…quando dalle turbolenze nasce il nuovo

Così, proprio le coste del Mediterraneo sono nuovamente, come già tante altre volte nella storia, il luogo dove un certo mondo, per come lo si conosceva  sta finendo, e dove il nuovo è in gestazione. Con un’apparente latenza durante la guerra fredda, come piattaforma per le basi di una delle due superpotenze, il Mediterraneo è stato già sempre teatro di complessità apparentemente caotiche. Ma caos e complessità congiunti, si sa, generano anche il nuovo. E il nuovo va scovato ai suoi esordi perchè è fragile e non clamoroso.

Una delle tante facce del nuovo oggi sono le donne mediterranee. Non le greche, le italiane, le magrebine, le egiziane e così via in quanto tali e con le loro differenti situazioni, bensì il tratto che le accomuna e insieme le distingue dalle loro antenate di poche generazioni passate e dalle loro madri: la capacità di mediare tra emancipazione e tradizione e una certa competenza nel praticare con inaspettato profitto  tempi scomodi.

Da un lato saper cogliere spazi che s’aprono di poter fare e di sapere, additare e combattere le trame dei poteri corrotti anche a prezzo della vita, essere autonome più di quanto superficialmente appaia e, dall’altro, la capacità di coltivare tratti positivi della tradizione: quel saper affrontare le traversie economiche o geopolitiche non soltanto per se stesse, ma per figli e familiari, saper alimentare reti di solidarietà, più interessate alla cura dell’altro che alla sua cruenta ed eroica eliminazione.

In questo non facile nuovo protagonismo, c’è un ulteriore passaggio per alcune, anzi, in proporzione col secolo passato, per moltissime: essere cittadine del mondo della ricerca. Da questo scorcio si aprono delle domande rivolte direttamente al futuro.

Si dice che ‘la scienza ha cambiato il mondo’, ma con l’ingresso massiccio delle donne c’è una direzione del cambiamento che il mondo imprimerà alle domande più urgenti delle scienze? Questa cosa un po’ vaga, il mondo, che è invece assai concreta come dinamiche tra politiche scientifiche ed economia, influisce oggi sui metodi e sulle pratiche della scienza. Tra i protagonisti della ricerca disseminati in laboratori, nelle università e centri di ricerca nei posti più disparati del pianeta (e non più solo nel recinto wasp del Nord Europa e degli Stati Uniti) le donne oggi esistono a pieno titolo. Pur continuando a scontare il noto gender inequality gap nelle distribuzione verticale delle carriere, si può dire ancora che siano le women behind dello scienziato di turno? Oppure, come ha scritto Bice Fubini, è in stretta correlazione con i livelli di diritti civili, politici, di autodeterminazione riproduttiva e alfabetizzazione che cominciano a spostare in prima persona i confini delle conoscenze?

 

Se sì, e alcuni recenti importanti premi per la ricerca e premi nobel lo confermano, allora la domanda che ne segue ci riguarda da vicino: quali saranno gli effetti di redistribuzione delle capacità e delle possibilità di protagonismo nel mondo della scienza oggi, dopo la crisi economica che sta scuotendo le economie dei paesi un tempo detti ‘opulenti’ e dopo le tormentate rivoluzioni politiche dei paesi arabi nel Nord-Africa? Come si ripercuoterà sull’occupazione e quindi sull’indipendenza economica e di giudizio femminile il paradosso, da un lato della penalizzazione della ricerca nei paesi in crisi del Sud-Europa e dall’altro quella sorta di “rinascimento scientifico” che, pur tra mille difficoltà, investe alcuni nuovi Paesi emergenti sul piano scientifico come ad esempio la Turchia o il Marocco?

Velate o in minigonna, le ragazze e le donne in quest’area del pianeta fanno parte di quel vasto popolo che pratica correntemente il diritto-dovere all’esplorazione critica e il dubbio metodico, e acquisiscono così la loro nuova ‘cittadinanza scientifica’. Se sulle sponde del Mediterraneo i grandi monoteismi nelle loro diverse sfumature più o meno liberali, più o meno ‘letteralisti’ o integralisti – chi prima chi oggi – hanno avuto (e cercano ancora) un ruolo chiave, nel fissare le donne unicamente come fattrici e nutrici, quale la ripercussione indiretta sul piano culturale esteso, quando proprio le nuove detentrici della cittadinanza scientifica e dei suoi codici di etica e metodo saranno padrone della propria capacità di produrre domande e diffondere anche al tessuto sociale il metodo della conoscenza critica?

Sul fondo di questo mare, sono oggi sommersi i corpi di centinaia e centinaia di uomini e donne che l’hanno percorso negli ultimi vent’anni come fosse una carovaniera della speranza, esuli, profughi da paesi devastati da guerre o da carestie – quelli che qui si chiamano ‘immigrati’. Oggi una ricerca al servizio non di armamenti sempre più sofisticati, ma inserita in una ‘Operazione di pace’, che affronti con strumentazioni tecnologiche sofisticate uno sviluppo sostenibile degli ambienti naturali non è più impossibile. Molte donne sono ben presenti in questi settori e, se solo gli appetiti finanziari vorranno investire a lungo termine invece che a breve, forse intorno sopra e sotto questo mare, invece che la tragedia costante possono anche fiorire oasi diverse di sapere e di operatività positiva.