Cibo per la mente

di Pietro Greco

Non mancano certo i problemi irrisolti. E moltissime sono – per dirla con il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz – le “promesse infrante”. Tuttavia non c’è dubbio: la scienza sta cambiando il mondo. E lo stesso mondo della scienza sta cambiando.

La nuova “economia della conoscenza” produce una quantità di ricchezza sempre maggiore ed è diventata la “driving force” dell’industria e dei servizi. Se questo tipo di economia corre lo deve alle sue due gambe scientifiche. Essa si fonda, infatti, sia sulla capacità della ricerca scientifica di produrre in maniera incessante nuova conoscenza, sia sulla capacità del sistema tecnologico di utilizzare sistematicamente la nuova conoscenza scientifica per innovare continuamente prodotti e processi.

È anche grazie all’economia della conoscenza che, negli ultimi due o tre decenni, si sono affermate le cosiddette “economie emergenti” e centinaia di milioni di persone nel mondo sono uscite fuori da condizioni di povertà e deprivazione. Purtroppo molte, troppe disuguaglianze  restano tra le nazioni e all’interno delle nazioni. Ma non c’è dubbio che la scienza ha contribuito a cambiare il mondo.

Ma sta cambiando anche il mondo della scienza. Il pianeta investe in ricerca scientifica e tecnologica una quantità senza precedenti di ricchezza; il 2% del prodotto interno lordo planetario. Oltre 7 milioni di persone hanno come propria attività professionale la ricerca scientifica. Sono cento volte più che alla fine del XIX secolo. Oggi al mondo vivono più scienziati della somma di tutti quelli vissuti in precedenza, nell’arco dell’intera storia dell’umanità.

Questa enorme crescita di persone che si dedicano alla ricerca costituisce una grande opportunità. Per due ragioni. Perché esse non sono più concentrate in pochi paesi dell’Europa e dell’America settentrionale, come avveniva fino a qualche decennio fa, ma in maniera molto più omogenea in tutto il mondo. Tant’è che oggi è l’Asia il continente che vanta il maggior numero di scienziati.

L’altra ragione è che un numero crescente di donne è coinvolta nell’attività scientifica. Sebbene siano ancora molti i passi da fare verso un’effettiva parità tra i generi, la presenza delle donne nell’attività di ricerca scientifica non ha precedenti nella storia. Questa presenza costituisce, appunto, una straordinaria opportunità. Non solo in termini quantitativi (perché raddoppia l’universo dei “cervelli”), ma anche in termini qualitativi: perché le donne aprono a nuovi spazi di ricerca, non alternativi ma aggiuntivi rispetto a quelli esplorati tradizionalmente dagli scienziati maschi.

Il Mediterraneo, con tutte le sue sponde, partecipa a questo “rinascimento scientifico”. Stanno emergendo, infatti, nuove potenze scientifiche: basti pensare alla Turchia. Ma in tutti i paesi, della sponda sud come della sponda nord, assistiamo a un inedito protagonismo femminile.

Le ragioni della speranza, dunque, sono moltissime. Proprio per questo non dobbiamo sottacere la presenze di problemi, anche abbastanza gravi, su cui conviene riflettere.

Il primo è che, malgrado il suo indubbio dinamismo, l’area del Mediterraneo, dove pure la scienza è nata circa 2,5 millenni di anni fa in epoca ellenistica, stenta a tenere il passo del resto del mondo.

Il secondo è che anche nel Mediterraneo troppi e troppo spessi sono i “tetti di cristallo” che, ancora oggi impediscono alle donne la sostanziale parità di accesso e di carriera scientifica.

Il terzo, tuttavia, riguarda il ruolo che la scienza ha nella società, anche nella società mediterranea. Ha un grande e innegabile ruolo progressivo. Ma troppo spesso la conoscenza viene usata come fattore di esclusione, invece che di inclusione sociale.

Infine talvolta si afferma anche nel bacino del Mediterraneo un approccio culturale che l’antropologo americano Christopher P. Toumey definisce “banale”, perché intrinsecamente «pragmatista», che guarda all’impresa scientifica solo come a una fonte di prodotti di consumo. Questo modello di interpretazione della scienza non ha bisogno di un’epistemologia forte, ma solo di una collezione di fatti. Non ha bisogno di senso critico e di scelte. Delega agli esperti la soluzione dei problemi, pratici, metodologici e soprattutto teorici, mentre, scrive Toumey, «invita a rispettare i simboli della scienza, piuttosto che a comprenderne i contenuti».

Ecco, dunque, un compito che per sensibilità e tradizione può coinvolgere le ricercatrici dei paesi che affacciano sul Mediterraneo: partecipare alla costruzione di un sistema esteso di nuovi diritti di cittadinanza – che molti definiscono cittadinanza scientifica – che facciano della ricerca e dell’innovazione tecnologica altrettanti fattori di pace, di sviluppo democratico e di inclusione sociale.

Molte storie presentate in questo numero della nostra newsletter dimostra non solo che è possibile assolvere a questo compito. Ma che molte ricercatrici nel bacino del Mediterraneo hanno già iniziato. Con risultati tangibili. E incoraggianti.

Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Share on LinkedInEmail this to someone