Quella di lunedì 17 marzo 2014 sarà una delle (rare) date della storia della scienza contemporanea a essere ricordate, al pari di quella del 4 luglio 2012 quando venne annunciata la scoperta del bosone di Higgs. Con la differenza che l’annuncio fatto oggi all’Harvard-Smithsonian Center for Astrohysics nel corso di una conferenza stampa ha colto di sorpresa quasi tutti, laddove la scoperta del bosone di Higgs era attesa da decenni. Rumor si erano infittiti alla velocità della luce nel corso dei giorni scorsi, dopo che da Harvard venerdì scorso avevano convocato un incontro con i media per annunciare una “grande scoperta”. Stuart Clark, giornalista scientifico di primo piano nel panorama internazionale, in un articolo sul Guardian aveva portato per primo all’attenzione del grande pubblico le voci che giravano tra gli addetti ai lavori: la conferma dei “modi B” della polarizzazione del fondo cosmico a microonde. Detta così, sembrerebbe roba interessante solo per qualche personaggio di Big Bang Theory. Ma in realtà si tratta di una delle scoperte più importanti degli ultimi cento anni.
È infatti la prima vera conferma sperimentale, questa volta potremmo dire anche definitiva, sbottonandoci un po’, della teoria dell’inflazione cosmica. Una teoria elegante e affascinante che negli anni ’80 del secolo scorso Alan Guth e Andrei Linde, indipendentemente, avevano elaborato su un foglio di carta, grazie solamente a un’intuizione e a una solida matematica. Non sapevano se quello che avevano immaginato fosse o meno reale, ma era semplice e bello. Era una teoria in grado di spiegare perché l’universo risultasse così omogeneo, benché in teoria porzioni distanti del cosmo non avessero mai avuto modo di “comunicare” tra loro, omogeneizzandosi. Guth e Linde ipotizzarono che qualche istante dopo il Big Bang, l’universo avesse subito una fase accelerata di espansione, una “inflazione”, che l’avrebbe portato in poche frazioni di secondo a passare dalle dimensioni di un grosso atomo a quelle di un pallone da calcio. L’ipotesi piacque quasi subito perché spiegava il problema dell’omogeneità e altri problemi connessi con il modello del Big Bang, benché apparisse anche curiosa, poiché implicava l’esistenza di una sorta di forza antigravitazionale in grado di espandere l’universo. Ma, come ogni buona teoria, faceva delle previsioni. Le prove dell’inflazione cosmica potevano essere cercate leggendo la mappa dell’universo primordiale, la radiazione cosmica di fondo (CMB, cosmic microwave background) che si è prodotta 380mila anni dopo il Big Bang dal disaccopiamento dei fotoni dalla materia (prima di quell’epoca, infatti, la luce era “intrappolata” dalla materia, perciò non abbiamo nessuna possibilità di “vedere” direttamente l’universo prima di 380mila anni dopo il Big Bang). Un fenomeno così estremo come l’inflazione cosmica avrebbe infatti prodotto delle increspature nella CMB, attraverso le cosiddette “onde gravitazionali”.
Anche le onde gravitazionali sono state immaginate molto prima di qualsiasi loro osservazione indiretta. Era stato Albert Einstein nel 1916, con la teoria della relatività generale, a sostenere che qualsiasi corpo dotato di massa increspasse la “superficie” dello spazio-tempo. Ma, essendo la gravità la più debole delle quattro forze fondamentali, è impossibile riuscire a percepire le onde gravitazionali di fenomeni quotidiani come, ad esempio, il moto del nostro corpo nello spazio. Quanta più grande è la massa di un corpo e la sua accelerazione, tanto più potenti sono le onde gravitazionali che produce. Per questo, gli scienziati cercano di osservare le onde gravitazionali prodotte da fenomeni violentissimi, come quelli di stelle massicce inghiottite da enormi buchi neri (gli oggetti con più massa presenti nell’universo). Nel 1993, grazie alla prima scoperta indiretta di onde prodotte da una coppia di stelle di neutroni ruotanti una intorno all’altra, Russel Hulse e Joseph Taylor vinsero il premio Nobel per la fisica.
