In che direzione va il futuro italiano? Nell’indifferenza la Campania muore

BAGNOLI UN ROGO INFAME PER UNA STUPIDA RITORSIONE ALLA CULTURA
di Giuseppe Lembo

Si dice, ma non per i campani e la Campania che, la speranza sia l’ultima a morire e che tutto può morire per l’uomo tranne la speranza. Purtroppo, questa massima diffusamente comune con alla base la speranza che non deve assolutamente morire, vale per tutti tranne che per i campani; tranne che per i napoletani.
In alternativa, alla speranza qui c’è una maledizione che non molla niente e nessuno.
È la maledizione del non c’è niente da fare in quanto, tutto accade così come deve accadere.
Così è e non si può dare un diverso ordine e/o un diverso corso alle cose. Conseguente a questa maledizione, c’è un comune atteggiamento di rassegnazione; c’è, tra l’altro, la volontà diffusa di reagire scappando. Eduardo De Filippo, con tanta sofferenza nel cuore, considerata l’impossibilità di cambiare le cose napoletane lanciò in modo dolorosamente forte il suo anatema alla città “fuitevenne”, perché l’atteso cambiamento necessario affinché la gente possa vivere meglio, non c’è e non ci sarà mai.
C’è un futuro campano? C’è, soprattutto un futuro napoletano?
Oltre ad augurarsi che ci possa essere, che ci deve essere, che cosa c’è di veramente concreto in questa speranza di futuro possibile e che cosa fa di altrettanto concreto l’umanità – campana di riferimento per conquistarselo e per farne un bene generazionale che vada oltre il presente e che potrebbe, tra l’altro, invertire le tendenze umanamente negative che, purtroppo, ne compromettono perfino la speranza?
Nel titolo ho scritto, se non si cambia, la Campania muore; muore nella più generale indifferenza di quel comune e distruttivo comportamento fatto di familismo e/o del non c’è niente da fare, in quanto così è; così è misteriosamente segnato nel profondo solco degli accadimenti umani.
Io sono per natura positivo; io mi ostino a pensare che, anche i più negativi comportamenti umani, volendolo e volendolo fortemente, possono comunque essere modificati.
Questo adattamento al cambiamento possibile è quindi nell’ordine delle cose anche di Napoli e della Campania, dove una confusa volontà prevaricatrice mista ad indifferenza e ad abbandoni ha creato il principio assolutamente ed ostinatamente inamovibile del non c’è niente da fare.
Non è così! Tutto è possibile per questo meraviglioso Paese che si chiama Italia; ma tutto, proprio tutto, è concretamente possibile anche per la Campania e per Napoli, la grande capitale del Mediterraneo, lo scrigno ricco di tesori e di testimonianze che ci viene invidiato dal mondo.
Perché si possa restituire Napoli e la Campania ad un diverso destino è assolutamente urgente cambiare gli atteggiamenti umani della sua gente, fatalisticamente rassegnata al non c’è niente da fare e silenziosamente sottomessa ai poteri forti di una politica padrona che egoisticamente non le hanno mai permesso di alzare la testa e con uno scatto d’orgoglio, di creare quel protagonismo del popolo sovrano alternativo agli eserciti silenziosi dei tanti Masaniello, pronti a cavalcare per sé il dissenso e la lunga rabbia che si trasmette sempre uguale a se stessa, da una generazione all’altra.
Napoli e la Campania possono essere parti nobili, sia territoriali che umane, del possibile futuro campano ed intelligenti protagoniste di un altrettanto possibile futuro italiano.
Basta volerlo! Basta saperlo costruire insieme! Basta liberarsi del dannato convincimento del “non c’è niente da fare”, una terribile palla al piede inventata da chi si adopera a costruire maldestramente futuri negati, per far crescere i propri egoistici sogni di gloria e con questi i propri privilegi del tutto per sé, che trovano migliori opportunità di successo soprattutto nei luoghi delle negatività umane.
Napoli e la Campania e più in generale l’intero Sud è stato, prima di tutto, fortemente maltrattato dai poteri del Sud, complice la gente meridionale che, pur di sopravvivere, tirando a campare, ha sempre delegato agli altri le cose da fare e non ha mai pensato di avere un ruolo attivo nella governance, pensando alla democrazia della partecipazione, alternativa alla falsa democrazia della rappresentanza ormai alla deriva.Continua

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