mondo, ora è tra le prime 20). Altre due città, entrambe asiatiche (Taipei e Seul), hanno migliorato la loro posizione di almeno dieci posizioni. Tutte le città europee o nordamericane hanno o perduto o, al più, conservato le loro posizioni.

Ma un’ulteriore, grande novità è il processo di sempre maggiore integrazione della scienza mondiale. Oggi il 35% degli articoli scientifici è frutto di una collaborazione internazionale. Nel 1996, quindici anni fa, erano appena il 25%. Inoltre più cresce il numero di scienziati di paesi diversi che lavorano a un progetto comune, più aumenta l’impact factor dei loro articoli.

Questo significa che la comunità scientifica non solo è sempre più ricca e numerosa, ma è appunto sempre più transnazionale. Ha gli stessi interessi, gli stessi valori, persino la stessa lingua in tutto il mondo. Certo, molti sono i problemi da risolvere: di qualità, di autonomia. Ma è come se, su scala mondiale, si stesse ripetendo quel grande e niente affatto scontato processo che portò, nel Seicento, alla nascita di un’unica comunità scientifica in Europa, e di cui proprio la Royal Society fu tra i maggiori protagonisti, malgrado il continente fosse politicamente frammentato e squassato da conflitti armati. È come se nel XXI secolo stesse nascendo un’unica comunità scientifica globale, proprio come nel XVII secolo nacque un’unica comunità scientifica europea.

Oggi c’è un ulteriore elemento di novità rispetto al Seicento. La comunità scientifica transnazionale è chiamata ad affrontare una serie di sfide a scala planetaria. La sua esistenza – l’esistenza di una comunità scientifica globale sempre più libera e autonoma – non è solo desiderabile, è necessaria.

La comunicazione

Se la scienza è il cuore della società della conoscenza, la comunicazione ne è il sangue. Senza comunicazione, semplicemente, non c’è società della conoscenza. Di più: senza comunicazione della scienza non c’è società della conoscenza. E, ancora più precisamente: senza comunicazione pubblica della scienza non c’è società democratica della conoscenza.

La prima affermazione – non c’è società della conoscenza senza comunicazione – è pressoché scontata. Sia perché la knowledge societies si definiscono come, appunto, società della conoscenza e dell’informazione [Stehr, 1994]. Ma anche e soprattutto perché lo sviluppo della società della conoscenza consiste e si alimenta di un progressivo aumento della circolazione della conoscenza. Quindi della sua comunicazione [Cerroni, 2006]. Il sistema di comunicazione informa di sé gli altri due elementi fondamentali della società della conoscenza: il sistema educativo e il sistema scientifico. Per esempio: la formazione dei giovani e, ormai, anche la formazione dei meno giovani nel processo di long life education (o di lifelong learning che dir si voglia) si fonda su processi comunicativi, sempre più ricchi e articolati.

La seconda affermazione – senza comunicazione della scienza non c’è società della conoscenza – non è una mera applicazione a un sottoinsieme (la conoscenza scientifica) di una regola valida per l’insieme (la conoscenza). C’è una specificità – che in parte è ontologicamente determinata e in parte è storicamente determinata – che correla in maniera inestricabile la comunicazione alla scienza. Da un punto di vista storico, infatti, la “Repubblica della Scienza” nasce nel XVII secolo abbattendo il “paradigma della segretezza” e assumendo come valore «la comunicazione di tutto a tutti» [Rossi, 1997; Greco, 2009]. Il comunitarismo – ovvero il mettere in comune le conoscenze acquisite – è appunto uno dei cinque valori individuati da Robert Merton come costitutivi della scienza moderna [Merton, 1938]. Anche da un punto di vista sociologico la comunicazione è una dimensione coessenziale della scienza. O, per essere più precisi: le scienze naturali possono essere schematizzate in un processo a due stadi. Il primo stadio è quello, privato, dello scienziato (o del gruppo di scienziati) che osserva la natura. Il secondo stadio è quello, pubblico, dello scienziato (o del gruppo di scienziati) che comunica ai membri della sua comunità scientifica i risultati delle osservazioni effettuate, conferendole nell’archivio (pubblico, per l’appunto) della scienza e rendendole disponibili in linea di principio e (tutto sommato) in linea di fatto a tutti. Ne deriva che il sistema di comunicazione è l’istituzione sociale fondamentale dell’attività di ricerca.

Nessuno dei due stadi – né quello privato dell’osservazione, né quello pubblico della comunicazione – è sufficiente a definire quell’attività sociale che chiamiamo scienza. Entrambi, però, sono necessari. Cosicché possiamo concludere con John Ziman che: non c’è scienza senza comunicazione [Ziman, 1987].

