Se il metodo scientifico è considerato sinonimo di oggettività, l’interpretazione dei risultati scientifici è sempre soggettiva; si spiega così la diversa interpretazione di teorie scientifiche che nel corso della storia sono a volte servite a giustificare visioni del mondo distorte e pericolose, da quella del darwinismo sociale alle tante spiegazioni pseudo-scientifiche dell’omosessualità. Napoli oggi ospita il Mediterranen Pride, un’importante occasione per rimarcare con orgoglio la propria identità di genere; e Città della Scienza, nel sostenere il gay pride napoletano, vuole prendere posizione contro quelle idee ancora troppo diffuse nella società che rientrano nella definizione di “determinismo biologico” e che, eredi del positivismo, continuano a sostenere che non vi sia spazio per gay, lesbiche o transessuali perché la natura ci ha fatti maschi e femmine.
L’idea alla base del determinismo biologico è che sia solo il corpo a determinare il nostro orientamento sessuale: il sesso è solo maschile o femminile, a seconda degli organi riproduttivi che possediamo. Sulla base di questa differenza sono costruiti i ruoli sociali tradizionali dell’uomo e della donna, gli stereotipi del maschio “che porta il pane a casa” e della donna “che bada al focolare domestico”. La giustificazione scientifica, deterministica, permette di spazzare via ogni ipotesi di orientamento difforme, bollato come deviante o degenerato.
Lo sviluppo del darwinismo e poi dei primi studi riguardo l’ereditarietà portarono, nella seconda metà del XIX secolo, a elaborare una concezione dell’omosessualità di due tipi: o di devianza sociale, per cui l’omosessualità rientra nei disturbi di tipo psichico e comporta pulsioni distorte, viziose, peccaminose (per esempio un appetito sessuale esagerato), o di innatismo. Quest’ultima teoria finiva per essere maggiormente appoggiata dallo stesso omosessuale: nel sostenere che il proprio orientamento “eterodosso” sia innato, si rifugge dalla categorizzazione del malato mentale. Un fenomeno innato non può essere condannato moralmente, perché non peccaminoso: l’uomo o la donna che hanno avuto la “sfortuna” di essere nati con un orientamento omosessuale sono condannati dalla loro biologia, non dalla loro inclinazione, a deviare dalla normalità sessuale.
Gli studi di embriologia credettero allora di individuare l’origine biologica di questa “inversione” nella scoperta di una fase precoce dello sviluppo embrionale, durante la quale l’embrione vive una condizione di indifferenziazione sessuale, che successivamente gli ormoni permettono di differenziare. L’ipotesi avanzata da diversi studiosi era che, a un certo punto dello sviluppo, l’individuo omosessuale avesse subito una differenziazione invertita della propria psiche (non del proprio corpo, perché l’omosessuale si distingue appunto per un orientamento difforme da quello dato dalla sua fisiologia). Il grande successo della nascente psichiatria in quegli anni portò alla concettualizzazione di una sorta di “ermafroditismo psichico”, prodotto di uno sviluppo non portato a compimento, se non addirittura di una degenerazione a uno stadio di natura inferiore (quello dell’embrione sessualmente indifferenziato, appunto).
Qualcuno si spinse a sostenere l’esistenza di un “terzo sesso” non ancora scoperto, a cui apparteneva l’individuo omosessuale. Un’ipotesi che però cozzava ancora una volta con il determinismo biologico: come poteva esistere un altro sesso senza essere associato a organi sessuali diversi? Questa soluzione avrebbe potuto, si sosteneva, spiegare solo l’ermafroditismo (o, oggi, la transessualità). Ciò nonostante, la teoria del “terzo sesso” durò fino alla metà del secolo scorso.
Il darwinismo sociale, in particolare, distorcendo le teorie evoluzionistiche in un improbabile adattamento alle teorie sociologiche, prese a contrapporre la sessualità “matura”, impersonata dal maschio eterosessuale, a quella “invertita”, frutto della degenerazione sociale della borghesia, vittima delle debolezze e delle “effeminatezze” corruttrici della ricchezza e dei piaceri mondani. Non stupisce che le più restrittive leggi contro l’omosessualità furono introdotte nell’Unione sovietica all’epoca di Stalin e nella Germania nazista. In entrambi i paesi le persecuzioni si associarono a quelle contro le etnie considerate “degenerate”, frutto di meticciato o ibridazione che le allontanava dall’idea della purezza di razza. Analogamente, l’omosessuale si allontanava dallo stereotipo sessuale “puro” e pertanto andava internato o soppresso per esigenze di igiene razziale e sessuale.
Queste concettualizzazioni sono sopravvissute a lungo e sopravvivono ancora oggi in molte parti del mondo. In Cina fino al 1997 permaneva il reato di omosessualità e fino al 2001 l’orientamento omosessuale rientrava nella classificazione dei disordini mentali, categoria della “devianza sessuale” accanto a pedofilia, feticismo, necrofilia e zoofilia. Eppure la scienza ha ormai dimostrato l’inconsistenza di qualsiasi spiegazione deterministica dell’identità di genere (non più meramente “sessuale”), sia essa genetica o neurologica.
Recentemente, inoltre, studi sull’evoluzionismo hanno permesso di rimuovere anche l’ultimo baluardo pseudoscientifico che bollava l’omosessualità come contraria alla natura, essendo la riproduzione sessuale il motore della selezione naturale. Il comportamento omosessuale, infatti, non solo è condiviso da numerose specie animali non umane (insieme a comportamenti bisessuali), ma aiuta lo sviluppo evolutivo delle specie all’interno delle quali tali comportamenti sono accettati. È il caso degli albatros di Laysan, di cui un terzo circa delle coppie osservate è femmina-femmina. Gli studi hanno dimostrato che queste coppie hanno maggiore successo nell’allevamento dei piccoli rispetto alle femmine senza partner dello stesso sesso. Ciò garantisce un vantaggio per la prole in termini di selezione naturale non legato alla riproduzione. Una lezione che ci rivela, ancora una volta, il valore aggiunto della diversità di genere nella società umana.
Roberto Paura