Assisto con stupore e un pizzico di amarezza al dibattito riapertosi a Napoli dopo l’atto criminale – ora lo si può dire con certezza, confortati dalle analisi della polizia scientifica – che ha quasi distrutto il museo scientifico di Città della Scienza, sul tema urbanistico e non invece per interrogarsi su come rigenerare in chiave ecologica l’economia e la città partendo da Bagnoli. Quello che è successo è un evento tragico, di portata nazionale e internazionale, come dimostra l’attenzione di tantissimi scienziati, intellettuali, media, delle istituzioni nazionali ed europee, che in questi giorni ci hanno inondato di messaggi in cui prevale la solidarietà e l’incredulità.
Questi messaggi riconoscono al nostro “collettivo” – alla Fondazione e alle sue professionalità, alle donne e agli uomini che hanno fatto di un ente non profit una significativa istituzione culturale ma anche un’azienda che prevalentemente vive sul mercato – il merito di aver dimostrato che Napoli è conosciuta nel mondo anche per le sue istituzioni scientifiche e culturali che, come Città della Scienza, sono caratterizzate da serietà, competenza, innovazione.
Un “collettivo” ampio che vede da sempre una profonda interazione con i tanti istituti e centri del CNR, delle Università,dell’ENEA e altri, capace di creare una rete fra i produttori e gli utilizzatori del saper scientifico.
Oggi molti dei nostri lavoratori sono in cassa integrazione e si sa che dalla cassa integrazione si esce in poco tempo o perché si è rilanciata l’attività o per andare in mobilità e quindi perdere il lavoro. Ricostruire Città della Scienza, “dove era, come era.. più bella di prima”, come recita lo slogan trasmesso dalla Rai, è la condizione affinché non si perdano questi posti di lavoro e quindi si uccida Città della Scienza.
Fatta questa premessa devo dire che trovo stupefacente che, nonostante i fallimenti conclamati e visibili a occhio nudo relativi alla mancata riconversione dell’area di Bagnoli, una parte della città – e gli stessi che hanno ideato e proposto quel progetto per l’area -, invece di avviare un’autocritica sul fallimento della Variante per Bagnoli e del modello di sviluppo che sottendeva; invece di discutere su come rispondere come collettività civile a questo bilancio drammatico, fa finta di niente e riapre una vecchia discussione, che riporta l’orologio indietro di 20 anni, “criminalizzando” quel che si è fatto e rileggendo in chiave maliziosa la chiusura limpida e secondo legge dell’iter approvativo di Città della Scienza.
Mentre il mondo ci guarda e ci dice di far presto a ricostruire il Museo della Scienza, a Napoli anziché provare a capire e a individuare subito, tutti insieme, gli strumenti operativi per realizzare questo obiettivo, si preferisce ancora una volta dividersi in una discussione che rischia, stavolta, di mettere una pietra tombale su Città della Scienza e, perdonatemi la presunzione, sull’intero progetto-Bagnoli, laddove non è dato comprendere come mai le realizzazioni promesse e mai realizzate in questo ventennio dovrebbero, in un momento di feroce crisi economica globale e di profonda incertezza politica nazionale, realizzarsi d’improvviso grazie alla distruzione dell’unica funzione effettivamente operativa dal 1992 in quell’area.
Città della Scienza viene realizzata a Bagnoli per denunciare la deindustrializzazione della città e proporre un modello di sviluppo che si basi su una ristrutturazione ecologica dell’economia e della società napoletana, facendo dell’ecologia lo strumento per una bonifica sociale di una città sempre più povera e spesso degradata.
Se Bagnoli è ferma non lo si può solo addebitare al destino cinico e baro; ma forse il progetto di De Lucia, certo immaginifico, si è dimostrato non realizzabile, forse anche perché non è stato capace di rispondere al bisogno impellente e prioritario della città: quello di combattere disoccupazione, degrado, povertà; rilanciare la rigenerazione urbana e far crescere la qualità della vita dei cittadini.
Lo ripeto: trovo grottesco che invece di fare autocritica sui fallimenti accumulati in questi anni, gli stessi “cattivi maestri” che ci hanno portato in questa situazione tornino dalle loro belle città e tuonino contro il nostro museo che, almeno nell’area che occupa (una goccia nel mare di Bagnoli), ha portato in questi anni decoro, ordine, bellezza.
Ma vi è poi un’altra considerazione, se volete più “filosofica”. Salvaguardia dell’ambiente vuol dire anche salvaguardia dello spirito dei luoghi, della loro storia, della loro cultura. E Bagnoli è e sarà sempre il luogo della storia produttiva di Napoli e del Mezzogiorno. Aver salvato e restituito a tanti un uso nuovo dell’antica vetreria Borbonica che è lì, e non certo su una spiaggia inesistente, dalla metà dell’800, fa parte esattamente di questa missione di salvaguardia dell’ambiente e della memoria.
Si parla, poi, del ripristino della linea di costa e della realizzazione di una spiaggia per i napoletani. Non capisco, davvero, perché il museo della scienza sia visto in antitesi con una spiaggia che, lo voglio ripetere, non esiste. Al contrario, io ritengo che un’attrazione culturale come Città della Scienza possa rappresentare, nella prospettiva della realizzazione di una spiaggia pubblica, un elemento di valorizzazione e presidio: esattamente il ruolo che Città della Scienza sta svolgendo da 20 anni, portando a Bagnoli visitatori, attività produttive, indotto e vitalità. Assumere l’ottica del “ritorno allo stato naturale” può essere molto rischioso: l’Arcadia neoclassica che tutti amiamo, è bene ricordarlo, era solo un mito.
Insomma, così come traslocare scavi archeologici o altri monumenti per ritornare allo “stato preesistente” appare semplicemente assurdo, così ritengo assurdo che si possa traslocare il museo di Città della Scienza; significherebbe, anche per le ragioni tecniche motivate in vari commenti pubblicati in questi giorni, mettere fine a questa esperienza o rimandarne la nuova realizzazione a un tempo troppo lontano.
Un’ultima considerazione. Un museo non è, mai, un luogo qualsiasi. Al di là dei contenuti scientifici, artistici, ecc. che esso conserva e comunica al pubblico, un museo è nel suo insieme anche un’emozione. La diffusione della cultura scientifica ai giovani – nostra missione prioritaria – non veniva svolta nel nostro museo attraverso nozioni e lezioni, quello che si fa in un’aula scolastica o universitaria. A Città della Scienza anche la bellezza dei luoghi giocava un ruolo determinante nell’attrarre ed emozionare i nostri visitatori. Mettere in discussione questo elemento vuol dire depotenziare un’idea, quella che è stata alla base della nostra intuizione, del nostro lavoro e del nostro successo in questi anni.
Lo sconforto che provo nel guardare le rovine bruciate di quello che è stato e tornerà ad essere il primo science centre italiano è ripagato dalla consapevolezza che la nostra vera forza, però, non era nelle mura ma nella squadra che Città della Scienza l’ha costruita e fatta vivere. Dio non voglia che un dibattito rispettabile, ma ahimé improduttivo, non dissipi quest’autentica ricchezza di idee e di energie. E già oggi pensare al fatto che tanti nostri lavoratori debbano stare in cassa integrazione, anziché accogliere i visitatori e introdurli alla bellezza della conoscenza, è per me fonte di preoccupazione profonda.
Ma non ho dubbi. Le forze e il sostegno non ci mancano per rifare Città della Scienza com’era, dov’era e più bella di prima.
Vittorio Silvestrini
Presidente di Città della Scienza