È (anche) per questo, dunque, che è possibile affermare che la comunicazione della scienza è un elemento co-essenziale della società della conoscenza.

Tuttavia quella tra scienziati, detta anche comunicazione interna alle comunità scientifiche, è solo una parte del sistema di comunicazione della scienza costitutivo della società della conoscenza. Nell’era della conoscenza è anche e, per certi versi, soprattutto la comunicazione della scienza al (e tra) il grande pubblico dei non esperti che ha assunto un ruolo centrale, oltre che forme inusitate.

Abbiamo detto che questo rapporto si consuma nell’ambito di una transizione epocale: la nascita e lo sviluppo della società e dell’economia della conoscenza. Questa transizione consiste in un processo – iniziato, in buona sostanza, dopo la seconda guerra mondiale – che, sebbene articolato in diverse fasi, è costantemente informato dalla ricerca scientifica. Nel corso di questo lungo processo, in  si sono venuti modificando i tradizionali rapporti tra la comunità scientifica e il resto della società, la comunicazione pubblica della scienza è venuta progressivamente assumendo sia un nuovo ruolo – quasi un nuovo statuto ontologico – sia nuove forme per almeno quattro motivi.

1. È crollata la torre d’avorio. Siamo entrati in una nuova era dell’organizzazione del lavoro degli scienziati, che il fisico inglese John Ziman ha definito post-accademica, caratterizzata dal fatto che decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza sono prese dalle comunità scientifiche sempre più in compartecipazione con una serie variegata  di altri gruppi sociali [Ziman, 2002]. Le mura che a lungo hanno diviso la cittadella della scienza dal resto della società sono state abbattute. L’antica separatezza è andata perduta. Tutto ciò “costringe” gli scienziati a stabilire una rete sempre più fitta di relazioni (e, quindi, di comunicazione) con i pubblici di non esperti.

Ne deriva che il rapporto tra scienza e mass media assume un’importanza rilevante non solo nei rapporti, sempre più stretti, tra scienza e società, ma anche nello sviluppo interno della scienza e nello sviluppo democratico della società.

2. La comunicazione necessaria. L’era della conoscenza si caratterizza sia per l’irruzione della scienza nella società, sia per l’irruzione della società nella scienza. La società è sempre più informata dalla conoscenza scientifica e dalle tecnologie realizzate grazie alle nuove conoscenze scientifiche. Gli scienziati sono costretti a comunicare con i pubblici di non esperti per assumere in compartecipazione con loro decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza. La società, nelle sue diverse articolazioni, ha sempre più bisogno – un bisogno ineludibile – di essere informata intorno alla scienza, divenuta parte decisiva a ogni livello, individuale e collettivo, dei cittadini. Nell’era della conoscenza e dei nuovi rapporti tra scienza e società, dunque, la comunicazione pubblica della scienza (la comunicazione della scienza ai pubblici di non esperti) non è più un orpello, ma una necessità, doppia e ineludibile: una necessità professionale per gli scienziati, un bisogno diffuso ed essenziale per il resto della società.

I mass media sono il canale di comunicazione principale nel nuovo rapporto tra scienza e società.

3. La comunicazione complessa. Il sistema di comunicazione pubblica della scienza è formato da un numero grande di elementi (diversi gruppi e attori sociali) in relazione multipla e non lineare tra di loro. Il flusso di comunicazione pubblica della scienza si svolge attraverso una costellazione di canali rilevanti diversi – alcuni dei quali ben visibili, altri carsici – e definisce una dinamica largamente caotica e imprevedibile, tipica dei sistemi complessi.

Nel sistema dinamico complesso della comunicazione pubblica della scienza i mass media sono un nodo importante, ma non l’unico e neppure il principale.

4. La cittadinanza scientifica. La costruzione della cittadinanza scientifica è elemento essenziale di una società democratica della conoscenza. E nella costruzione della cittadinanza scientifica la comunicazione pubblica della scienza è chiamata ad assolvere il ruolo decisivo di sistema linfatico.

I mezzi di comunicazione di massa sarebbero una delle agorà principali dove la società costruisce i suoi diritti di cittadinanza scientifica. Tuttavia, pur in un universo mediatico rapidamente cangiante, sia i mass media tradizionali sia i nuovi media sono oggi sostanzialmente incapaci di assolvere a questa funzione.

Scienza e science centre

L’universo dei media è rapidamente cangiante a causa della rivoluzione elettronica. I nuovi media elettronici sono entrati in maniera prepotente nell’universo dei media classici e lo hanno profondamente modificato. Anzi, lo stanno ancora oggi profondamente modificando.