Ma esiste anche un altro fenomeno in grado di produrre onde gravitazionali: l’inflazione cosmica. La potentissima accelerazione dell’espansione dell’universo subito dopo il Big Bang avrebbe prodotto enormi onde gravitazionali in grado di restare “impresse” sulla CMB, 380mila anni dopo. Sono queste onde gravitazionali primordiali che gli scienziati del progetto BICEP-2 (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) installato presso la base Amudsen-Scott al Polo Sud hanno cerato negli ultimi anni. Attraverso l’analisi della polarizzazione dei fotoni della CMB è infatti possibile scoprire l’effetto delle onde gravitazionali sul fondo cosmico. Una polarizzazione attraverso i cosiddetti “modi B” dimostrerebbe che la CMB è stata increspata dalle onde prodotte dall’inflazione. Una conferma indiretta della loro esistenza, dunque, ma al tempo stesso la “pistola fumante” cercata da decenni per confermare la teoria dell’inflazione. Oggi sappiamo che, appena 10-34 secondi dopo il Big Bang, ha avuto luogo un’espansione inflazionaria dell’universo. Siamo riusciti a gettare uno sguardo oltre il muro di luce della CMB, che ci limitava a conoscere solo la storia dell’Universo dopo 380mila dal Big Bang. Ora siamo in grado quasi di “vedere” l’istante zero da cui tutto ha avuto origine.
Le implicazioni sono enormi. Al di là del fatto che Alan Guth e Andrei Linde abbiano praticamente ipotecato il Nobel per la fisica come è accaduto con Peter Higgs e François Englert, che hanno aspettato decenni per vedere confermate le loro teorie, la scoperta dei modi B e quindi la conferma dell’inflazione apre una nuova fase nella storia dell’astrofisica e della cosmologia. Grazie allo studio delle onde gravitazionali primordiali potremo studiare i primi istanti dell’universo e capire meglio come ha avuto luogo il Big Bang. Possiamo escludere alcune teorie alternative sulla nascita dell’Universo, come quella del multiverso ciclico, secondo cui il nostro universo non è che uno di infiniti universi prodotti dallo scontro tra “brane”. Potremmo testare la teoria delle stringhe. Capire meglio il meccanismo dell’inflazione, questo straordinario fenomeno in grado di “annullare” la gravità. Ma c’è di più. Come spiega lo stesso Guth, le onde gravitazionali primordiali non sarebbero possibili se la gravità non fosse quantizzata. Questo significa che anche la gravità è un fenomeno quantistico. Delle quattro forze fondamentali della natura – elettromagnetismo, nucleare forte, nucleare debole e gravità – solo quest’ultima non è ancora spiegabile attraverso la meccanica quantistica. Si suppone che esista una particella quantistica, il gravitone, che veicola la forza gravitazionale. Ma in realtà la teoria della relatività spiega la gravità come un fenomeno dello spazio-tempo, senza far ricorso alla quantistica. Alla ricerca di una “teoria del tutto” in grado di riunire in una sola teoria i due grandi paradigmi della natura, la teoria della relatività e quella della meccanica quantistica, i fisici sono al lavoro su una teoria della gravità quantistica. La scoperta di BICEP-2 è la prima conferma che la strada imboccata è quella giusta e che forse, al livello dell’infinitamente piccolo, lo spazio-tempo non è continuo, ma frammentato, composto da una sorta di “schiuma quantica”.
In estate i dati prodotti dalle osservazioni del satellite Planck dell’ESA, che da anni analizza analogamente la CMB in cerca, tra le altre cose, delle stesse tracce scoperte da BICEP-2, potranno confermare o meno la scoperta. Oggi, tuttavia, è d’obbligo, prima ancora di gettarsi in ardite speculazioni, provare meraviglia nei confronti di persone che, grazie solo alla sconfinata immaginazione umana e alla forza della matematica, hanno immaginato decenni fa cose che non sapevano se fossero o meno reali, ma che oggi sappiamo essere avvenute davvero pochi secondi dopo la nascita dell’Universo. Noi, piccoli esseri viventi gettati su un granello di sabbia alla deriva alla periferia del cosmo, siamo riusciti, 14 miliardi di anni dopo, a comprendere e a osservare, anche se solo indirettamente, com’era l’Universo quando aveva appena le dimensioni di un atomo. C’è da esserne orgogliosi, una volta tanto.