Negli ultimi dieci anni, per esempio, le fonti cui le persone attingono l’informazione scientifica hanno subito una forte e imprevista ristrutturazione. Come mostra questa tabella costruita su dati della National Science Foundation e relativa agli Stati Uniti d’America.

Tabella.

Variazione nel tempo della fonte primaria di informazione scientifica negli Usa

2001

2004

2006

Televisione

7

13

19

Quotidiani

3

5

6

Internet

44

51

53

Riviste

9

9

6

Libri

24

11

9

Come si vede c’è stato il definitivo consolidamento della rete come fonte primaria, seguita dall’inatteso recupero della televisione, grazie allo sviluppo della televisione via cavo, e a un drastico ridimensionamento del libro.

I nuovi media non si sono limitati a imporsi a scapito dei vecchi media nell’ambito della sola informazione scientifica. In realtà hanno avuto e stanno avendo una profonda influenza sul modo stesso di fare informazione.

Stanno creando nuove opportunità. Aumentano l’offerta. Consentono nuove e inedita capacità di comunicazione “dal basso” o “partecipata”. Hanno favorito forse più di ogni altro fattore la globalizzazione dell’economia e del “villaggio globale”: tutto il pianeta è connesso. O, almeno, lo è enormemente più di qualche anno fa: Anche se resta quella disuguaglianza di accesso che molti chiamano “digital divide”  è un  – forse il – nuovo fattore di esclusione sociale.

Tuttavia i nuovi media non hanno avuto solo effetti di amplificazione della comunicazione. Secondo alcuni hanno avuto anche effetti di distorsione. Gli effetti negativi principali sono due. Da un lato i  nuovi media hanno determinato un abbassamento della qualità dell’informazione e dall’altro stanno determinando una crisi del giornalismo professionale [Greco, 2009b].

Il primo fenomeno può essere spiegato in questo modo: la rivoluzione elettronica consente la trasmissione di una quantità enorme – di qualche ordine di grandezza più grande nell’unità di tempo – dell’informazione. Ciò ha creato una situazione paradossale. Avendo una quantità molto più grande di informazione da trattare e corpi redazionali uguali, se non inferiori, nelle redazione e nella “news room” il tempo dedicato all’approfondimento della singola notizia è crollato. Con la diminuzione del tempo/notizia si è abbassata la soglia critica dei mass media. E l’informazione è diventata più stereotipata, selezionata sulla base di automatismi omologanti.

Nel medesimo tempo sempre più utenti si stanno spostando dai media tradizionali ai nuovi media (dai giornali e dalla televisione generaliste a internet). Ma questa migrazione non è accompagnata da un analogo spostamento delle risorse (la pubblicità, in particolare, non si sta spostando su internet). Ne deriva un’erosione di informazione professionale. I media classici non hanno più risorse e tagliano i corpi redazionali, mentre internet non ha (ancora?) risorse e non aumenta i corpi radeazionale.

La crisi – come rilevato da recenti analisi sulle riviste Nature e Science – riguarda anche il giornalismo scientifico.

Questi e altri processi rendono i media classici e, per certi versi, anche i nuovi media incapaci di assolvere pienamente alla funzione di agorà dove costruire la cittadinanza scientifica nella società della conoscenza.

Tutto questo chiama in causa anche i musei e i science centre, offrendo loro nuove opportunità

Infatti, come ha rilevato di Derrick de Kerckhove, i media elettronici hanno modificato e stanno continuando modificare la raccolta, la conservazione e la diffusione dell’informazione nei musei e nei science centre.

Le tendenze principali in atto, lungi dal farli sparire, stanno riposizionano sia le modalità operative sia le funzioni storiche dei musei. In particolare musei e science centre possono diventare – stanno diventando – agorà dove svolgere il dibattito pubblico sulla scienza.

Il futuro dei musei scientifici e dei science centres in genere nel mondo, è perciò legato più strettamente a funzioni di distribuzione dell’informazione che a pure funzioni conservative.

Diverse sono le tendenze in atto, come indicato anche da de Kerckhove.

Mutamento di vettore. I musei e i science centres sono storicamente istituzioni che gestiscono informazione. Ma ora hanno la possibilità di connettersi alla rete globale. E in un ambiente in rete tutte le istituzioni che gestiscono informazione sono portate a cambiare l’orientamento del loro traffico informativo dall’interno verso l’esterno. Invece di essere solo raccoglitori, conservatori e classificatori di informazione, i musei e i science centre devono diventare e alcuni stanno già diventando creatori e distributori di informazione.

Mutamento di funzioni. Fino ad ora, i musei e le biblioteche sono stati, per lo più, archivi della memoria. Oggi, con l’aiuto delle reti e dei loro software sempre più cognitivi, i science centre devono aggiungere la comprensione, la ricerca e la connettività alle loro funzioni di base di raccolta, classificazione e conservazione. Di qui l’opportunità e il bisogno di creare “social network” e stabilire un’ampia rete di contributi di supporto nel pubblico generale e colto sia a livello nazionale che internazionale.

Mutamento di velocità. I musei hanno sempre giocato il ruolo di acceleratori cognitivi e culturali concentrando la conoscenza, per poi renderla accessibile e farla sviluppare. Oggi sono in grado di fare tutto questi in maniera simultanea e in “tempo reale”. In questo senso, essi devono adattare il loro tempo di risposta alle domande istantanee delle reti.

Mutamenti nei metodi di classificazione. Tradizionalmente i luoghi pubblici dell’apprendimento hanno fatto ricorso alla principale strategia cognitiva dell’occidente che è quella di classificare, etichettare, conservare e mostrare contenuti in categorie, suddivisioni e gerarchie chiaramente definite. Questo metodo ha raggiunto il suo scopo per una società sviluppatasi su coordinate Cartesiane. Oggi, è necessario un approccio maggiormente olistico, se non euristico, che rifletta cioè gli effetti integrati dell’elettricità sulla cultura e sulla psicologia, e che tenga conto dei bisogni del corpo così come della mente, dei sensi così come del senso e del significato.

Mutamenti di scala. Entrando nella rete globale, i musei e i science centre possono assolvere a funzioni “glocali”: ovvero rispondere nel medesimo tempo alle domande del territorio e contribuire al dibattito a livello globale. Possono proporsi come agorà per la costruzione della cittadinanza scientifica a ogni livello. Le loro responsabilità sono infatti analogamente divise tra il dominio locale e quello globale. Tra queste responsabilità la prima è di fare il miglior uso possibile delle nuove opportunità fornite dalle reti per servire le comunità locali e quelle globali. Grazie ai nuovi media, i science centre possono promuovere nuovi livelli di servizio in modi diversi.

Se non è on line, non è. Occorre includere e integrare i nuovi media e specialmente i media legati alla rete nel funzionamento dei science centre. Occorre ripensare la education, non solo quella formale, ma anche quella informale. Le nuove tecnologie costituiscono infatti una minaccia de facto nella direzione di un superamento e rapida obsolescenza delle istituzioni educative con cui ancora ci confrontiamo oggi. Molte persone oggi, compresi studenti a ogni livello, dalle scuole elementari all’università, non viaggeranno più lontano del loro PC più vicino per recuperare l’informazione, e altro, di cui hanno bisogno. E ciò vale per i science centre (in genere ubicati fuori dei centri cittadini) così come per le biblioteche e le scuole.

Interattività. Le nuove tecnologie con la loro capacità interattiva possono favorire la creazione di science centre che, come sostiene Jorge Wagensberg, siano “hands on, minds on and hearts on”. Non si tratta solo di rovesciare il vecchio “per favore, non toccare” al nuovo “per favore, tocca” ma, anche, di entrare in sintonia con la psicologia del visitatore che a sua volta è sempre più un visitatore “connesso”, capace di interazione.

Il science centre come protesi mentale e cognitiva. L’introduzione delle nuove tecnologie nei musei scientifici ci conduce direttamente ai musei di terza generazione, in cui i prolungamenti costituiti dalla multimedialità, dalle applicazioni di computer grafica, dall’utilizzo delle reti, aumentano a dismisura le dimensioni dell’esperienza del visitatore.

Arte e scienza. L’arte e gli artisti – che per definizione hanno il dono della sintesi e dell’integrazione – giocano un ruolo essenziale nel rendere completa l’esperienza cognitiva ed emozionale e anche soddisfacente per chi la sostiene economicamente. Infatti ciò che la scienza tende a separare e classificare, ignorando o dimenticando il fine umano, l’arte riconnette e integra.

Nuova agorà. Per tutte le ragioni che abbiamo detto se lo science centre riesce ad acquisire fino in fondo le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie può surrogare in parte la “crisi dei media” e credibilmente proporsi come una delle “nuove agorà” dove si svolge il dibattito pubblico sulla scienza e, di conseguenza, si allenano i nuovi diritti di cittadinanza nella società della conoscenza.

 

La Città della Scienza

L’attività internazionale di Città della Scienza si inserisce in questo contesto. Cercando, in particolare, di proporsi come nodo di una rete di musei scientifici – nuove agorà della cittadinanza scientifica – nell’ambito di una comunità sempre più internazionalizzata di ricercatori e di comunicatori della scienza. Nel tentativo di dare un contributo a realizzare la grande indicazione di Francis Bacon, uno dei padri fondatori della scienza moderna: «la conoscenza scientifica non deve essere a vantaggio di questo o di quello, ma dell’intera umanità».